Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 dicembre 2021, n. 41583

Licenziamento, Superamento del periodo di comporto, Onere
del datore di provare i fatti costitutivi del potere di recesso

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’appello di Napoli, pronunziando sull’appello
principale di D. S. s.r.l. e sull’appello incidentale di C.V., ha confermato la
sentenza di primo grado con la quale era stata dichiarata la illegittimità del
licenziamento intimato al V. in data 7 giugno 2011 per superamento del periodo
di comporto e la società datrice di lavoro condannata alla reintegra del
lavoratore nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno commisurato alla
retribuzione maturata a decorrere dalla data di presentazione dell’istanza del
tentativo di conciliazione alla DPL ;

2. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso D.S. s.r.l. sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito
con tempestivo controricorso illustrato con memoria;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt.
413, 115 e 116
cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.
contestando la individuazione del deposito di Benevento quale dipendenza
aziendale idonea a radicare la competenza per territorio del locale Tribunale;
assume che gli elementi richiamati nelle argomentazioni del giudice di appello
non avevano mai costituito oggetto di allegazione da parte dell’originario
ricorrente sul quale ricadeva il relativo onere;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 413,
115 e 116 cod.
proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 31, comma 4 e dell’art. 32, comma 1, I. n. 183/2010
e omesso esame di fatto controverso e decisivo. Censura la sentenza impugnata
per avere ritenuto sussistente la competenza della Direzione Provinciale del
Lavoro di Benevento e per avere omesso l’esame della eccepita decadenza
dall’impugnazione del licenziamento; sotto il primo profilo richiama quanto già
argomentato in relazione al primo motivo di ricorso; sotto il secondo profilo
argomenta della inidoneità della richiesta del tentativo di conciliazione
formulata dinanzi ad una Direzione Provinciale a impedire la decadenza ai sensi
dell’art. 32, comma 1, I. n.
183/2020; il ricorso  introduttivo,
depositato in data 30 maggio 2021, e quindi ben oltre il termine di 270 giorni
dalla data di impugnazione del licenziamento, comportava il venir meno
insanabilmente della relativa efficacia;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione
e falsa applicazione dell’art. 414 cod. proc. civ.,
dell’art. 24 Cost. e degli artt. 101 e 420 cod.
proc. civ. e omesso esame di fatto controverso e decisivo; censura la
decisione di secondo grado per avere omesso l’esame delle questioni proposte
con il ricorso in appello relative alla mancata produzione del contratto
collettivo e alla tardività delle argomentazione svolte dalla difesa avversaria
nelle note autorizzate del 17 giugno 2013; lamenta violazione del
contraddittorio per non essere stato concesso alla società un termine e difesa
per controdedurre in merito a quanto da controparte tardivamente ed
inammissibilmente eccepito; sostiene che nel ricorso di primo grado il
lavoratore si era limitato ad eccepire genericamente l’erroneo calcolo del
periodo di malattia e solo nelle note autorizzate, per la prima volta, aveva
menzionato la normativa di riferimento applicata richiamando in particolare la
norma collettiva pur senza avere mai allegato il contratto collettivo applicato
dalla società; tanto comportava la violazione degli oneri di allegazione a
carico del deducente con conseguente nullità del ricorso introduttivo;

4. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione
e falsa applicazione dell’art. 2110 cod. civ.,
dell’art. 26 c.c.n.l. Attività
Ferroviarie, degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. , dell’art.
414 cod. proc. civ,. e dell’art. 24 Cost.;
censura la statuizione di appello per avere escluso il superamento del periodo
di comporto; in particolare, premesso che per costante giurisprudenza il
computo di un termine fissato a mesi deve essere effettuato secondo il
calendario comune salvo che sussistano clausole contrattuali di diverso
contenuto che assumano una durata convenzionale fissa costituita da un
predeterminato numero dei giorni (Cass. n. 8358/99,
Cass. n. 7925/1999, Cass.
n.6554/2004), sostiene che nello specifico tale clausola era ravvisabile
nell’art. 63 c.c.nl. attività
Ferroviarie che dispone che la retribuzione giornaliera sia calcolata secondo
la retribuzione mensile per 26 giorni; secondo il ricorrente da tanto si
evinceva che le parti avevano inteso derogare al calendario comune per cui il
computo dei giorni di comporto calcolato su dodici mesi corrispondeva a 312
giorni di malattia pacificamente superati dal lavoratore; evidenzia che
comunque erano pacificamente maturati i 365 giorni di malattia;

5. con il quinto motivo deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 1227 cod. civ. e omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio censurando l’omessa valutazione
della eccezione relativa all’aliunde perceptum e percipiendum e la violazione
delle norme in tema di riduzione del danno per effetto del fatto colposo del
lavoratore il quale aveva l’obbligo di ricollocarsi sul mercato del lavoro; la
Corte aveva omesso di considerare la durata del processo, e di verificare la
inerzia del V. per il periodo successivo al licenziamento nella ricerca di
un’altra attività lavorativa;

6. il primo motivo di ricorso è infondato per essere
la statuizione investita conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo
la quale ai fini della individuazione della competenza ai sensi dell’art. 413 cod. proc. civ. per dipendenza aziendale
si intende il luogo in cui il datore ha dislocato un nucleo, seppur modesto, di
beni organizzati per l’esercizio dell’impresa (Cass. n. 14449/2019, Cass. n.
6132/2014, Cass. n. 10691/2004, n. 23110/2010, Cass. n. 17347/2013); tali caratteristiche sono
state ravvisate dal giudice di appello, con accertamento di fatto in astratto
incrinabile dalla deduzione di omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. – neppure
formulata dall’odierna ricorrente – nel deposito sito in Benevento, luogo posto
sotto il controllo dell’impresa datrice ove il V. prelevava gli strumenti di
lavoro necessari per la pulizia dei locali T. e dove iniziava e terminava
l’attività lavorativa;

6.1. è inappropriato il richiamo sia alla violazione
dell’art. 2697 cod. civ. che dell’art. 115 cod. proc. civ.: per il primo aspetto la
violazione dell’art. 2697 cod. civ. è
censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360,
co. 1, n. 3 cod. proc. civ., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia
attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella onerata secondo
le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti
costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la
valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass.
n. 15107/ 2013, Cass. n. 13395/2018); nello specifico dalla sentenza impugnata
non è dato in alcun modo evincere che la individuazione della sede di Benevento
quale dipendenza dell’azienda sia frutto di un sovvertimento della regola
dell’onere probatorio pacificamente gravante sulla parte attrice Cass. n.
17513/2014, Cass. 13147/1999); per l’altro aspetto, in tema di valutazione
delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito,
insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle
predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di
violazione o falsa applicazione di norme, bens un errore di fatto, che deve
essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di
motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art.
360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ. (tra le altre v. Cass. n. 23940/ 2017,
Cass. n. 4699 e 26769/2018, Cass. n. 1229/2019; Cass. n. 24395/2020), non
specificamente dedotto dall’odierna ricorrente;

6.2. l’assunto della mancata allegazione da parte
del lavoratore degli elementi di fatto sulla cui base sarebbe stato possibile
individuare la “dipendenza” della società T. oltre a non essere
sorretto in termini autosufficienti dalla trascrizione del ricorso di primo
grado è privo di pregio atteso che la Corte di merito ha richiamato sul punto
la sentenza di primo grado che aveva dato atto essere incontestato tra le parti
che la sede di lavoro del ricorrente indicata in contratto erano gli impianti
di T. siti in Benevento e che colà era stata prestata la attività lavorativa e
si trovava il deposito posto sotto il controllo dell’impresa, dove si trovavano
gli strumenti di lavoro e dove iniziava e terminava l’attività lavorativa (
sentenza, pag. 6 e sg.);

7. il secondo motivo è anch’esso da respingere;

7.1. premesso che la questione della incompetenza
della Direzione Provinciale di Benevento risulta assorbita dal rigetto del
primo motivo di ricorso che aveva contestato il radicamento della competenza
territoriale del Tribunale di Benevento, la censura di omesso esame della
eccezione di decadenza risulta inammissibile per difetto di specificità non
avendo parte ricorrente trascritto le pertinenti parti del ricorso in appello
con le quali la eccezione era stata formulata; in ogni caso, dallo storico di
lite del ricorso per cassazione ( v. in particolare, pagg. 13 lett. b) e 24) si
evince che la eccezione di decadenza era collegata alla ritenuta incompetenza
territoriale della DPL di Benevento – questione superata dal rigetto del primo
motivo di ricorso; può ulteriormente osservarsi che dagli elementi temporali
acquisiti in causa e richiamati nel ricorso per cassazione è da escludere il
verificarsi della eccepita decadenza per essere il licenziamento intimato il 7
giugno 2011, stato impugnato il 15 giugno successivo e la istanza alla DPL
presentata il 12.3.2012 (cadente di lunedì) e quindi nel rispetto dei 270
giorni prescritti dall’art. 6
I. n. 604/1966 nel testo modificato dall’art. 32 I. n. 183/2010;

8. il terzo motivo è inammissibile per difetto di
specificità derivante dalla mancata trascrizione, in violazione del disposto
dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ.,
degli atti di causa posti a base delle censure articolate (cfr., tra le altre, Cass. n. 342/2021, Cass. Sez. Un. 24369/2019,
Cass. n. 22792/29013); in ogni caso, nessun vulnus al diritto di difesa è
configurabile in relazione alla asserita mancata produzione del contratto
collettivo da parte del lavoratore, alla luce della giurisprudenza di questa
Corte secondo la quale in materia di impugnazione del licenziamento per superamento
del periodo di comporto, grava sul datore di lavoro l’onere di allegare e
provare i fatti costitutivi del potere di recesso e spetta al lavoratore la
loro contestazione (Cass. 23596/2018);

9. il quarto motivo di ricorso è infondato;

9.1. la sentenza impugnata ha mostrato
implicitamente di ritenere che il numero di giorni di malattia del V., pari,
per come pacifico a 365, non era idoneo a determinare il superamento del
periodo di comporto ed ha ritenuto non pertinente il riferimento alla
previsione collettiva che in tema di retribuzione giornaliera che stabiliva che
la stessa si otteneva dividendo per 26 la retribuzione mensile;

9.2. tale interpretazione è del tutto condivisibile.
All’art. 26 del contratto
collettivo applicabile le parti hanno dettato una disciplina molto articolata e
quindi tendenzialmente esaustiva in relazione alla malattia ed agli infortuni
non collegati all’attività lavorativa precisando che il periodo di comporto è
pari a dodici mesi; ove avessero voluto, in deroga al significato convenzionale
dell’espressione <<12 mesi» utilizzata nel testo contrattuale, stabilire
che il mese era pari a 26 giorni, lo avrebbero quindi precisato nella medesima
sede; al contrario, dalle pattuizioni intervenute in tale contesto non emerge
alcuna volontà derogatoria nel senso propugnato dalla odierna ricorrente; la
previsione dell’art. 63 c.c.n.l.
(rubricato Retribuzione) che stabilisce che la retribuzione giornaliera si
ottiene dividendo per 26 la retribuzione mensile è palesemente inconferente con
il tema del criterio di computo del comporto in quanto destinata a valere, come
emerge dalla collocazione sistematica all’interno della disciplina in tema di
retribuzione, per il calcolo di istituti connessi agli aspetti retributivi;

10. il quinto motivo di ricorso è inammissibile per
difetto di specificità;

10.1. la sentenza impugnata ha ritenuto di
condividere la valutazione di prime cure che nella determinazione del danno
risarcibile aveva scomputato il periodo decorrente dal licenziamento alla
istanza del tentativo obbligatorio di conciliazione ritenendo ingiustificata
l’inerzia del lavoratore nel proporre istanza alla DPL dopo nove mesi
dall’impugnativa del licenziamento; ha quindi evidenziato che non erano emerse
nel corso del giudizio specifiche circostanze in merito all’aliunde perceptum e
percipiendum; quest’ultima affermazione non è specificamente contrastata dalla
odierna ricorrente che si limita a richiedere genericamente una
rideterminazione del risarcimento evocando circostanze obiettivamente inidonee
ad evidenziare, in contrasto con l’accertamento fattuale del giudice di merito,
la sussistenza del dedotto aliunde quali la durata del processo di primo grado
e le richieste tese a verificare l’inerzia del V. per il periodo successivo al
licenziamento;

11. al rigetto del ricorso consegue il regolamento
delle spese di lite secondo soccombenza;

12. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228
del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte dell’ente ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315/2020).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 dicembre 2021, n. 41583
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