Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 luglio 2022, n. 22375

Licenziamento, Trasferimento di azienda, Prosecuzione del
rapporto di lavoro, Esclusione

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza n.
1387/2015, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto la domanda,
con la quale M.P. – sul presupposto di un avvenuto trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ. tra la Sicilia e S.V.
S.c.r.I., presso la quale il ricorrente aveva lavorato fino al 22 gennaio 2014
(data in cui gli era stato comunicato il licenziamento collettivo non
impugnato), e la Sicilia e-S. S.p.A. – aveva chiesto dichiararsi la
illegittimità del licenziamento da quest’ultima società intimatogli il 22 marzo
2014 per il mancato superamento del patto di prova apposto al contratto a
termine stipulato il 21 gennaio 2014 (con decorrenza, tuttavia, dal successivo
23 gennaio), di cui aveva anche chiesto la declaratoria di nullità e/o
illegittimità.

2. La Corte di appello ha osservato in tale sentenza
che era da escludersi la rivendicata prosecuzione del rapporto di lavoro con
Sicilia e-S. S.p.A., a prescindere dalla qualificazione giuridica
dell’operazione, poiché il rapporto di lavoro del ricorrente con la società
cedente era cessato prima di quello intercorso con l’asserita cessionaria, così
che non avrebbe potuto ipotizzarsi la continuazione di un rapporto di lavoro
non più in vita.

3. Il successivo ricorso per cassazione del
lavoratore è stato respinto da questa Corte con sentenza n. 13966/2018,
depositata il 31 maggio 2018, con la quale è stato rilevato – per quanto di
interesse in relazione al presente giudizio – che la questione dell’intervenuta
pregressa cessazione del rapporto di lavoro del P. con la Sicilia e S.V. S.c.r.I.,
presa in considerazione dalla Corte territoriale al fine di valutare la
sussistenza di un trasferimento di azienda ex art.
2112 cod. civ., non poteva ritenersi questione nuova in grado di appello,
poiché la circostanza era stata delineata avanti al Tribunale in primo grado,
secondo quanto risultante dalla stessa prospettazione del ricorrente (pag. 2
del ricorso).

4. Avverso detta sentenza n. 13966/2018 ha proposto
ricorso per revocazione il P. con due motivi, cui ha resistito S.D. S.p.A. (già
Sicilia e-S. S.p.A.) con controricorso.

5. Il Procuratore Generale ha presentato proprie
conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

6. Con il primo motivo viene dedotta la violazione
degli artt. 391 bis e 395 n. 5 cod. proc. civ. per contrasto della
sentenza impugnata con altre sentenze, passate in giudicato (n. 1783/2016 del
Tribunale di Palermo; n. 551/2016 della Corte di appello di Palermo), che
avevano ritenuto sussistente una fattispecie di trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ. dalla società Sicilia e S.V.
alla società Sicilia e S..

7. Con il secondo motivo è dedotta la violazione
degli artt. 391 bis e 395 n. 4 cod. proc. civ. per essere la sentenza di
questa Corte n. 13966/2018 incorsa in errore revocatorio, avendo erroneamente
supposto esistente un fatto (l’intervenuto licenziamento prima del
trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ.
e la conseguente insussistenza del rapporto di lavoro al momento di tale
trasferimento) che mai le parti avevano prospettato o che in alcun modo aveva
formato oggetto di discussione nel giudizio di primo grado.

8. Il ricorso è inammissibile.

9. Si deve infatti rilevare, quanto al primo motivo,
che “L’impugnazione per revocazione proposta, ex art. 395 n. 5 cod. proc. civ., avverso una
sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è inammissibile, risultando
l’ipotesi ivi contemplata esclusa dalla previsione dei precedenti artt. 391 bis e ter” (Cass. n. 17557/2013;
cfr. Sez. U n. 23833/2015).

10. Quanto al secondo motivo, il ricorrente deduce
essere del tutto assente la circostanza di fatto rappresentata nella sentenza
n. 13966/2018 (e cioè che il rapporto di lavoro si fosse già risolto per
intervenuto licenziamento, da parte di Sicilia e S.V., prima del trasferimento
di azienda) poiché le parti non l’avevano mai prospettata e la Corte di
cassazione, nel richiamare la p. 2 del ricorso, non aveva chiarito se si
trattasse dell’atto introduttivo di primo grado, del ricorso in appello o per
cassazione.

11. Anche il motivo in esame risulta inammissibile.

12. Ed invero il ricorrente – nel richiamare, a
fondamento del motivo, il paragrafo 9 della sentenza impugnata – omette di
riportare le parole “innanzi ai Tribunale in primo grado, come
risulta” dalla stessa prospettazione dell’odierno ricorrente (pag. 2 del
ricorso), parole che rendono evidente il riferimento al giudizio di primo grado
ed escludono la stessa plausibilità degli interrogativi sollevati.

13. In ogni caso, come emerge dagli atti, la
questione posta alla base del dedotto errore revocatorio è stata dibattuta sia
nel giudizio di merito che di legittimità, costituendo in tal modo un punto
controverso in causa (art. 395 n. 4 cod. proc. civ.).

14. Non è, d’altra parte, idoneo ad integrare errore
revocatorio, rilevante ai sensi e agli effetti degli artt.
391 bis e 395 n. 4 cod. proc. civ., il
travisamento, da parte della Corte di cassazione, del contenuto espositivo
degli atti di parte, trattandosi di attività di interpretazione degli atti
stessi e quindi di “attività valutativa, insuscettibile in quanto tale –
quand’anche risulti errata – di revocazione” (Sez. U n. 13181/2013).

15. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.

16. Trattandosi di giudizio instaurato
successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai
sensi dell’art. 1, comma 17, I.
n. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 D.P.R. n. 115/2002) –
della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto
(Sez. U n. 4315/2020).

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro
200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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