Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 aprile 2022, n. 15167

Infortunio sul lavoro, Responsabilità commissiva del datore,
Titolarità della posizione di garanzia, Reato di lesioni colpose, Violenza e
minaccia in danno del lavoratore

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 1.10.2020, la Corte di appello
di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato
la pena complessiva, revocato le statuizioni civili limitatamente alla parte
civile D. e, per il resto, ha confermato la declaratoria di responsabilità di
G.P. per il reato di lesioni colpose del lavoratore D.M. (capo a), nonché per
gli ulteriori reati contestati ai capi c), d), e), riguardanti ipotesi di cui
agli artt. 611 e 378 cod. pen., nonché artt. 56, 610 cod. pen.

2. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di
merito, il 6.9.2014, nel primo pomeriggio, il D. (lavoratore dipendente della
S.r.l. G. di cui l’imputato era amministratore unico), mentre stava operando su
un tetto in un cantiere edile aperto in Santa Margherita di Capannori, per la
ristrutturazione di un immobile di proprietà dello stesso P., cadeva a terra
dalla sommità della copertura del fabbricato, a seguito della rottura di un
travicello, riportando gravi lesioni. Il D. si era portato a lavorare in quella
parte della copertura dell’edificio su indicazione del P., senza che fosse
stato montato un ponteggio di sicurezza sottostante.

Dopo la caduta, il D. era stato soccorso da un
collega di lavoro, C.M., il quale aveva anche avvisato l’imputato dell’incidente.
Quest’ultimo, spaventato dall’accaduto, aveva raccomandato alla persona offesa
di dire che si era trattato di un incidente avvenuto in tutt’altre circostanze,
e cioè per strada, mentre andava a fare un giro in bicicletta. Pertanto, non
veniva chiamata l’ambulanza e il lavoratore ferito veniva trasportato, con il
furgone del P., in una zona poco frequentata, giudicata idonea a simulare un
incidente stradale in bicicletta (anch’essa trasportata sul posto con il
furgone). Qui il D. veniva soccorso dall’ambulanza, dichiarando ai sanitari di
essere stato investito da un’autovettura mentre si trovava in bicicletta.

Nel corso di successivi contatti tra il lavoratore,
ricoverato in ospedale, e il P., quest’ultimo – che nel frattempo aveva
consultato il proprio commercialista – chiedeva al D. di firmare un foglio
scritto, fornendo una diversa versione: vale a dire, ammettendo che
l’infortunio si era verificato a seguito della caduta dal tetto del fabbricato
in ristrutturazione, ma affermando di essere salito sul tetto all’insaputa del
datore di lavoro. Analoga dichiarazione era stata già sottoscritta dal C., su
richiesta dell’imputato. Tuttavia, il D. non aveva acconsentito a sottoscrivere
una simile dichiarazione.

Sulla base dei fatti per come sopra accertati, la
Corte territoriale ha confermato la responsabilità del P. per le ipotesi di
reato ritenute dal primo giudice.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per
cassazione l’imputato, per mezzo del suo difensore, lamentando quanto segue.

I) Violazione di legge stabilita a pena di
inutilizzabilità, quanto alle deposizioni dei testi D. e C., in quanto
provenienti da soggetti raggiunti da gravi indizi di reità in relazione a reato
connesso, quindi in violazione dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen.

II) Violazione di legge in relazione all’art. 522
cod. proc. pen., per difetto di correlazione tra accusa e sentenza in
riferimento al capo a), in quanto l’imputato, inizialmente tratto a giudizio
per responsabilità di tipo omissivo, è stato condannato in relazione ad una
condotta commissiva.

Ili) Vizio di motivazione in relazione al capo a),
in punto di responsabilità del ricorrente per l’infortunio occorso al D.,
stante l’adeguatezza delle misure di sicurezza adottate e l’assenza dei profili
di colpa specifici dedotti in imputazione.

IV) Violazione di legge in relazione alla
individuazione del soggetto titolare della posizione di garanzia, in quanto
diretta responsabile del cantiere era la ditta riconducibile a S.D.;

V) Vizio di motivazione in ordine ai reati di cui ai
capi c), d), e) quanto alla individuazione dell’elemento materiale della
violenza o minaccia penalmente rilevante, non individuato dai giudici di
merito.

VI) Violazione di legge quanto alla incriminazione
dell’imputato per il delitto di cui all’art. 378 cod. pen. in ordine ai capi c)
– d), non potendo l’imputato essere accusato di auto favoreggiamento, per aver
aiutato sé medesimo.

VII) Violazione di legge quanto alla incriminazione
dell’imputato per il delitto di cui agli artt. 611, 378 cod. pen. in ordine al
capo c), non vedendosi come la scrittura in oggetto potesse aiutare il
ricorrente ad eludere le investigazioni a suo carico.

VIII) Vizio di motivazione quanto al capo e) di
imputazione, atteso che la richiesta di redazione di detta scrittura non è
frutto di violenza o di minaccia, avendo l’imputato solo segnalato al
lavoratore l’opportunità di correggere la falsa rappresentazione dei fatti
inizialmente fornita dal D. alle forze dell’ordine.

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
prospettando censure di merito o motivi reiterativi di doglianze già proposte
in sede di appello, sulle quali la Corte territoriale ha risposto
adeguatamente, con argomentazioni immuni da vizi logico-giuridici rilevabili in
questa sede.

2. Quanto al primo motivo – con cui si deduce la
inutilizzabilità dei testi di seguito indicati – è appena il caso di rilevare
come la deposizione del C. sia stata acquisita al processo ai sensi del 512
cod. proc. pen. con il consenso della difesa dell’imputato.

Per quanto attiene alla testimonianza del D., dagli
atti non risulta che costui sia mai stato sottoposto ad indagine, neanche
potenzialmente; sul punto, peraltro, l’atto di appello non aveva dedotto
alcunché, quindi la doglianza è inammissibile, non potendo essere proposta per
la prima volta in sede di legittimità.

Va aggiunto, infine, che parte ricorrente, in ogni
caso, non adduce alcuna prova di resistenza in relazione all’asserita
inutilizzabilità delle deposizioni testimoniali indicate, non avendo
argomentato in ordine ad una eventuale insufficienza del quadro probatorio a
carico dell’imputato nell’ipotesi di inutilizzabilità delle citate
testimonianze. Anche sotto tale profilo il motivo manifesta la sua evidente
inconsistenza.

3. Il secondo motivo – con cui si deduce difetto di
correlazione tra accusa e sentenza, per essere stato l’imputato, quanto al capo
a), inizialmente tratto a giudizio per responsabilità di tipo omissivo e poi
condannato per una condotta commissiva – è manifestamente infondato.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la
sentenza ben spiega (a pag. 6) che il profilo di responsabilità commissiva
addebitato all’imputato è sempre stato compreso nella contestazione originaria,
poiché è stato accertato che il P. era ben consapevole del fatto che per la
risistemazione del tetto gli operai dovevano iniziare ad operare anche in zone
che non erano protette dagli impalcati, contribuendo così attivamente alla
causazione dell’infortunio.

4. Il terzo motivo – con cui si deduce vizio di
motivazione in relazione al capo a), in punto di responsabilità del ricorrente
per l’infortunio occorso al D., stante l’adeguatezza delle misure di sicurezza
adottate – è inammissibile, in quanto svolge censure di merito non consentite
in questa sede, sollecitando una rilettura dei fatti in senso favorevole
all’imputato, che è operazione riservata alla competenza esclusiva del giudice
di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione
ove siano sorrette – come nella specie – da motivazione congrua, esauriente ed
idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle
ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il
compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria
valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità
delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato
tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta
interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni
delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello
sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate
conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995 – dep. 1996,
Clarke, Rv. 20342801).

5. Il quarto motivo – con cui si deduce violazione
di legge in relazione alla individuazione del soggetto titolare della posizione
di garanzia – è inammissibile, in quanto, sotto l’apparente prospettazione di
una violazione di legge, in realtà sollecita una rivalutazione di merito,
cercando di sostenere che unico responsabile del cantiere (teatro
dell’infortunio) non era il prevenuto, bensì la ditta riconducibile a tale
S.D.; asserzione del tutto apodittica, che si pone in netto contrasto con
quanto motivatamente accertato nella sentenza impugnata.

Peraltro, anche questo motivo non risulta essere
stato mai dedotto in appello, pertanto non può essere prospettato per la prima
volta in sede di legittimità.

6. Anche il quinto motivo – con cui si prospettano
vizi motivazionali in ordine ai reati di cui ai capi c), d), e), quanto alla
individuazione dell’elemento materiale della violenza o minaccia penalmente
rilevante – è inammissibile, deducendo evidenti censure di merito non
sindacabili in questa sede, a fronte di un percorso argomentativo dei giudici
territoriali che ha offerto una esauriente e logica motivazione sui reati di
che trattasi, avendo evidenziato i profili di violenza e minaccia riscontrati
nel comportamento adottato dall’imputato nel corso dei successivi contatti
avuti in ospedale con il lavoratore infortunato, finalizzati a cercare di
ottenere la firma del D. su un foglio scritto, riportante una diversa versione
dell’incidente, rispetto a quanto era stato inizialmente dichiarato dal
lavoratore stesso, non veritiera nella parte in cui costui avrebbe dovuto
dichiarare di essere salito sul tetto, da cui poi era caduto, all’insaputa del
datore di lavoro.

7. Il sesto motivo – con cui si deduce violazione di
legge quanto alla incriminazione dell’imputato per il delitto di cui all’art.
378 cod. pen. – è inammissibile, in quanto dedotto in maniera generica e
comunque privo di pregio. E’ infatti evidente che l’imputato non è stato
accusato di auto favoreggiamento, bensì di avere costretto altro soggetto a
commettere il reato di favoreggiamento.

Peraltro, anche questo motivo non risulta essere
stato mai dedotto in appello, pertanto non può essere prospettato per la prima
volta in sede di legittimità.

8. Il settimo motivo – con cui si contesta
l’incriminazione dell’imputato per il delitto di cui agli artt. 611, 378 cod.
pen. di cui al capo c) – è inammissibile perché in fatto e per non essere mai
stato dedotto in sede di appello.

9. L’ottavo motivo – con cui si contesta, quanto al
capo e), che la richiesta di redazione della nota scritta indicata sia frutto
di violenza o di minaccia – deduce l’ennesima censura in fatto, pretendendo da
questa Corte di legittimità una non consentita rivalutazione in senso a sé
favorevole della prospettata circostanza fattuale, nel senso che l’imputato non
avrebbe agito con violenza o minaccia ma si sarebbe limitato solo a segnalare
al lavoratore l’opportunità di correggere la falsa rappresentazione dei fatti
inizialmente fornita dal D. alle forze dell’ordine. Sul punto, va ribadito che
alla Corte di cassazione è preclusa qualsiasi verifica diretta del compendio
probatorio, finalizzata ad una eventuale diversa ricostruzione dei fatti
rispetto a quella operata dai giudici di merito, secondo i principi già
richiamati al p. 4.

10. Stante l’inammissibilità del ricorso, e non
ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in
dispositivo. Va anche disposta la condanna dell’imputato alla rifusione delle
spese di questo giudizio di legittimità in favore della parte civile INAIL,
come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile INAIL che liquida in euro 3.000,00, oltre
accessori come per legge.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 aprile 2022, n. 15167
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