Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 05 aprile 2022, n. 88

Trattamenti previdenziali, Illegittimità costituzionale
dell’art. 38 del DPR 26 aprile 1957, n. 818, nella parte in cui non include tra
i destinatari diretti ed immediati della pensione di reversibilità i nipoti
maggiorenni orfani riconosciuti inabili al lavoro e viventi a carico degli
ascendenti assicurati

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ordinanza dell’8 aprile 2021, iscritta al n.
124 del relativo registro, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica 26
aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4
aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti), «nella parte in
cui non include, tra i soggetti ivi elencati, anche i maggiori orfani e
interdetti dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti».

1.1.- Il giudice rimettente espone che la Corte
d’appello di Napoli, con sentenza n. 3847 del 2018, in riforma della sentenza
di primo grado, rigettava la domanda proposta da C. C., in qualità di tutore di
S. R. – nipote orfana, incapace di intendere e di volere, convivente con il
nonno A. C. e maggiorenne all’epoca del decesso di quest’ultimo -, volta ad
ottenere la pensione di reversibilità.

La Corte di merito rilevava che il disposto
dell’art. 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni
delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la
vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria e
sostituzione dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione
obbligatoria per la nuzialità e la natalità), convertito, con modificazioni,
nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, come sostituito dalla legge 4 aprile 1952,
n. 218 (Riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per
l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti) e successivamente dalla legge 21
luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di
pensione della previdenza sociale) – secondo cui la pensione di reversibilità
spetta al coniuge e ai figli superstiti minorenni e di qualunque età inabili, a
carico del genitore al momento del decesso – era stato integrato, a seguito
della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma qui censurata
(sentenza n. 180 del 1999), anche ai minori conviventi con il nonno pensionato,
senza distinguere tra nipoti abili o inabili, con l’unico limite della minore
età.

La maggiore età della nipote escludeva, pertanto, ad
avviso della Corte di merito, la spettanza del diritto alla pensione di
reversibilità. Su questa argomentazione si incentravano i motivi del ricorso in
sede di legittimità.

1.2.- Osserva la Corte di cassazione rimettente che
la doglianza prospettata nei termini anzidetti importa la necessità di
verificare in via preliminare la legittimità costituzionale dell’art. 38 del
d.P.R. n. 818 del 1957.

1.2.1.- A tale scopo, essa muove dalla ricostruzione
del quadro normativo, rilevando che l’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come
convertito, prevede la prestazione indiretta a favore dei figli superstiti, di
qualunque età, riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al
momento del decesso di questi (art. 13, primo comma) e, in mancanza, anche ai
genitori, ai fratelli celibi e alle sorelle nubili superstiti che non siano
titolari di pensione, sempreché questi ultimi, al momento della morte del dante
causa, risultino permanentemente inabili al lavoro e a suo carico (art. 13,
sesto comma).

Ai fini del diritto alla pensione dei superstiti, i
figli di età superiore ai diciotto anni e inabili al lavoro, i figli studenti,
i genitori nonché i fratelli celibi e le sorelle nubili permanentemente inabili
al lavoro si considerano a carico dell’assicurato o del pensionato se questi,
prima del suo decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa
(art. 13, settimo comma).

Quindi, il r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito,
è stato abrogato dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 22 dicembre 2008, n.
200 (Misure urgenti in materia di semplificazione normativa), convertito, con
modificazioni, nella legge 18 febbraio 2009, n. 9, a decorrere dal 16 dicembre
2009, ma successivamente è stato sottratto all’effetto abrogativo dall’art. 1,
comma 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni
legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene
indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell’articolo 14 della legge 28
novembre 2005, n. 246).

Infine, l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, agli
effetti del diritto alle prestazioni delle assicurazioni obbligatorie per
l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, per la tubercolosi e per la
disoccupazione e alle maggiorazioni di esse, ha equiparato ai figli i minori
regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge.

Alla stregua di tali disposizioni, l’estensione dei
trattamenti previdenziali – entro certi limiti e condizioni – a determinati
componenti della famiglia dell’assicurato includeva solo i minori regolarmente
affidati dagli organi competenti a norma di legge e non anche i nipoti, pur se
minori e viventi a carico degli ascendenti, a meno che fossero sussistite le
predette condizioni, cioè che fossero stati formalmente affidati a questi
ultimi dagli organi competenti.

Su questo aspetto il giudice a quo evidenzia che è
intervenuta questa Corte (sentenza n. 180 del 1999), che ha accertato il
contrasto della previsione legislativa con il canone di ragionevolezza nella
parte in cui, mentre includeva, fra i destinatari diretti ed immediati della
pensione di reversibilità, i minori non parenti, formalmente affidati al
titolare della pensione principale, escludeva, tuttavia, dal beneficio
dell’ultrattività pensionistica i nipoti minori e viventi a carico degli
ascendenti assicurati, per i quali il legislatore non avesse richiesto tale
formale affidamento.

Pertanto, è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale del richiamato art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, nella parte
in cui non include, tra i soggetti ivi elencati, anche i minori dei quali
risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti, risultando così ampliata
la platea dei superstiti del lavoratore o assicurato ai nipoti, viventi a
carico dell’ascendente.

1.2.2.- In punto di rilevanza, il Collegio
rimettente puntualizza che la discendente superstite, orfana e interdetta,
vivente a carico dell’ascendente assicurato, aveva già raggiunto la maggiore
età all’epoca del decesso del nonno e, dunque, possedeva il requisito
anagrafico costituente elemento ostativo all’acquisizione del diritto alla
pensione di reversibilità, cosicché, per la sua peculiare condizione di
minorata capacità conseguente allo status di interdetta e di orfana dei
genitori, in forza della norma censurata, le sarebbe precluso il diritto alla
percezione di tale beneficio.

Aggiunge che non risulta dedotta in causa la
titolarità di altri trattamenti pensionistici ai superstiti, per avere l’ente
previdenziale opposto alla pretesa azionata esclusivamente la protezione
assistenziale riservata dalla legislazione a favore dei disabili.

1.2.3.- In ordine alla non manifesta infondatezza,
la Corte di cassazione rimettente osserva che l’ordinamento configura la
pensione di reversibilità come «una forma di tutela previdenziale ed uno
strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività
alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle
minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei
diritti civili e politici (art. 3,·secondo comma, Cost.) con una riserva,
costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento
preferenziale (art. 38, secondo comma, Cost.) rispetto alla generalità dei
cittadini (art. 38, primo comma, Cost.)» (sono, in proposito, citate le
sentenze di questa Corte n. 419 e n. 70 del 1999, n. 926, n. 777 e n. 18 del
1988, n. 286 del 1987).

Prospetta ancora che, per effetto della morte del
lavoratore o del pensionato, la situazione pregressa, costituita e realizzata
con la vivenza a carico, subisce interruzione, sicché con il trattamento di
reversibilità si realizza la garanzia della continuità del sostentamento ai
familiari superstiti.

Ad avviso del Collegio rimettente, tale precipua
connotazione previdenziale colloca detto trattamento nell’alveo degli artt. 36,
primo comma, e 38, secondo comma, Cost., che prescrivono l’adeguatezza della
pensione, quale retribuzione differita, e l’idoneità della stessa a garantire
un’esistenza libera e dignitosa.

Il fondamento solidaristico della pensione di
reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dalle
citate disposizioni costituzionali, risulterebbe ulteriormente ribadito da altra
pronuncia di questa Corte, secondo cui il connaturale raccordo tra finalità
previdenziale e fondamento solidaristico è espresso dalla tutela della
continuità del sostentamento al superstite convivente e dalla prevenzione dello
stato di bisogno che può derivare, a quest’ultimo, dalla morte del congiunto,
sicché il perdurare del vincolo di solidarietà familiare proietta la sua forza
cogente anche nel tempo successivo alla morte (sentenza n. 174 del 2016).

Quindi, la Corte di legittimità evoca il precedente
di cui alla sentenza di questa Corte n. 180 del 1999, che ha già posto in
rilievo come «il rapporto parentale, tra ascendenti e discendenti, non solo
nella realtà concreta ma anche sotto il profilo giuridico, assuma forma
peculiare e pregnante fondata sul carattere naturale della solidarietà
familiare di cui l’ordinamento si fa carico attraverso i doveri di
mantenimento, istruzione, educazione, di prestare gli alimenti, ecc. che il
diritto di famiglia pone a carico delle persone legate da stretti rapporti di
parentela, doveri e obblighi – sanzionati penalmente – scaturenti dalle
disposizioni del codice civile nei confronti degli ascendenti nei casi di
impossibilità ad assolverli da parte dei genitori».

Richiama, altresì, la sentenza della Corte di cassazione,
sezione lavoro, 22 novembre 2018, n. 20267 (recte: n. 30267), che ha messo in
luce la fondamentale ratio solidaristica sottesa alla reversibilità del
trattamento pensionistico, in continuità con la sentenza della stessa Corte di
cassazione, sezione lavoro, 15 novembre 2016, n. 23285, che detta ratio aveva
valorizzato nella prosecuzione dell’erogazione del trattamento di reversibilità
agli studenti, figli dell’assicurato o pensionato, correlata alla prevenzione
del bisogno derivante dalla continuazione degli studi oltre la maggiore età.

Il giudice a quo precisa, poi, che questa Corte,
chiamata a pronunciarsi in relazione ad una delle condizioni necessarie per
l’attribuzione della prestazione – ossia quella negativa della mancata
prestazione di un lavoro retribuito da parte dello studente – ha escluso la
possibilità di valorizzare, in funzione preclusiva per l’acquisizione del
diritto, lo svolgimento di attività di modesto rilievo e con esigua
remunerazione, osservando che «qualora si versi in una situazione del genere
(che dovrà essere di volta in volta valutata in concreto), la percezione di un
piccolo reddito per attività lavorative, pur venendo a migliorare la situazione
economica dell’orfano, non gli fa perdere la sua prevalente qualifica di
studente; sicché la totale eliminazione o anche la semplice decurtazione della
quota di pensione di reversibilità si risolverebbe in una sostanziale lesione
del diritto allo studio con deteriore trattamento dello studente, in contrasto
coi principi di cui agli artt. 3, 4, 34 e 35 della Costituzione» (sentenza n.
42 del 1999; nello stesso senso, sentenza n. 406 del 1994 e ordinanza n. 74 del
1993).

In base all’assunto del Collegio rimettente, se,
dunque, la ratio della reversibilità dei trattamenti pensionistici consiste nel
«farne proseguire almeno parzialmente, anche dopo la morte del loro titolare,
il godimento da parte dei soggetti a lui legati da determinati vincoli
familiari, garantendosi così ai beneficiari la protezione dalle conseguenze che
derivano dal decesso del congiunto» (sono citate le sentenze di questa Corte n.
70 del 1999, n. 18 del 1998, n. 495 del 1993 e n. 286 del 1987), e «si realizza
in tal modo, anche sul piano previdenziale, una forma di ultrattività della
solidarietà familiare» (sentenza n. 180 del 1999), il rapporto di parentela tra
l’ascendente e il nipote verrebbe ad avere, nella vicenda in esame, un
trattamento irragionevolmente deteriore.

Invero, secondo il giudice a quo, il vincolo
familiare tra l’ascendente e il nipote, maggiore di età, orfano e interdetto –
nel cui ambito è, all’evidenza, più pregnante l’obbligo di assistenza, anche
materiale, immanente alla relazione affettiva – è in tutto e per tutto
assimilabile alla medesima relazione tra ascendente e nipote minore di età a
carico, per essere immutata la condizione di minorata capacità del nipote,
maggiore interdetto, rispetto al nipote di età inferiore ai diciotto anni,
entrambi viventi a carico dell’ascendente al momento del decesso di
quest’ultimo.

In forza di questa ricostruzione, il rimettente
sottolinea che il collegamento genetico sotteso al rapporto giuridico
preesistente, quale presupposto necessario per l’accesso al trattamento
pensionistico di reversibilità, si manifesta con l’intensità del vincolo
affettivo e l’ampiezza del rapporto parentale contraddistinti dalla condizione
di orfano del nipote interdetto, condizione per la quale assumerebbe maggior
vigore anche la speciale e privilegiata disciplina voluta dal legislatore, sul
piano dei diritti e dei relativi obblighi: il dovere di concorso negli oneri di
mantenimento, istruzione ed educazione, sancito dall’art. 316-bis del codice
civile a carico degli ascendenti quando i genitori non hanno i mezzi
sufficienti; l’obbligo di prestare gli alimenti, che può essere assolto anche
accogliendo e mantenendo nella propria casa gli aventi diritto ex artt. 433 e
443 cod. civ.; l’intervento giudiziale nel caso in cui ai nonni venga impedito
il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni ai sensi
dell’art. 317-bis cod. civ.; il diritto del nipote alla continuità affettiva
con i nonni, declinato dall’art. 315-bis cod. civ.; la tutela penale di tali
doveri ed obblighi per effetto degli artt. 570 e 591 del codice penale.

Inoltre, la Corte di cassazione rimettente valorizza
il significativo rapporto instaurato tra ascendente e nipote, suscettibile di
tutela come «vita familiare» ex art. 8 della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (è
richiamata, in proposito, Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione,
sentenza 5 marzo 2019, Bogonosovy contro Russia, che ha ribadito
l’indissolubilità del legame tra nonno e nipote, già affermato in precedenti
decisioni).

In conseguenza, sarebbe irragionevole che i nipoti
minori possano godere del trattamento pensionistico del de cuius e i nipoti
maggiorenni, orfani e interdetti, viventi a carico dell’ascendente assicurato
ne siano esclusi, non potendo ragionevolmente argomentarsi siffatta esclusione
sulla scorta della limitata durata nel tempo della prestazione in favore dei
nipoti minori (fino alla maggiore età) e della più lunga durata
dell’aspettativa di vita del nipote maggiore interdetto.

Sicché, ad avviso del rimettente, il criterio
selettivo dell’età o della speranza di vita del beneficiario, in funzione del
contenimento della spesa previdenziale, richiamato dall’ente previdenziale, non
potrebbe costituire la direttrice dell’istituto, conformato, nel tempo, con
l’evoluzione della platea degli aventi diritto, ad un’estensione della
protezione per l’evento morte, generatore di una condizione di bisogno per i
familiari superstiti.

Prospetta, ancora, il giudice a quo che il medesimo
criterio selettivo mal si concilierebbe – appalesandosi, piuttosto, un
ulteriore profilo di irragionevolezza – con il riconoscimento del trattamento
pensionistico di reversibilità, vita natural durante, ai figli maggiorenni e
inabili al lavoro, superstiti dei genitori, proprio perché non in grado di
procurarsi un reddito a cagione della predetta condizione.

La preminente tutela dei più bisognosi, deboli e
vulnerabili all’interno del nucleo familiare – e, più in generale, la
protezione della vita familiare, che ha portato a riconoscere come superstiti
dei nonni i nipoti minori, per garantire la continuità del sostentamento cui ha
provveduto in vita l’ascendente – dovrebbe includere il discendente che versa
in condizione ancor più accentuata di bisogno, fragilità, vulnerabilità, quale
il nipote maggiorenne, orfano e interdetto.

Neanche rileverebbe, continua il Collegio
rimettente, che altri siano i rimedi e gli strumenti offerti dall’ordinamento a
protezione dell’inabile totale, trattandosi di benefici specifici, involgenti
la tutela assistenziale approntata dall’ordinamento stesso, ed esterni, dunque,
alla relazione parentale permeata dal vincolo costituzionale di solidarietà.

Se, dunque, il perdurare del vincolo di solidarietà
familiare e parentale proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo
alla morte, il legislatore è chiamato a specificare e a modulare le multiformi
situazioni meritevoli di tutela, coerentemente con i principi di eguaglianza e
ragionevolezza, nel realizzare un equilibrato contemperamento di molteplici
fattori rilevanti, allo scopo di garantire l’assetto del sistema previdenziale
globalmente inteso (in riferimento al vincolo di solidarietà coniugale, è
nuovamente citata la sentenza di questa Corte n. 174 del 2016).

Il presupposto della vivenza a carico – cioè la
dipendenza economica del beneficiario dal reddito dell’assicurato deceduto –
per l’accesso alla tutela dei familiari superstiti rinverrebbe il suo
fondamento nella protezione sociale riconosciuta a chi versa nell’impossibilità
di procurarsi un reddito da lavoro in ragione della condizione di inabilità e,
dunque, nello stato di bisogno economico, condizione quest’ultima presunta, per
figli e nipoti minorenni, in considerazione del requisito anagrafico.

Secondo il giudice a quo, la pregnanza del vincolo
di solidarietà familiare e lo stato di bisogno economico vanno valorizzati
anche nel rapporto tra nonno e nipote maggiore di età interdetto, e il dato
anagrafico che distinguerebbe i nipoti minori di età, abili o inabili, e i nipoti
interdetti maggiori di età introdurrebbe un divario irragionevole, incoerente
con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità.

Infatti, sulla scorta delle argomentazioni della
Corte rimettente, la regola per cui la determinazione delle prestazioni e
l’individuazione del novero dei beneficiari è rimessa alla discrezionalità
delle scelte legislative, in merito alle esigenze di equilibrio delle gestioni,
incontra un limite nei casi in cui dal relativo confronto emerga una evidente
irragionevolezza nel trattamento di situazioni identiche, quali la garanzia
della continuità del sostentamento fornito al figlio superstite incapace di
intendere e di volere, maggiore di età e a carico del genitore, rispetto al
nipote, nella medesima condizione, a carico del nonno.

In ultimo, afferma il rimettente, l’allungamento
dell’aspettativa di vita, in nome del vincolo imposto dall’art. 81, quarto
comma, Cost., in ragione della sostenibilità finanziaria del sistema e della
corrispondenza tra risorse disponibili e prestazioni erogate, non può porre il
discendente interdetto e orfano, a carico dell’ascendente assicurato, in
posizione deteriore rispetto ad altri beneficiari con minore aspettativa di
vita (quali i fratelli) sol per via del salto generazionale tra nonno e nipote,
potendo, al riguardo, opporsi i rilievi già svolti in merito al non decisivo
argomento dell’aspettativa di vita del superstite.

Anzi sarebbe necessario, proprio a protezione delle
fragili condizioni che connotano, nella specie, l’aspettativa di vita di tali
soggetti, che il superstite possa godere dell’ultrattività al pari di altri
superstiti.

2.- Con atto depositato il 27 settembre 2021 è
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la
declaratoria di inammissibilità o di infondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale sollevate.

L’interveniente evidenzia, anzitutto, che l’art. 38
del d.P.R. n. 818 del 1957, al fine di riconoscere il diritto alle prestazioni
delle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti,
per la tubercolosi e per la disoccupazione, equipara, ai figli legittimi o
legittimati, i figli adottivi, affiliati, naturali e i minori regolarmente affidati
mentre equipara ai genitori gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la
matrigna nonché le persone alle quali il minore sia stato affidato.

Quindi, con la già ricordata sentenza n. 180 del
1999 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di tale disposizione,
nella parte in cui non includeva tra i beneficiari elencati anche i minori,
formalmente non affidati, dei quali risultasse provata la vivenza a carico
degli ascendenti.

2.1.- Sulla scorta di queste premesse, l’Avvocatura
generale dello Stato osserva che le questioni sollevate sarebbero inammissibili
sotto un duplice ordine di profili.

In primo luogo, l’ordinanza di rimessione
motiverebbe in modo insufficiente sulla rilevanza delle questioni, poiché non
sarebbe precisato in quale momento la nipote dell’assicurato sia stata
dichiarata inabile, né il tipo di inabilità, essendo stato genericamente
riferito lo stato di inabilità totale, senza precisazione della sua
definitività o temporaneità. Non sarebbero inoltre desumibili gli elementi da
cui trarre il convincimento che l’assicurato provvedesse in modo continuativo
al sostentamento della nipote o che fosse l’unico a provvedervi. Non sarebbe
dato altresì ricavare che i genitori della maggiorenne interdetta non fossero
sopravvissuti alla morte del nonno né vi sarebbe alcun dato da cui rilevare che
tale nipote non percepisse altri trattamenti pensionistici e che effettivamente
fosse nubile. In ultimo, non sarebbe precisato se la nipote versasse in uno
stato di effettivo bisogno economico.

In secondo luogo, sarebbe erroneamente identificata
la norma oggetto di censura, in conseguenza di una ricostruzione parziale del
quadro normativo. Infatti, i dubbi di legittimità si appuntano sull’art. 38 del
d.P.R. n. 818 del 1957, che riconosce il diritto alla pensione di reversibilità
ai parenti dell’assistito che siano inabili al lavoro, nella parte in cui tale
diritto non è riconosciuto al nipote maggiorenne inabile, mentre tali dubbi non
si estendono all’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito, che
regola un’ipotesi specifica del diritto al trattamento della pensione di
reversibilità.

Ad avviso della difesa erariale, quest’ultimo
disciplinerebbe, oltre alla fattispecie ordinaria della pensione di
reversibilità spettante al coniuge e ai figli superstiti che al momento della
morte dell’assicurato o del pensionato non abbiano superato l’età di diciotto
anni – fattispecie ricompresa nella previsione di cui all’art. 13 della legge
n. 218 del 1952, di cui la norma censurata sarebbe specificazione -, anche la
fattispecie della pensione di reversibilità spettante ai figli di qualunque età
riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso
di questi e, in mancanza, rispettivamente ai genitori ultrasessantacinquenni
non titolari di pensione e a carico del pensionato o dell’assicurato al momento
della sua morte o, ancora, ai fratelli celibi e alle sorelle nubili superstiti,
non titolari di pensione, permanentemente inabili al lavoro e a carico del
dante causa al momento del suo decesso, ossia al cui sostentamento provvedeva
il dante causa in maniera continuativa.

Pertanto, rispetto alla situazione in cui versa la
nipote maggiorenne, orfana e inabile al lavoro, sarebbe l’art. 13 del r.d.l. n.
636 del 1939, come convertito, a negare concretamente il diritto alla pensione
di reversibilità, e non già il censurato art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957.

Ed invero, il giudice a quo prospetta
l’irragionevolezza dell’esclusione proprio rispetto al trattamento
pensionistico di reversibilità, vita natural durante, riconosciuto ai figli
maggiorenni inabili al lavoro, superstiti ai genitori, dall’art. 13 del r.d.l.
n. 636 del 1939.

Su tale aspetto, la difesa statale rileva, infine,
che la stessa ordinanza di rimessione, in prima battuta, si interroga sulla
necessità di verificare la legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.P.R.
n. 818 del 1957 e dell’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito, per
poi sviluppare le motivazioni della non manifesta infondatezza esclusivamente
sulla prima disposizione.

2.2.- Nel merito, il Presidente del Consiglio dei
ministri deduce la non fondatezza delle questioni, attenendo esse ad un ambito
riservato alla discrezionalità del legislatore, ove non sarebbe ravvisabile una
soluzione costituzionalmente obbligata.

Spetterebbe al legislatore effettuare le possibili
scelte in ordine alla platea degli aventi diritto alla pensione di
reversibilità ai superstiti, in ragione della sua funzione di garantire la
continuità del loro sostentamento, potendo la Corte intervenire solo allorché
la decisione appaia in antitesi con i più elementari canoni dell’equità e della
logica.

E ciò dovrebbe valere anche per l’estensione della
pensione di reversibilità ai nipoti maggiorenni, orfani e inabili al lavoro,
atteso che l’ordinamento offre, a protezione dell’inabile totale, altre forme
di assistenza economica. Tali forme di assistenza, seppure dettate da diverse
esigenze ed aventi differente finalità, rappresentano una forma di reddito
potenzialmente idonea a far venir meno lo stato di bisogno e, quindi, capace di
escludere il diritto ad ottenere la pensione di reversibilità.

D’altronde, un’estensione di tal fatta sarebbe
suscettibile di determinare ulteriori oneri per la finanza pubblica in termini
di maggiore spesa pensionistica.

Secondo la difesa erariale, un ulteriore motivo di
infondatezza sarebbe ravvisabile con riferimento alla situazione dedotta quale
tertium comparationis – ossia il riconoscimento della pensione di reversibilità
al figlio maggiorenne inabile -, non potendo equipararsi la posizione del
nipote a quella del figlio, non solo per il differente legame intercorrente con
il de cuius, ma anche sul piano patrimoniale.

Ed infatti, il nipote orfano maggiorenne potrebbe
essere già percettore di pensione di reversibilità, laddove i propri genitori
ne avessero maturato i presupposti, situazione nella quale non potrebbe
trovarsi per definizione il figlio dell’assicurato, il che potrebbe comportare
il paradosso della percezione di più forme di assistenza previdenziale, oltre
il reale stato di bisogno, in favore del nipote.

Altrettanto incomparabili sarebbero le posizioni del
nipote maggiorenne inabile e del nipote minorenne, poiché nel primo caso il
trattamento previdenziale avrebbe una durata indeterminata e comunque tendenzialmente
più lunga, essendo legata alle aspettative di vita, mentre nel secondo caso la
prestazione riconosciuta ha una durata predeterminata e limitata nel tempo,
venendo meno con il raggiungimento della maggiore età.

 

Considerato in diritto

 

1.- La Corte di cassazione, sezione lavoro, dubita
della legittimità costituzionale dell’art. 38 del decreto del Presidente della
Repubblica 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della
legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni
dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti),
«nella parte in cui non include, tra i soggetti ivi elencati, anche i maggiori
orfani e interdetti dei quali risulti provata la vivenza a carico degli
ascendenti».

1.1.- In base all’articolata ricostruzione del
rimettente, la mancata previsione della reversibilità per i nipoti maggiorenni,
orfani e interdetti, conviventi con l’ascendente e a suo carico, violerebbe
anzitutto l’art. 3 della Costituzione sotto un duplice profilo.

In primo luogo, la disciplina sarebbe
intrinsecamente irragionevole, a fronte della funzione solidaristica della
pensione di reversibilità ai superstiti: infatti, pur ricorrendo una rilevante
relazione affettiva tra nonno e nipote, riconosciuta da plurime norme
dell’ordinamento, sarebbe disconosciuta la spettanza della pensione di
reversibilità al discendente più prossimo, al cui sostentamento abbia
provveduto l’ascendente, in ragione della premorienza dei suoi genitori e dello
stato di incapacità legale da cui è afflitto.

In secondo luogo, la norma che non prevede il
riconoscimento del diritto assistenziale a tale categoria di aventi diritto
determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento sia rispetto ai
nipoti minorenni, abili o inabili al lavoro, ugualmente a carico
dell’ascendente, sia rispetto ai figli maggiorenni e inabili al lavoro, che
siano a carico dei genitori, categorie, queste ultime, che invece hanno diritto
al godimento della pensione di reversibilità.

Inoltre, il mancato riconoscimento della pensione di
reversibilità ai superstiti in favore dei nipoti maggiorenni, orfani e
interdetti, lederebbe l’art. 38 Cost., poiché verrebbe indebitamente negato il
diritto di questi soggetti, benché sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, al
mantenimento e all’assistenza sociale, di cui l’istituto in questione
costituisce espressione.

2.- Prima di passare all’esame delle questioni
sollevate, deve procedersi ad una specificazione del petitum quale risultante
dal dispositivo della ordinanza di rimessione nella parte in cui si riferisce
alla condizione di interdetta della nipote del de cuius richiedente la pensione
di reversibilità.

Dalla complessiva lettura dell’ordinanza si evince,
infatti, che la condizione di interdizione è stata richiamata sull’implicito
presupposto che dalla stessa sia derivata l’inabilità al lavoro. E che il
petitum si fondi sulla premessa logica della rilevanza dell’interdizione, non
in quanto tale, ma in quanto da essa sia scaturita l’inabilità al lavoro, è
desumibile, non solo dall’espresso riferimento a quest’ultima contenuto in
alcuni passi dell’ordinanza, ma anche dall’esplicita correlazione con la
situazione posta in comparazione, relativa ai figli inabili al lavoro ai sensi
dell’art. 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni
delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la
vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria e
sostituzione dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione obbligatoria
per la nuzialità e la natalità), convertito, con modificazioni, nella legge 6
luglio 1939, n. 1272, come sostituito dalla legge 4 aprile 1952, n. 218
(Riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità,
la vecchiaia e i superstiti) e successivamente dalla legge 21 luglio 1965, n.
903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della
previdenza sociale).

Inoltre, la puntuale indicazione dei profili di
contrasto della norma denunciata con i parametri costituzionali evocati è
significativa della circostanza che il petitum deve essere riferito ai nipoti
maggiorenni, orfani e inabili al lavoro, dei quali risulti provata la vivenza a
carico degli ascendenti.

Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, nel
suo atto di intervento per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, postula
che il requisito dell’interdizione si accompagni alla condizione di inabilità
al lavoro del soggetto interessato.

Pertanto, dalla lettura coordinata del dispositivo e
della motivazione dell’ordinanza di rimessione emerge che l’intervento additivo
chiesto dal rimettente deve essere riferito alla situazione di inabilità al
lavoro del nipote maggiorenne e orfano, che nel caso di specie si associa ad
una condizione di interdizione, la quale logicamente la presuppone: tanto più a
seguito dell’inserimento nell’ordinamento, per effetto della legge 9 gennaio
2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del
capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica
degli artt. 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in
materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di
attuazione, di coordinamento e finali), tra le misure a protezione delle
persone prive (in tutto o in parte) di autonomia, dell’amministrazione di
sostegno, che ha reso del tutto residuale il ricorso al provvedimento di
interdizione, limitandolo ai casi più gravi, in cui esso sia necessario per
assicurare adeguata protezione ai soggetti che versino in condizioni di
abituale infermità di mente che li renda incapaci di provvedere ai propri
interessi (sulla possibilità che la discrepanza tra motivazione e dispositivo
dell’ordinanza di rimessione sia agevolmente risolta tramite gli ordinari
criteri ermeneutici, sentenze n. 224 e n. 58 del 2020, n. 219 del 2017, n. 203
e n. 94 del 2016 e n. 170 del 2013; ordinanza n. 244 del 2017).

3.- In via preliminare, va ancora rilevato che le
questioni di legittimità costituzionale sollevate non incorrono nei profili di
inammissibilità segnalati dall’interveniente.

3.1.- La difesa dello Stato eccepisce che
l’ordinanza di rimessione motiverebbe in modo insufficiente sulla rilevanza
delle questioni, poiché non sarebbe precisato in quale momento la nipote
dell’assicurato sia stata dichiarata inabile, né il tipo di inabilità,
essendone genericamente riferito lo stato di inabilità totale, senza
precisazione della sua definitività o temporaneità.

Non sarebbero inoltre desumibili dall’ordinanza gli
elementi da cui trarre il convincimento che l’assicurato provvedesse in modo
continuativo al sostentamento della nipote o che fosse l’unico a provvedervi;
né sarebbe dato ricavare che i genitori della maggiorenne interdetta non
fossero sopravvissuti alla morte del nonno. Non vi sarebbe, inoltre, alcun
indice da cui rilevare che la stessa non percepisse altri trattamenti
pensionistici e che effettivamente fosse nubile.

In ultimo, non sarebbe precisato se la nipote
versasse in uno stato di effettivo bisogno economico.

3.1.1.- Va premesso che compete al giudice
rimettente la qualificazione della fattispecie portata al suo esame nel
giudizio principale, atteso che il sindacato sulla rilevanza, effettuato da
questa Corte, ha carattere esterno, si arresta cioè alla soglia della non implausibilità
della motivazione dell’ordinanza di rimessione (sentenze n. 194, n. 183, n. 59,
n. 32 e n. 15 del 2021, n. 267 e n. 32 del 2020; ordinanze n. 117 del 2017 e n.
47 del 2016).

Ciò posto, l’eccezione è priva di fondamento.

Il giudice rimettente espone che la Corte d’appello
di Napoli, con sentenza n. 3847 del 2018, in riforma della decisione di primo
grado, ha rigettato la domanda proposta da C. C., in qualità di tutore di S. R.
– nipote orfana, incapace di intendere e di volere, convivente con il nonno A.
C. e maggiorenne all’epoca del decesso di quest’ultimo -, volta ad ottenere la
pensione di reversibilità.

La medesima ordinanza di rimessione aggiunge che la
Corte di merito ha negato il diritto alla pensione di reversibilità in ragione
della maggiore età della nipote, avendo la sentenza di questa Corte n. 180 del
1999 esteso la platea degli aventi diritto ai soli nipoti minorenni.

E su tale aspetto si appuntano i motivi di ricorso
sviluppati dalla Corte di cassazione rimettente. In punto di rilevanza, il
giudice a quo evidenzia, inoltre, che la discendente superstite, orfana e
interdetta, a carico dell’ascendente assicurato, aveva già raggiunto la
maggiore età all’epoca del decesso del nonno e, dunque, possedeva il requisito
anagrafico costituente elemento ostativo all’acquisizione del diritto alla
reversibilità, cosicché, in forza della norma censurata, le sarebbe precluso il
diritto alla pensione di reversibilità.

Precisa, ancora, che non risulta dedotta in causa la
titolarità di altri trattamenti pensionistici ai superstiti, circostanza non
eccepita dall’ente previdenziale.

Alla luce delle argomentazioni esposte, la
fattispecie concreta risulta descritta in modo sufficiente a suffragare il
requisito della rilevanza, atteso che le indagini in fatto sono state svolte
dalla Corte di merito, che ha accertato la ricorrenza di tutte le condizioni
affinché la pretesa al conseguimento della pensione di reversibilità per i
superstiti, in favore della nipote orfana, inabile al lavoro, convivente con il
nonno e a suo carico, fosse riconosciuta, ma ha disatteso la relativa domanda
esclusivamente per la carenza del requisito anagrafico, ossia per il
raggiungimento della maggiore età della nipote al momento in cui il nonno è
deceduto (sul rigetto dell’eccezione d’inammissibilità per difetto di
rilevanza, sentenze n. 194 e n. 22 del 2021).

Non era nei poteri del giudice di legittimità
effettuare indagini ulteriori sul fatto, atte a confermare l’integrazione delle
condizioni prescritte per il godimento del diritto alla pensione di
reversibilità ai superstiti, tanto più che i motivi di ricorso si incentravano
in via esclusiva sull’esegesi della norma impugnata, nella parte in cui nega il
riconoscimento di detto diritto a vantaggio dei nipoti maggiorenni e inabili al
lavoro.

D’altronde, il fatto che ad agire sia stato il
tutore della persona interessata, qualificata come interdetta, lascia intendere
che la nipote fosse in stato di incapacità di agire, ossia che si trovasse in
condizioni di abituale infermità di mente, tale da renderla incapace di
provvedere ai propri interessi, ai sensi dell’art. 414 del codice civile.

3.1.2.- Peraltro, il requisito anagrafico
costituisce comunque presupposto necessario affinché si possa invocare la
sussistenza del diritto in questione, sicché, quand’anche le ulteriori
condizioni per il conseguimento dello stesso in astratto non sussistessero, non
potrebbe essere accolta l’eccezione d’inammissibilità, per mancanza di utilità
concreta per la parte attrice nel giudizio a quo, delle questioni sollevate in
ordine al richiesto presupposto della minore età del nipote che invoca il
diritto.

Competerà, successivamente, al giudice di merito –
cui la causa sia rinviata per effetto dell’ipotetica cassazione della pronuncia
impugnata in sede di legittimità – verificare la ricorrenza delle altre
condizioni previste dalla legge, e non già al giudice della nomofilachia.

Invero, il requisito della rilevanza non si
identifica nell’utilità concreta di cui le parti in causa potrebbero
beneficiare (sentenze n. 172 e n. 59 del 2021, n. 254 del 2020), essendo
sufficiente, per l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale
sollevate in via incidentale, che la disposizione censurata sia applicabile nel
giudizio a quo, senza che rilevino gli effetti di una eventuale pronuncia di
illegittimità costituzionale per le parti in causa (sentenze n. 253, n. 174 e
n. 170 del 2019).

3.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri
propone un’ulteriore eccezione di inammissibilità, sostenendo che sarebbe
erroneamente identificata la norma oggetto di censura, in conseguenza di una
ricostruzione parziale del quadro normativo.

Infatti, i dubbi di legittimità costituzionale si
appuntano sull’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, che riconosce il diritto
alla pensione di reversibilità ai parenti dell’assistito che siano inabili al
lavoro, nella parte in cui tale diritto non è riconosciuto al nipote
maggiorenne inabile, mentre tali dubbi non si estendono all’art. 13 del r.d.l.
n. 636 del 1939, come convertito, che regola un’ipotesi specifica del diritto
al trattamento della pensione di reversibilità.

La difesa erariale osserva che l’art. 13 del r.d.l.
n. 636 del 1939, come convertito, disciplina, oltre alla fattispecie ordinaria
della pensione di reversibilità spettante al coniuge e ai figli superstiti che
al momento della morte dell’assicurato o del pensionato non abbiano superato
l’età di diciotto anni – fattispecie ricompresa nell’art. 13 della legge n. 218
del 1952, di cui la norma censurata costituisce specificazione -, anche la
fattispecie della pensione di reversibilità spettante ai figli di qualunque età
riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del suo
decesso e, in mancanza, rispettivamente ai genitori ultrasessantacinquenni non
titolari di pensione e a carico del pensionato o dell’assicurato al momento
della sua morte o, ancora, ai fratelli celibi e alle sorelle nubili superstiti,
non titolari di pensione, permanentemente inabili al lavoro e a carico del
dante causa al momento del suo decesso, ossia al cui sostentamento provvedeva
il dante causa in maniera continuativa.

In base all’assunto dell’interveniente, rispetto
alla situazione in cui versa la nipote maggiorenne, orfana e inabile al lavoro,
sarebbe l’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939 a negare concretamente il diritto
alla pensione di reversibilità, e non già il censurato art. 38 del d.P.R. n.
818 del 1957.

Questa conclusione sarebbe avvalorata dal fatto che
il giudice a quo prospetta l’irragionevolezza dell’esclusione proprio rispetto
al trattamento pensionistico di reversibilità, vita natural durante,
riconosciuto dall’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito, ai figli
maggiorenni inabili al lavoro, sopravvissuti ai genitori.

Su tale aspetto, la difesa statale evidenzia, in
ultimo, che la stessa ordinanza di rimessione, in prima battuta, si interroga
sulla necessità di verificare la legittimità costituzionale dell’art. 38 del
d.P.R. n. 818 del 1957 e dell’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, per poi
sviluppare le motivazioni della non manifesta infondatezza esclusivamente sulla
prima disposizione indicata.

3.2.1.- L’eccezione non può trovare accoglimento.

La giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che
ricorre l’inammissibilità delle questioni per aberratio ictus solo ove sia erroneamente
individuata la norma in riferimento alla quale sono formulate le censure di
illegittimità costituzionale (sentenze n. 32 del 2021, n. 224 del 2020 e n. 24
del 2019).

Ciò posto in via generale, l’art. 13 del r.d.l. n.
636 del 1939, come convertito, prevede la prestazione indiretta a favore dei
figli superstiti, di qualunque età, riconosciuti inabili al lavoro e a carico
del genitore al momento del suo decesso, mentre l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del
1957, al fine di riconoscere il diritto alle prestazioni delle assicurazioni
obbligatorie per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, per la tubercolosi
e per la disoccupazione, equipara ai figli legittimi o legittimati
(formulazione, quest’ultima, non più in vigore: la legge 10 dicembre 2012, n.
219, recante «Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali»,
all’art. 2, comma 1, lettera a, ha delegato il Governo ad emanare un decreto
legislativo a modifica delle disposizioni vigenti sostituendo «i riferimenti ai
“figli legittimi” e ai “figli naturali” con i riferimenti ai “figli” salvo
l’utilizzo delle denominazioni di “figli nati nel matrimonio” o di “figli nati
fuori del matrimonio”, quando si tratta di disposizioni a essi specificamente
relative». La delega è stata attuata con il decreto legislativo 28 dicembre
2013, n. 154, recante «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di
filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219»), i
figli adottivi, affiliati, naturali e i minori regolarmente affidati, e ai genitori
gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la matrigna nonché le persone alle
quali il minore sia stato affidato.

Alla stregua del descritto quadro normativo,
l’estensione dei trattamenti previdenziali – entro certi limiti e condizioni –
a determinati componenti della famiglia dell’assicurato include solo i minori
regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge e non anche i
nipoti, pur se minori e viventi a carico degli ascendenti, a meno che fossero
sussistite le predette condizioni, cioè che fossero stati formalmente affidati
a questi ultimi dagli organi competenti.

Su tale aspetto è intervenuta questa Corte, che ha
accertato il contrasto della previsione legislativa con il canone di
ragionevolezza nella parte in cui, mentre includeva, fra i destinatari diretti
ed immediati della pensione di reversibilità, i minori non parenti, formalmente
affidati al titolare della pensione principale, escludeva dal beneficio
dell’ultrattività pensionistica i nipoti minori e viventi a carico degli ascendenti
per i quali il legislatore non avesse richiesto tale formale affidamento
(sentenza n. 180 del 1999).

Pertanto, è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale del richiamato art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, nella parte
in cui non include, tra i soggetti ivi elencati, anche i minori dei quali
risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti, risultando così ampliata
la platea dei superstiti del beneficiario del trattamento pensionistico ai
nipoti minorenni, viventi a carico dell’ascendente.

Ne discende che, mentre l’art. 13 del r.d.l. n. 636
del 1939, come convertito, delinea le condizioni affinché il coniuge e i figli
del titolare della pensione – o, in subordine, i suoi genitori o i suoi
fratelli e sorelle – possano godere della pensione di reversibilità per i
superstiti, l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957 contiene una clausola di
equiparazione ai figli delle altre categorie di soggetti che possono vantare
tale diritto, sicché è proprio tale ultima norma ad incidere sulla platea degli
aventi diritto, operandone la relativa estensione.

Cosicché correttamente è stato censurato l’art. 38
del d.P.R. n. 818 del 1957, nella parte in cui non estende detta equiparazione
ai nipoti maggiorenni, orfani e inabili al lavoro.

Tale conclusione è corroborata dalla circostanza che
la richiamata sentenza n. 180 del 1999 è intervenuta proprio sul citato art.
38, nella parte in cui non equiparava ai minori affidati i minorenni non
formalmente affidati, ma al cui sostentamento provveda di fatto l’ascendente.

4.- Quanto al merito delle questioni, questa Corte
ha già sottolineato che la ratio della reversibilità dei trattamenti
pensionistici consiste nel farne proseguire, almeno parzialmente, anche dopo la
morte del loro titolare, il godimento da parte dei soggetti a lui legati da
determinati vincoli familiari, garantendosi, così, ai beneficiari la protezione
dalle conseguenze che derivano dal decesso del congiunto (fra le altre,
sentenze n. 180 e n. 70 del 1999, n. 18 del 1998). Si realizza in tal modo,
anche sul piano previdenziale, una forma di ultrattività della solidarietà
familiare (ancora sentenza n. 180 del 1999), proiettando il relativo vincolo la
sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte (così, con riferimento
al rapporto coniugale, la sentenza di questa Corte n. 174 del 2016).

Nei medesimi sensi si è espressa anche la Corte di
cassazione, la quale ha avuto modo di sostenere, con riferimento alla posizione
del coniuge, che l’attribuzione della pensione di reversibilità consegue al
principio solidaristico che è preordinato alla continuazione della funzione di
sostegno economico assolta a favore dell’avente diritto durante la vita del
dante causa (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 21 settembre
2012, n. 16093).

4.1.- La finalità del trattamento pensionistico in
esame di tutelare la continuità del sostentamento e prevenire lo stato di
bisogno che può derivare dal decesso del congiunto è alla base della
declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 38 del d.P.R. n. 818 del
1957 «nella parte in cui non include tra i soggetti ivi elencati anche i minori
dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti» (sentenza n.
180 del 1999).

In quella occasione, la Corte ha accertato il
contrasto con il canone della ragionevolezza della previsione legislativa che
estendeva il trattamento pensionistico di cui si tratta, in caso di mancanza
dei soggetti prioritariamente indicati, ai minori regolarmente affidati
all’assicurato dagli organi competenti a norma di legge, e non ai propri nipoti
minorenni che vivessero a suo carico, salvo il caso di affidamento.

L’architrave della ricordata sentenza è
rappresentato dalla valorizzazione del rapporto parentale tra ascendenti e
discendenti, fondata sulla naturale affectio, nella quale si innesta la
speciale e privilegiata disciplina voluta dal legislatore, sul piano dei
diritti e dei relativi obblighi: il dovere di concorrere negli oneri di
mantenimento, istruzione ed educazione, sancito dall’art. 316-bis cod. civ. a
carico degli ascendenti quando i genitori non hanno i mezzi sufficienti;
l’obbligo di prestare gli alimenti, che può essere assolto anche accogliendo e
mantenendo nella propria casa gli aventi diritto ex artt. 433 e 443 cod. civ.;
l’intervento giudiziale nel caso in cui ai nonni venga precluso il diritto di
mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni ai sensi dell’art.
317-bis cod. civ.; il diritto del nipote alla continuità affettiva con i nonni,
declinato dall’art. 315-bis cod. civ.; la tutela penale di tali doveri ed
obblighi per effetto degli artt. 570 e 591 del codice penale.

4.2.- Coerentemente con il dettato desumibile da
tale plesso normativo, anche in sede nomofilattica è stato riconosciuto il
diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti
minorenni – previsto dall’art. 317-bis cod. civ., coerentemente con
l’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, fornita
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dell’art. 24, paragrafo 2, della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e degli artt. 2
e 30 Cost., allorché sia compatibile con l’esclusivo interesse del minore -,
cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di
mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell’art. 315-bis cod.
civ. La sussistenza di tale interesse è configurabile quando il coinvolgimento
degli ascendenti si sostanzi in una fruttuosa cooperazione con i genitori per
l’adempimento dei loro obblighi educativi, in modo tale da contribuire alla
realizzazione di un progetto formativo volto ad assicurare un sano ed
equilibrato sviluppo della personalità del minore (Corte di cassazione, sezione
prima civile, ordinanza 25 luglio 2018, n. 19780; sezione sesta civile,
ordinanza 12 giugno 2018, n. 15238).

4.3.- La rilevanza di tale rapporto è confermata
anche dal giudizio sullo stato di abbandono dei minori ai fini della
dichiarazione di adottabilità, nel perseguimento del loro superiore interesse,
posto che a tale effetto deve essere previamente valutata l’idoneità dei nonni
a provvedere all’assistenza ed alla cura dei nipoti, nel rispetto del diritto
del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia allorché tra
detti parenti siano intrattenute relazioni significative (Corte di cassazione,
sezione prima civile, ordinanza 11 aprile 2018, n. 9021; sentenza 26 maggio
2014, n. 11758).

5.- Ciò posto, nel quadro normativo risultante dalla
richiamata sentenza n. 180 del 1999, il rapporto di parentela tra l’ascendente
e il nipote maggiorenne, orfano e inabile al lavoro, subisce un trattamento
irragionevolmente deteriore rispetto a quello con il nipote minorenne, con
conseguente fondatezza della questione sollevata in riferimento all’art. 3
Cost.

Se, infatti, per quanto si è dianzi chiarito, il
legame sotteso al rapporto tra nonno e nipote minorenne, come presupposto per
l’accesso al trattamento pensionistico di reversibilità, deve essere ritenuto
meritevole di tutela, analoga valutazione di meritevolezza, collegata al
fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e
modulare nelle diverse situazioni in modo coerente con i principi di
uguaglianza e di ragionevolezza (sentenza n. 174 del 2016), non può non
riguardare anche il legame familiare tra l’ascendente e il nipote, maggiore di
età, orfano e inabile al lavoro. La relazione appare in tutto e per tutto
assimilabile a quella che si instaura tra ascendente e nipote minore di età,
per essere comuni ai due tipi di rapporto la condizione di minorata capacità
del secondo e la vivenza a carico del primo al momento del decesso di questo.

È illogico, e ingiustamente discriminatorio, che i
soli nipoti orfani maggiorenni e inabili al lavoro viventi a carico del de
cuius siano esclusi dal godimento del trattamento pensionistico dello stesso,
pur versando in una condizione di bisogno e di fragilità particolarmente
accentuata: tant’è che ad essi è riconosciuto il medesimo trattamento di
reversibilità in caso di sopravvivenza ai genitori, proprio perché non in grado
di procurarsi un reddito a cagione della predetta condizione. Ulteriore
profilo, codesto, di irragionevolezza della disposizione in esame.

5.1.- Né vale, come fa la difesa erariale,
argomentare l’esclusione alla stregua del rilievo della limitata durata nel
tempo della prestazione in favore dei nipoti minori (fino alla maggiore età) e
della (in astratto) più lunga durata dell’aspettativa di vita del nipote
maggiorenne inabile al lavoro. Tale differenza non è dirimente ai fini della
spettanza di un diritto che ha matrice solidaristica, a garanzia delle esigenze
minime di protezione della persona.

6.- Deve, in conclusione, essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, per
violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non include tra i destinatari
diretti ed immediati della pensione di reversibilità i nipoti maggiorenni
orfani riconosciuti inabili al lavoro e viventi a carico degli ascendenti
assicurati.

Resta assorbita la questione riferita all’altro
parametro costituzionale evocato, l’art. 38 Cost.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 38
del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di
attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul
riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità,
la vecchiaia e i superstiti), nella parte in cui non include tra i destinatari
diretti ed immediati della pensione di reversibilità i nipoti maggiorenni
orfani riconosciuti inabili al lavoro e viventi a carico degli ascendenti
assicurati.

Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 05 aprile 2022, n. 88
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