Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 novembre 2022, n. 33814

Fallimento, Ammissione allo stato passivo, Natura
subordinata del rapporto di lavoro, Accertamento, Omessa pronuncia

Rilevato che

 

1. con decreto 5 novembre 2020, il Tribunale di Roma
ha ammesso A.P. allo stato passivo del Fallimento R.R.G. s.r.l. per il credito,
ai sensi dell’art. 2751bis n. 2 c.c., di € 3.666,00, oltre interessi legali
dalla data di cessazione del rapporto fino alla data di deposito del progetto
di riparto di sua soddisfazione, anche in parte: in parziale accoglimento della
sua opposizione, ai sensi dell’art. 98 l. fall., allo stato passivo da cui era
stato escluso per il credito insinuato (per l’importo di € 85.934,05, di cui €
8.814,85 a titolo di T.f.r.) quale lavoratore subordinato dal 1° febbraio 2009
al 1° febbraio 2013 e per il credito insinuato in misura di € 9.600,00, ai sensi
dell’art. 2751bis n. 2 c.c., a titolo professionale per un lavoro a progetto
dal 20 luglio 2012 al 19 luglio 2013;

2. esso ha negato la sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato (originariamente instaurato, a dire del ricorrente, con R.R.
s.p.a. e quindi trasferito dal 1° febbraio 2012, a seguito di una
riorganizzazione delle attività, per effetto di un contratto di cessione di
ramo d’azienda, alla società poi fallita, pertanto responsabile ai sensi
dell’art. 2112 c.c.), in assenza di alcuna prova (necessariamente) documentale,
a norma dell’art. 2556 c.c.; né essendo ammissibile un’acquisizione officiosa
del materiale istruttorio, per la natura dispositiva del giudizio di
opposizione allo stato passivo, come qualunque ordinario di cognizione; né valendo
“non contestazione” la contumacia nel giudizio della curatela fallimentare;
neppure le prove testimoniali assunte risultando idonee a costituire prova di
un rapporto di lavoro subordinato per il periodo (previsto nel contratto a
progetto direttamente stipulato con R.R.G. s.r.l.) dal 20 luglio 2012 al 1°
febbraio 2013;

3. esse sono state invece ritenute integrare
riscontro sufficiente a dimostrare la prestazione dal lavoratore di un’attività
di collaborazione a progetto, in favore della società fallita dal 19 luglio
2012 fino alla cessazione, per recesso (con preavviso di trenta giorni) della
società il 1° febbraio 2013. Sicché, il Tribunale lo ha ammesso allo stato
passivo per il suindicato credito a tale titolo, in ragione del riconoscimento
del solo compenso fisso pattuito (in misura di € 500,00 mensili) dal 20 luglio
2012 al 1° marzo 2013 (compreso il preavviso contrattuale non lavorato), con
esclusione della voce variabile (in misura di € 300,00 mensili) per il
raggiungimento degli obiettivi previsti, non dimostrata;

4. con atto notificato il 4 dicembre 2020, il
lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi, illustrati da
memoria ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c.; il fallimento, ritualmente
intimato, non ha svolto difese.

 

Considerato che

 

1. il ricorrente ha dedotto omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, quale la comunicazione inviata al lavoratore a firma
congiunta della cedente R.R. s.p.a. e della cessionaria R.R.G. s.r.l., relativa
al trasferimento del ramo di azienda cui egli era addetto (specificamente
indicato nella sua sede di produzione), documento decisivo ai fini della sua
dimostrazione, negata dal Tribunale capitolino (primo motivo); violazione e
falsa applicazione dell’art. 99 l. fall., per avere il Tribunale erroneamente
ritenuto indimostrato il trasferimento di ramo d’azienda in questione, senza
disporre l’acquisizione, come invece avrebbe dovuto, della documentazione
prodotta in allegato alla domanda di insinuazione, specificamente indicata in
riferimento alle visure camerali delle due società R.R. e R.R.G., richiamata
nel ricorso in opposizione per relationem a detta domanda (secondo motivo);
violazione dell’art. 2112 c.c. e falsa applicazione dell’art. 2556 c.c., per
avere il Tribunale erroneamente escluso la dimostrabilità per prova
testimoniale del trasferimento del ramo d’azienda, valendo la prova scritta ad
probationem soltanto tra le parti contraenti, ai fini di pubblicità
dichiarativa della cessione nei confronti dei terzi, ma non anche nei riguardi
dei lavoratori, cui è invece consentita l’utilizzazione di ogni mezzo
istruttorio per l’accertamento della continuità dei propri diritti, per il
contenuto “aperto” dell’art. 2112 c.c., applicabile in ogni circostanza, anche
non esclusivamente negoziale, di modificazione della titolarità dell’azienda
(terzo motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di
stretta connessione, sono fondati;

3. occorre preliminarmente ribadire che l’art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c. (riformulato dall’art. 54 del d.l. 83/2012, conv. in
l. 134/2012) ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, debitamente trascritto e con indicazione specifica della sua sede
di produzione, nel rispetto del principio di specificità del ricorso, ai sensi
dell’art. 366, n. 4 e n. 6 c.p.c., che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n.
8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass. 21 maggio 2019, n. 13625, in
motivazione, sub p.to 3, lett. b);

3.1. nel caso di specie, il documento (comunicazione
inviata al lavoratore, a firma congiunta della cedente R.R. s.p.a. e della
cessionaria R.R.G. s.r.l., relativa al trasferimento del ramo di azienda),
decisivo ai fini della controversia, sia pure prodotto in allegato alla domanda
di insinuazione allo stato passivo e debitamente richiamato nella sua sede di
produzione con il ricorso in opposizione, ai sensi dell’art. 98 l. fall. e
integralmente trascritto nel contenuto (a pg. 12 dell’odierno ricorso), non è
stato esaminato dal Tribunale, che ne ha anzi escluso la produzione (al primo
periodo di pg. 3 del decreto);

3.2. tale documento avrebbe invece dovuto essere
acquisito, posto che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo,
l’opponente, a pena di decadenza a norma dell’art. 99, secondo comma, n. 4)
l.fall., deve soltanto indicare specificatamente i documenti, di cui intende
avvalersi, già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al
giudice delegato; sicché, in difetto della produzione di uno di essi, il
tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo d’ufficio della procedura
fallimentare ove esso è custodito (Cass. 18 maggio 2017, n. 12549; Cass. 5
marzo 2018, n. 5094; Cass. 13 novembre 2020, n. 25663; Cass. 18 febbraio 2022,
n. 5320): come invece non ha fatto il Tribunale sull’assunto, al riguardo
inconferente, dell’inammissibilità di un’acquisizione officiosa del materiale
istruttorio, per la natura dispositiva, come ogni giudizio ordinario di
cognizione, anche di quello di opposizione allo stato passivo (così al secondo
capoverso di pg. 3 del decreto);

3.3. secondo un risalente principio di legittimità
(più recentemente ribadito da Cass. 4 agosto 2021, n. 22249, in motivazione,
sub p.to 15.1), la cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto
un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una
propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento
di un’attività volta alla produzione di beni o servizi (Cass. n. 17919 del
2002; Cass. n. 13068 del 2005; Cass. n. 22125 del 2006). Detta nozione di
trasferimento di ramo d’azienda è coerente con la disciplina in materia
dell’Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla
codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata
dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “è considerato come
trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica
che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati
al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o
accessoria” (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23); posto che criterio decisivo
per stabilire se si configuri un trasferimento ai sensi della Direttiva n.
2001/23/CE, è l’individuazione della circostanza che l’entità economica,
indipendentemente dal mutamento del titolare, conservi la propria identità, il
che risulta in particolare dal fatto che la sua gestione sia stata
effettivamente proseguita o ripresa (Cass. 25 novembre 2019, n. 30663, in
motivazione, sub p.to 5.4.);

3.4. la prova dell’esistenza di tutti i requisiti
che ne condizionano l’operatività, non vincolata ad alcuna particolare forma,
incombe su chi intenda avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c.,
quale eccezione al principio del necessario consenso del lavoratore creditore
ceduto: in particolare, spetta alla società cedente l’onere di allegare e
provare l’insieme dei fatti concretanti un trasferimento di ramo d’azienda
(Cass. 6 marzo 2015, n. 4601); mentre i limiti alla prova testimoniale,
desumibili dall’art. 2556, primo comma c.c. (in forza del quale i contratti
aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di
un’azienda debbono essere provati per iscritto), operano solo quando sia
dedotto, come fonte di obblighi, direttamente e specificamente il contratto e
la parte chieda in giudizio l’accertamento o l’adempimento del suo credito
(Cass. 22 marzo 2005, n. 6191; Cass. 18 febbraio 2022, n. 5320, in termini in
vicenda analoga nella stessa procedura concorsuale) e quindi tra le parti
contraenti;

3.5. deve poi essere negata l’esistenza di alcun
principio, secondo il quale la dimostrazione del buon fondamento del diritto
vantato dipenda unicamente dalle prove prodotte dal soggetto onerato e non
possa altresì desumersi da quelle espletate, o comunque acquisite, ad istanza
ed iniziativa della controparte, atteso che vige, nel nostro ordinamento
processuale, insieme con il principio dispositivo, quello cd. “di
acquisizione probatoria”, secondo il quale le risultanze istruttorie,
comunque ottenute (e qual che sia la parte ad iniziativa della quale sono state
raggiunte), concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero
convincimento del giudice, senza che la relativa provenienza possa condizionare
tale convincimento in un senso o nell’altro e senza che conseguentemente possa
escludersi l’utilizzabilità di una prova fornita da una parte per trarne
argomenti favorevoli alla controparte (Cass. 16.6.1998 n. 5980, Cass. 4.4.2000
n. 4133, Cass. 16.6.2000 n. 8195, Cass. 25.9.2000 n. 12649, Cass. 7.8.2002 n.
11911, Cass. 21.3.2003 n. 4126); sicché, nella specie non è prospettabile, per
quanto detto, alcuna inversione dell’onere probatorio, che ricade sul datore di
lavoro (Cass. 6 marzo 2015, n. 4601) e nella specie pertanto assolto, ai fini
della individuazione degli elementi integranti la fattispecie del trasferimento
del ramo d’azienda (Cass. 13 gennaio 2021, n. 438, in motivazione, sub p.to 9);

4. il ricorrente ha poi dedotto nullità della
sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia del
Tribunale sulla domanda di accertamento di illegittimità o di nullità, in
assenza di alcun progetto, del contratto a progetto tra le parti, con la sua
conversione in un rapporto di lavoro subordinato, ai sensi degli artt. 61 e 69
d.lgs. 276/2003, né su quelle retributive conseguenti, proposte nel ricorso in
opposizione, come specificamente illustrato nella sua parte argomentativa e
nelle conclusioni rassegnate, reiterate all’udienza finale e nelle memorie
conclusive (quarto motivo); nullità della sentenza per violazione dell’art. 112
c.p.c., per omessa pronuncia del Tribunale, a fronte della richiesta di
accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro nel periodo 1°
febbraio 2009 – 1° marzo 2013, sulla domanda relativa al più limitato periodo
dal 1° febbraio al 20 luglio 2012, anch’essa specificamente proposta e
debitamente illustrata (quinto motivo);

5. anch’essi, congiuntamente esaminabili per ragioni
di stretta connessione, sono fondati;

6. come ancora recentemente ribadito (Cass. 13
gennaio 2022, n. 933), l’omessa pronuncia integra violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato e sussiste in caso di omissione di
qualsiasi decisione su un capo di domanda, intendendosi per tale ogni richiesta
delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di
legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni
istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla
quale debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16
maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308; 16 luglio 2018, n.
18797), che non sia resa neppure sotto il profilo di un’implicita statuizione
di rigetto (Cass. 8 marzo 2007, n. 5351; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass.
13 agosto 2018, n. 20718);

6.1. nel caso di specie, il vizio denunciato ricorre
per entrambe le domande, specificamente proposte, come da loro debita
trascrizione (la prima: al p.to 4.1. di pgg. da 21 a 25; la seconda: al p.to
5.1. di pgg. da 36 a 38 del ricorso) e sulle quali il Tribunale non ha
pronunciato;

7. il ricorrente ha, infine, dedotto omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio, per avere il Tribunale capitolino ritenuto
indimostrato il rapporto di subordinazione dal 20 luglio 2012 al 1° marzo 2013
con mancanza o totale apparenza di motivazione, senza indicazione del percorso
logico argomentativo di valutazione della prova (sesto motivo);

8. esso è assorbito;

9. pertanto il ricorso deve essere accolto e il
decreto impugnato cassato, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del
giudizio di legittimità, al Tribunale di Roma in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e
rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al
Tribunale di Roma in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 novembre 2022, n. 33814
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: