Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 maggio 2022, n. 18838

Rapporto di lavoro, Violazione degli obblighi di formazione
dei lavoratori, Dirigenti e preposti di fatto, Applicabilità d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81

Ritenuto in fatto

 

1. Il Tribunale di Rovigo con sentenza dell’8 febbraio
2021, ha condannato M. B. alla pena di € 5.600,00 di ammenda relativamente al
reato di cui agli art. 37,
settimo comma, e 55, quinto
comma, lettera C, d. Igs. 81/2008 perché nella qualità di datore di lavoro
[…] ometteva di sottoporre i dipendenti ad una formazione adeguata e
specifica in materia di salute e di sicurezza, tramite la partecipazione a
specifici corsi di formazione in materia di igiene e sicurezza negli ambienti
di lavoro. Accertato il 30 gennaio 2018.

2. L’imputato ha proposto ricorso in cassazione
deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per
la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma
1, disp. att., c.p.p.

2. 1. Violazione di legge (art. 2 e 16 d. Igs. 81/2008).

Sulla base dell’organigramma aziendale (organigramma
per la salute e sicurezza) acquisito in sede di ispezione si riteneva certa la
nomina dei dirigenti e preposti indicati nel documento. Il datore di lavoro ha
la possibilità di nominare dirigenti e preposti, ma non sussiste un obbligo di
nomina. Per l’art. 16, d. Igs. 81
del 2008 la nomina dei dirigenti e preposti deve risultare da un atto
scritto con data certa, con l’attribuzione delle funzioni effettive e con
autonomia di spesa. La mancata osservanza delle forme previste dal citato art. 16 impedisce di ritenere la
nomina dei dirigenti e dei preposti di cui sarebbe stata omessa la formazione
in materia di igiene e di sicurezza sul lavoro. La Dott.ssa P.S., indicata
nell’organigramma dirigente e preposto, dichiarava di non essere mai stata
nominata e di non aver mai esercitato la funzione di dirigente e preposto alla
sicurezza e igiene del lavoro.

2. 2. Violazione di legge (art. 299 d. Igs. 81/2008). Il
Tribunale ritiene che i dirigenti e preposti erano tali di fatto, senza nomina
formale. Anche per i dirigenti e preposti di fatto la norma imponeva la
formazione, secondo la sentenza impugnata. Tale interpretazione contrasta con
l’art. 299 d. Igs. 81/2008;
la norma deve ritenersi limitata solo agli infortuni sul lavoro e non può
estendersi agli obblighi di formazione (vedi Cassazione, Sez. 4, n. 22079 del
2019).

2. 3. Violazione di legge (art. 62 bis e 131 bis
cod. pen.).

Mancanza di motivazione. La difesa aveva concluso
con la richiesta di tutti i benefici di legge; il Tribunale ha condannato il
ricorrente ad una pena prossima al suo massimo edittale senza considerare i
criteri dell’art. 133 cod. pen. e senza
riconoscere le circostanze attenuanti generiche. Il reato non ha comportato
alcun danno e l’imputato ha tenuto una buona condotta processuale. La pena
andava irrogata nel minimo edittale con il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche.

2. 4. Violazione di legge (art. 163 cod. pen.). Il Tribunale non ha concesso
la sospensione condizionale della pena nonostante la sussistenza di tutti i
requisiti di legge; nessuna motivazione sul punto nella sentenza.

Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza
impugnata.

 

Considerato in diritto

 

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta
infondatezza dei motivi e per genericità; la particolare tenuità del fatto e la
sospensione condizionale della pena non risultano richieste in sede di
conclusioni, avendo la difesa chiesto l’assoluzione e in subordine il minimo
della pena con tutte le attenuanti generiche.

La richiesta, molto generica, della concessione di
«tutti i benefici di legge», in relazione alla sola pena pecuniaria irrogata,
risulta inidonea a determinare uno specifico obbligo di motivazione sul punto
(Sez. 4, n. 1513 del 03/12/2013 – dep. 15/01/2014, Shehi, Rv. 25848701).

Infatti, una eventuale concessione d’ufficio sarebbe
risultata illegittima: «È ammissibile il ricorso per cassazione avverso
sentenza di condanna a pena dell’ammenda condizionalmente sospesa “ex officio”,
in quanto la concessione costituisce comunque, anche dopo la dichiarazione di
incostituzionalità dell’art. 5,
comma secondo, lett. d) del d. P.R. n. 313 del 2002 (che non consentiva la
cancellazione dal casellario delle iscrizioni dei provvedimenti giudiziari
concernenti la pena dell’ammenda nel caso in cui fossero concessi i benefici di
cui agli artt. 163 e 175
cod. pen.), una lesione di un interesse giuridicamente apprezzabile del
condannato, poiché nel computo della pena complessiva rilevante ai fini della
concedibilità del beneficio per la seconda volta influisce, ai sensi degli artt. 163 e 164 cod.
pen., anche la pena pecuniaria inflitta e dichiarata sospesa nella prima
condanna, ragguagliata a quella detentiva» (Sez. 3, n. 48569 del 25/02/2016 –
dep. 17/11/2016, Cipolla, Rv. 26818501).

Conseguentemente il ricorrente avrebbe dovuto
chiedere, espressamente, la sospensione condizionale della pena, anche
nell’ipotesi di sola pena pecuniaria, specificando gli elementi per la
concessione.

3. 1. Per la particolare tenuità del fatto non
risulta la relativa richiesta al giudice di merito, e quindi in questa sede la
domanda è inammissibile: «In tema di esclusione della punibilità per la
particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per
la prima volta in Cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., se il
predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della
sentenza […]» (Sez. 7, n. 43838 del 27/05/2016 – dep. 17/10/2016, Savini, Rv.
26828101).

4. La sentenza impugnata, con adeguata motivazione,
e con l’applicazione corretta della giurisprudenza di questa Corte di
Cassazione in materia, ha rilevato come la nomina dei responsabili della sicurezza
e prevenzione in materia di igiene e sicurezza sul lavoro risultava
dall’organigramma aziendale proveniente dalla ditta dell’imputato, acquisito in
sede di ispezione. La mancanza di nomina formale (scritta con data certa) non è
rilevante sulla formazione, in quanto quello che rileva è la ratio della norma
che mira ad evitare la mancanza di formazione specifica per chi comunque
esercita la funzione di preposto; le norme sono dirette a prevenire pericoli
nell’espletamento delle mansioni, comunque svolte.

Del resto, le norme sulla formazione e informazione
dei lavoratori si applicano anche nell’ipotesi di assenza di un formale
contratto di assunzione: “In materia di prevenzione degli infortuni sul
lavoro, le norme, di cui al d.lgs. 9 aprile 2008,
n. 81, che presuppongono necessariamente l’esistenza di un rapporto di
lavoro, come quelle concernenti l’informazione e la formazione dei lavoratori,
si applicano anche in caso di insussistenza di un formale contratto di
assunzione. (Fattispecie in tema di lesioni personali gravissime riportate sul
luogo di lavoro da un lavoratore, stabilmente incardinato tra i lavoratori
dell’azienda, ma privo di formale contratto di lavoro subordinato)” (Sez.
4 – , Sentenza n. 38623 del 05/10/2021 Ud., dep. 28/10/2021, Rv. 282102 – 01).

Sul punto, del resto, il ricorso è estremamente
generico, limitandosi a sostenere che la mera assenza formale della nomina,
escluderebbe l’elemento oggettivo del reato, pur nello svolgimento di fatto
delle funzioni.

5. Generico e manifestamente infondato il motivo sul
trattamento sanzionatorio e sul mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche. Il Tribunale adeguatamente motiva sulla pena rilevando
che all’imputato può essere applicata la sola pena pecuniaria determinata in
misura prossima al massimo edittale della pena pecuniaria. Del resto, “In
tema di irrogazione del trattamento sanzionatorio, quando per la violazione
ascritta all’imputato sia prevista alternativamente la pena dell’arresto e
quella dell’ammenda, il giudice non è tenuto ad esporre diffusamente le ragioni
in base alle quali ha applicato la misura massima della sanzione pecuniaria,
perché, avendo l’imputato beneficiato di un trattamento obiettivamente più
favorevole rispetto all’altra più rigorosa indicazione della norma, è
sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione
conclusiva e determinante in base a cui è stata adottata la decisione, ben
potendo esaurirsi tale motivazione nell’accenno alla equità quale criterio di
sintesi adeguato e sufficiente. In applicazione del principio, la Corte ha
ritenuto, in relazione ai reati di cui all’art. 159, comma secondo, lett. a),
e 159, comma primo, del D.Lgs. n. 81 del 2008, puniti alternativamente con
sanzione detentiva e pecuniaria, adeguatamente motivata la determinazione della
pena dell’ammenda, in misura prossima a quella massima, attraverso il
riferimento al criterio della “conformità a giustizia” (Sez. 3, Sentenza
n. 37867 del 18/06/2015 Ud., dep. 18/09/2015, Rv. 264726 – 01; vedi anche Sez.
1, Sentenza n. 40176 del 01/10/2009 Ud., dep. 16/10/2009, Rv. 245353 – 0).

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il
pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 e delle
spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore
della Cassa delle ammende.

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