Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 dicembre 2021, n. 38017

Tributi, IRPEF, Incentivo all’esodo, Benefici fiscali,
Condizioni, Conferimento di incarico di amministratore delegato al lavoratore
esodato, Decadenza dei benefici fiscali, Esclusione

 

Fatti di causa

 

1. l’Agenzia delle Entrate notificava alla C. Srl
l’avviso di accertamento n. R1T070200263/2009, relativo ad Irpef 2004 ed altro,
per l’importo di Euro 49.406,00, non riconoscendo i benefici fiscali derivanti
dall’applicazione dell’incentivo all’esodo di M. C. quale dipendente della
società, ma rimasto in carica nella funzione di amministratore delegato. L’Ente
impositore notificava alla società anche il provvedimento di irrogazione di
sanzioni n. R1TC00200449/2009, per l’importo di Euro 26.012,50, in relazione
alla medesima vicenda. L’Amministrazione finanziaria riteneva che non
ricorressero le condizioni normative per il riconoscimento dell’agevolazione
per più ragioni: in conseguenza della mancata attuazione di una complessiva riorganizzazione
aziendale, essendo il M. l’unico esodato; per effetto della mancata prova che
fosse effettivamente intervenuta la cessazione anticipata del rapporto di
lavoro, perché il M. aveva continuato a lavorare per la società, anche se in
veste diversa; ed ancora perché, nella vicenda in esame, l’opportunità di
avvalersi dell’esodo agevolato non era stata riconosciuta a tutti i dipendenti.
Riceveva avviso di accertamento per gli stessi fatti, per quanto di sua
competenza, anche C. M., e la sua vicenda giudiziaria è stata definita da
questa Corte di legittimità con sentenza n. 34280 del 2019.

2. La società impugnava l’avviso di accertamento, ed
il provvedimento di irrogazione delle sanzioni, innanzi alla Commissione
Tributaria Provinciale di Milano, contestandone il fondamento. La CTP riuniva i
ricorsi, e quindi riteneva fondate le contestazioni proposte dalla ricorrente,
reputando che il legislatore avesse posto quale unica condizione per accedere
alla disciplina agevolativa l’età del lavoratore, cinquantacinque anni per gli
uomini, requisito che risultava soddisfatto, e non aveva affatto previsto che
il prepensionamento dovesse avvenire nell’ambito di una “ristrutturazione
aziendale” (sent. CTR, p. 2). In conseguenza la CTP accoglieva il ricorso
ed annullava gli atti impugnati.

3. Avverso la decisione sfavorevole conseguita in
primo grado, l’Ente impositore spiegava appello innanzi alla Commissione
Tributaria Regionale della Lombardia, rinnovando le proprie contestazioni e,
per quanto ancora d’interesse, sottolineando che il rapporto di collaborazione
professionale tra la società ed il M. non si era interrotto perché, anche a
seguito delle procedure di prepensionamento, egli aveva conservato l’incarico
di amministratore delegato, sebbene non vi fosse prova che non operasse più in
condizioni di subordinazione. La CTR osservava che il rapporto di lavoro
dipendente era comunque cessato, e pertanto valutava che competesse alla
società il diritto di accedere alla normativa beneficiaria. In conseguenza, il
giudice dell’appello confermava la decisione assunta dalla CTP.

4. Avverso la decisione adottata dalla CTR della
Lombardia ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate,
affidandosi ad un motivo di impugnazione. L’intimata società non si è costituita.

 

Ragioni della decisione

 

1. Mediante il suo strumento di impugnazione,
introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n.
3, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione
dell’art. 19, comma 4bis, del Dpr n.
917 del 1986, per non avere la CTR tenuto conto che il rapporto di lavoro
con il dipendente prepensionato era in realtà pacificamente continuato,
peraltro fino all’anno 2009, senza che la contribuente abbia fornito la prova
che fosse proseguito senza vincolo di subordinazione.

2. Con il suo motivo di ricorso, l’Agenzia delle
Entrate censura la violazione di legge in cui sarebbe incorsa l’impugnata CTR,
per aver ritenuto legittima l’applicazione dei benefici fiscali conseguenti
all’incentivo all’esodo corrisposto in favore del dipendente M. C., in
relazione all’anno 2004 ed ai sensi dell’art. 19 del Dpr n. 917 del 1986,
senza considerare che il suo rapporto di lavoro con la C. Srl era in realtà
proseguito anche dopo il preteso prepensionamento.

2.1. Invero il M., che era già amministratore
delegato della società sin dal 1990, aveva continuato a rivestire l’incarico
anche successivamente, fino al 2009, ed aveva percepito nell’anno 2004 la
retribuzione di Euro 81.503,00. A fronte di tali dati incontestati, secondo
l’Ente impositore avrebbe dovuto essere la società ad assicurare la prova che
l’amministratore delegato avesse operato senza vincolo di subordinazione, e che
pertanto il rapporto di lavoro dipendente fosse effettivamente cessato nel
2004, ma la C. Srl non vi aveva provveduto. Al proposito la CTR scrive che
“la prova richiesta dall’ufficio e non fornita dalla società per valutare
l’assoggettamento dell’amministratore-dipendente a un potere esterno di
controllo direttivo e disciplinare che configurasse l’elemento della
subordinazione, è priva di pregio perché non è in discussione qui la
qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dell’esodato in quanto lo
stesso è stato definitivamente allontanato dalla società come dipendente, ma il
diritto alla applicazione dell’aliquota ridotta per le somme percepite a
seguito della cessazione del rapporto di lavoro” (sent. CTR, p. 4). La
motivazione adottata dal giudice dell’appello, per quanto suscettibile di
essere esposta con maggiore chiarezza ed integrata, non appare infondata.

3. Questa Corte di legittimità ha ripetutamente
avuto occasione di chiarire che “la qualifica di amministratore di una
società commerciale non è di per sé incompatibile con la condizione di
Iavoratore subordinato alle dipendenze della stessa società, ma perché sia
configurabile un rapporto di lavoro subordinato è necessario che colui che
intende farlo valere non sia amministratore unico della società e provi in modo
certo il requisito della subordinazione – elemento tipico qualificante del
rapporto – che deve consistere nell’effettivo assoggettamento – nonostante la
carica di amministratore rivestita – al potere direttivo, di controllo e
disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo
complesso”, Cass. sez. L, 24.5.2000, n. 6819.

4. Indubbiamente, le attività svolte in qualità di
amministratore delegato di una società ed il rapporto di lavoro dipendente
prestato in favore della medesima società, hanno diversa natura giuridica.
Tanto non esclude che le due funzioni possano essere rivestite da un medesimo
soggetto. Quando risulti documentalmente accertata, come avviene nel caso di specie,
la cessazione formale del rapporto di lavoro quale dipendente, la prova che in
realtà il lavoratore subordinato abbia continuato ad essere tale, sebbene
rivestisse la carica di amministratore delegato, non può che incombere su chi
afferma il ricorrere della circostanza, pertanto, nel nostro caso,
sull’Amministrazione finanziaria. Quest’ultima, però, anche nel ricorso per
cassazione insiste nelle sue contestazioni formali, ma non indica in alcun modo
come abbia ritenuto di provare che il M., nonostante la formale cessazione del
rapporto di lavoro, fosse comunque rimasto un lavoratore dipendente della C.
Srl. Neppure attesta e prova che egli fosse l’amministratore unico della
società.

5. Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate
risulta quindi infondato, e deve essere pertanto respinto. Non occorre
provvedere sulle spese di lite, non essendosi costituita la C. Srl.

5.1. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa
alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione
pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle
Entrate.

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