Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2021, n. 34435

Fallimento, Licenziamento, Saldo delle retribuzioni,
Spettanze di fine rapporto, Domanda

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione
allo stato passivo del Fallimento O. s.r.l. in liquidazione (dichiarato in data
11.06.2013) proposta da R. S. contro la declaratoria di inammissibilità della
sua domanda, cosiddetta «ultratardiva», del 20.04.2017, con cui aveva chiesto
l’ammissione al passivo, in prededuzione, o comunque con il privilegio ex art. 2751 bis cod.civ., del credito di € 19.913,89
maturato a titolo di trattamento di fine rapporto (di seguito TFR), in seguito
al licenziamento intimatogli dal curatore fallimentare in data 11.12.2014. Pur
dando atto che «il diritto al trattamento di fine rapporto (…) sorge ai sensi
dell’art. 2120 c. c. al momento della
cessazione del rapporto», il Tribunale ha osservato che il S. – avendo già
presentato domanda tempestiva in data 22.10.2013 ed essendo quindi a
«conoscenza del fallimento» – ha insinuato al passivo tale credito «dopo tre
anni dalla comunicazione del curatore della risoluzione del rapporto di lavoro
e (…) quindi oltre il termine decadenziale di dodici mesi dal deposito del
decreto di esecutività dello stato passivo, avvenuto (…) il 3.10.2014».

2. Con atto notificato il 26.2.2019 R.S. ha proposto
ricorso per la cassazione del decreto, affidato a due motivi.

Il Fallimento intimato non ha svolto difese.

A seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis cod. proc. civ. è stata ritualmente
fissata l’adunanza in camera di consiglio.

Il ricorrente S. ha depositato memoria ex art.380-bis. comma 2, cod.proc.civ. in data
17.11.2020.

Con ordinanza interlocutoria del 10.2.2021 n.3791 la
Sesta Sezione ha ritenuto che la vicenda meritasse un approfondimento in
pubblica udienza, specie con riguardo al presupposto della «non contestazione» ex
art. 111 bis, comma 1, l.fall.,
che esonera dall’accertamento dei crediti prededucibili «con le modalità di cui
al capo V>> e ha conseguentemente rimesso la causa alla pubblica udienza
della Prima Sezione civile.

Il ricorrente ha depositato ulteriore memoria ex art.378 cod. proc. civ. in data 7.10.2021.

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto
del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la
violazione o falsa applicazione dell’art. 101, commi 1 e 4, l.fall.,
poiché il credito per il trattamento di fine rapporto (breviter TFR), in quanto
sorto dopo il fallimento, non era soggetto ai termini di decadenza di cui all’art. 101 l.fall.

1.1. In assenza di una specifica disciplina sui
termini per l’insinuazione al passivo dei crediti maturati dopo la
dichiarazione di fallimento e avendo anzi l’art. 8 del d.lgs. n. 169 del 2007
abrogato l’unica disposizione che faceva espresso riferimento ai crediti
(prededucibili) «sorti dopo l’adunanza di verificazione dello stato passivo
ovvero dopo l’udienza alla quale essa sia stata differita» (art. 111-bis, originario comma 2,
l.fall.), la giurisprudenza di questa Corte si è chiesta se l’insinuazione
dei crediti in questione (quando necessaria) possa avvenire sine die o se
sussista un termine e in tal caso quale.

1.2. Le risposte non sono state univoche.

In estrema sintesi, un primo orientamento, per
colmare il predetto vuoto normativo, ha adottato (mutatis mutandis) le
scansioni organizzative del procedimento di accertamento del passivo di cui al
Capo V del Titolo II della legge fallimentare – tenendo conto anche
dell’ulteriore impronta acceleratoria del Codice della crisi e dell’insolvenza
di futura applicazione, il cui art.
208 onera i creditori cosiddetti «ultratardivi» di presentare la domanda
entro 60 giorni dal momento in cui è cessata la causa che ha impedito il
deposito tempestivo (Sez. 1, n. 17594 del 28.6.2019, Rv. 654427 – 01; Sez. 6-,
n. 19679 del 1.10.2015, Rv. 636718-01).

1.2. Un secondo e diverso orientamento ha invece
escluso che l’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della
procedura fallimentare sia soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 101, commi 1 e 4, l.fall.
(Sez. 1, n. 16218 del 31.7.2015, Rv. 636329 –
01; Sez.1,n.20310 del 31.7.2018; Sez.6- 1 n.13461 del 17.5.2019; Sez. 1, n.
1391 del 18.1.2019, Rv. 652403 – 01).

1.3. Un terzo e più recente orientamento, ora
prevalente, pur partendo dalla premessa che caratterizza il secondo, ha
raggiunto diverse conclusioni e ha negato che in questi casi i crediti così
sorti non siano soggetti ad alcuno sbarramento temporale per la presentazione
dell’insinuazione.

Si è così sostenuto che l’insinuazione incontra
comunque un limite temporale, da individuarsi – in coerenza e armonia con
l’intero sistema di insinuazione attualmente in essere e sulla scorta dei
principi costituzionali di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio
di cui all’art. 24 Cost. – nel termine di un
anno, espressivo dell’attuale sistema in materia, decorrente dal momento in cui
si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare ovvero
dalla maturazione del credito (Sez. 6 – 1, n. 12735
del 13.5.2021, Rv. 661433 – 01; Sez. 1, n. 3872 del 17.2.2020, Rv. 657058 –
01; Sez. 6 – 1, n. 28799 del 7.11.2019, Rv. 656090 – 01;Sez. 1, n. 18544 del
10.7.2019, Rv. 656037 – 01).

Secondo quest’ultimo indirizzo, che il collegio
condivide, la non imputabilità del ritardo e la sopravvenienza del credito non
sono situazioni che si sovrappongono in modo perfetto; nel caso in cui il
termine, al momento del sorgere del credito, non sia scaduto, al creditore
sopravvenuto residuerebbe, per provvedere all’insinuazione, un tempo comunque
più breve di quello a disposizione dei creditori preesistenti, con conseguenti
dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo del principio di
uguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto di
azione in giudizio (art. 24 Cost.);

l’applicazione dell’art. 101 l.fall. ai crediti
sopravvenuti introdurrebbe una decadenza non prevista dalla legge ma derivata
da un intervento di natura pretoria, mettendo a repentaglio i principi espressi
dall’art. 24 Cost.; l’applicazione dell’art.101 comporterebbe
un’evidente discriminazione dei creditori sopravvenuti rispetto agli altri, a
dispetto del principio della parità di trattamento previsto dall’art. 3 Cost.,
ancor più marcata laddove si consideri che i creditori anteriori posseggono
già, prima di entrare nella fase di tardività regolata dalla norma dell’art. 101, ampi margini
temporali per la gestione e proposizione delle loro domande di insinuazione;
non è possibile fare ricorso al disposto dell’art. 111-bis, l.fall., là dove la
norma prevede che «i crediti prededucibili devono essere accertati, con le
modalità di cui al capo V» della legge medesima, al fine di dare fondamento
normativo all’applicazione, nel caso di specie, all’art. 101 poiché il predetto
rinvio alla normativa del Capo V, concerne solo le modalità di accertamento dei
crediti ma non anche i termini; le indubbie esigenze di celerità e
concentrazione del procedimento di verifica del passivo non bastano a
giustificare l’applicazione non solo delle modalità di accertamento dei crediti
sopravvenuti, pacificamente ritenute applicabili, bensì pure dei termini di
decadenza previsti dall’art.
101 l.fall.; tali esigenze debbono comunque trovare coordinamento con i principi
costituzionali sopra richiamati, che non possono venire tralasciati rispetto al
creditore sopravvenuto; a tal fine si rende necessario fare riferimento a un
criterio razionale e individuare la disciplina positivamente applicabile per
l’insinuazione di tali crediti, ricavandola in via sistematica, con riguardo ai
principi generali dell’ordinamento e facendo perno, in particolare, sui
richiamati principi costituzionali dell’art. 3
Cost. e dell’art. 24 Cost.; per ricondurre
i crediti sopravvenuti a una posizione adeguatamente accostabile a quella degli
altri creditori, si deve affermare pertanto un termine annuale per la
presentazione delle relative domande, che prende a decorrere – in tutti i casi
in cui il credito abbia maturato le condizioni di partecipazione al passivo
dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo – dal momento
stesso in cui si siano verificate le dette condizioni.

1.4. L’ordinanza interlocutoria ha mostrato di
dubitare che la soluzione adottata dal predetto terzo orientamento potesse
valere anche per i crediti non contestati.

1.5. Per crediti prededucibili debbono intendersi
quei crediti definiti dal secondo comma dell’art.111 l. fall., ossia quelli
così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in
occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla legge
fallimentare.

Il primo comma dell’art.111 bis l.fall, inserito dall’articolo 100 del d.lgs. 9.1.2006, n.
5, stabilisce poi che i crediti prededucibili devono essere accertati con
le modalità di cui al capo V, «con esclusione di quelli non contestati per
collocazione e ammontare, anche se sorti durante l’esercizio provvisorio»
(nonché di quelli sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi
dei soggetti nominati ai sensi dell’articolo
25, i quali, se contestati, devono essere accertati con il procedimento di
cui all’articolo 26).

1.6 Va precisato che i crediti prededucibili «non
contestati per collocazione e ammontare» non possono essere identificati
semplicemente in quelli che non siano stati oggetto di una specifica presa di
posizione da parte degli organi della procedura fallimentare, secondo una
nozione processualistica volta ad estendere la nozione elaborata in seno al
processo civile di cognizione in forza dell’art.115,
comma 2, cod.proc.civ., in difetto nella fattispecie di una sede
procedimentalizzata per lo sviluppo di un percorso dialettico caratterizzato da
termini e scansioni per l’articolazione di difese ed eccezioni.

Per potersi parlare di non contestazione del credito
occorre invece un quid pluris, ossia un vero e proprio contegno ammissivo degli
organi della procedura, volto a riconoscere esplicitamente la sussistenza e
l’entità del credito, o, quantomeno, un comportamento incompatibile,
logicamente e giuridicamente, con l’intento di disconoscerli.

Ove ricorra tale ipotesi va all’evidenza esclusa
l’applicabilità dei principi sopraesposti nel § 1.3., visto che non ricorrono
«le condizioni di partecipazione al passivo» per la decorrenza del termine.

Al contrario, come stabilito dal 4° comma dell’art. 111 bis cit., il curatore,
previa autorizzazione del comitato dei creditori o del giudice delegato, può
pagare i crediti in questione al di fuori del riparto se l’attivo è
presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti coloro che ne siano titolari.

1.7. Ebbene, il credito per TFR di S., sorto in
corso di procedura per effetto del licenziamento intimato dallo stesso curatore
e quantificato nel CUD, non poteva ritenersi contestato né nell’an né nel
quantum debeatur, e dunque, ai sensi dell’art. 111 bis, comma 1, l.fall.
cit., non era soggetto al procedimento di verifica (per una conferma della
valenza probatoria del CUD, vedasi in motivazione Sez.6-1, n.10041 del
20.4.2017).

A buon diritto, quindi, il ricorrente ha ritenuto di
non essere tenuto a domandarne l’ammissione al passivo.

1.8. Solo con il primo progetto di ripartizione
parziale del 20.12.2016 riservato ai creditori privilegiati ex art.2755 e 2751 bis
n.1. cod.civ., S. ha potuto rendersi conto dell’atteggiamento ostativo
assunto dal curatore fallimentare.

1.9. La predisposizione del riparto, che non teneva
conto del credito per TFR del ricorrente, difficilmente può essere intesa come
atto sopravvenuto di contestazione del credito stesso, anziché come mero
inadempimento del curatore.

Tuttavia, quand’anche si volesse, in ipotesi,
assimilare l’esclusione del sig. S. dal riparto a una contestazione postuma, la
necessità per il ricorrente di richiedere la verifica è sorta solo al momento
in cui ha avuto comunicazione di tale provvedimento (e cioè il 20.12.2016), e
la domanda è stata proposta entro l’anno da tale data.

Quindi, in ogni caso, la domanda di insinuazione
tardiva del 20.4.2017 non può ritenersi intempestiva alla stregua
dell’orientamento giurisprudenziale sopra illustrato in tema di termine annuale
per far valere i crediti prededucibili sorti durante la procedura e contestati.

Il motivo va pertanto accolto alla luce del seguente
principio di diritto: «I crediti prededucibili sorti nel corso della procedura
fallimentare «non contestati per collocazione e ammontare» di cui all’art.111 bis, comma 1, l.fall,
esclusi dall’accertamento con le modalità di cui al capo V della l.fall., non debbono
essere insinuati al passivo nel termine di decadenza previsto dall’art. 101, commi 1 e 4, l.fall.
e neppure nel limite temporale di un anno, individuato in coerenza e armonia
con l’intero sistema di insinuazione e sulla scorta dei principi costituzionali
di cui all’art. 3 Cost. e all’art. 24 Cost., decorrente dal momento in cui si
verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare».

All’accoglimento del primo motivo di ricorso
conseguono la cassazione del decreto impugnato ed il rinvio della causa al
Tribunale di Roma, in diversa composizione, che liquiderà anche le spese di
questo giudizio di legittimità.

2. Resta assorbito il secondo motivo del ricorso,
con il quale il ricorrente prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375
cod.civ., contestando che il ritardo nella presentazione della domanda
potesse essergli imputato.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al
Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di
legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2021, n. 34435
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