Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2022, n. 34127

Tributi, IRPEF, Fondo previdenza complementare per il
personale di un istituto bancario, Prestazione una tanutm in forma capitale,
Base imponibile, Deduzione contributi versati, Esclusione

 

Rilevato che

 

1.Contro il rifiuto tacito relativo all’istanza di
rimborso per l’IRPEF, relativo all’anno 2006 (per € 5.564,92) opposto
dall’Agenzia delle Entrate di Napoli ricorreva, dinanzi alla C.t.p. di Napoli,
L.C., in qualità di erede di A.C. (ex dipendente della B.C.I.) sostenendo che
il sostituto d’imposta, Fondo di previdenza complementare del personale della
B.C.I., in sede di liquidazione del capitale una tantum spettante in ragione
dell’avvenuta liquidazione del fondo, aveva operato una erronea trattenuta; il contribuente
sosteneva che, pur applicandosi la prevista aliquota interna, non si era tenuto
conto, nella determinazione della base imponibile, del disposto dell’art. 18,
comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 nel testo previgente e riguardante
tutto il 31/12/2000 e non aveva detratto dall’imponibile lordo il 4% dei
contributi versato da esso ricorrente per il periodo dalla data di assunzione
fino alla data di quiescenza.

2. La C.t.p., ove si costituiva anche l’Agenzia
delle Entrate, rigettava il ricorso ritenendo la somma percepita rientrante tra
i redditi da lavoro dipendente e non già di capitale.

3. Contro tale decisione proponeva appello il
contribuente dinanzi la C.t.r della Campania, ove si costituiva anche
l’ufficio; tale Commissione, con sentenza n. 507/49/16, depositata in data 25
gennaio 2016, respingeva l’appello.

4. Avverso la sentenza della C.t.r. della Campania,
L.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate non ha notificato e
depositato controricorso, ma ha prodotto mera nota di costituzione al
dichiarato solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.

La causa è stata trattata nella camera di consiglio
del 25 ottobre 2022 per la quale non sono state depositate memorie.

 

Considerato che

 

1.Con il primo motivo di ricorso, così rubricato:
«Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, nel testo vigente anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs
18 febbraio 2000, n. 47, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.
proc. civ.» il contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui,
nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha deciso ritenendo erroneamente che si
trattasse di una questio iuris relativa alla prestazione di capitale, effettuata
dal fondo a saldo e stralcio, in forza di un accordo transattivo risolutivo di
ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo in godimento
laddove invece si trattava di somme liquidate dal fondo per eventi sopravvenuti
ed indipendenti dalla volontà delle parti.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così
rubricato: «Violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. per travisamento
delle prove e conseguenziale violazione dell’art. 17, comma 2, del d.P.R. 22
dicembre 1986, n. 917, nel testo vigente anteriormente all’entrata in vigore
del d.lgs 18 febbraio 2000, n. 47, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3
e n. 4 cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’error in iudicando e l’error
in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha
travisato il contenuto della lettera del 12 dicembre 2005 del Fondo Pensioni
per il personale della B.C.I. ritenendolo un accordo transattivi risolutivo.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato:
«Motivazione apparente (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.)» il
contribuente lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza
impugnata, la C.t.r. non ha espressamente chiarito la motivazione per cui la
richiesta del contribuente è stata respinta.

2. I motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente
perché connessi, sono infondati.

2.2.Il contribuente, dipendente della B.C.I. dal
1963 al 1997 e iscritto allo speciale fondo pensione della stessa, aveva
versato il 7,75% delle proprie retribuzioni soggette a contribuzione a un fondo
di previdenza complementare negoziato con la datrice di lavoro; tali contributi
avevano prodotto la prestazione mediante il pagamento di capitale, in
sostituzione della rendita originaria, perché vi era stata la decisione dell’istituto
di messa in liquidazione coattiva del fondo medesimo, dichiarato poi estinto in
data 22 dicembre 2006, con la trasformazione della rendita in capitale. Di qui
la domanda di rimborso del contribuente per un importo pari alla differenza tra
le imposte trattenuta dal fondo pensioni e quelle dovute dal ricorrente in
conseguenza del mancato abbattimento degli imponibili non effettuato dal fondo
pensioni.

2.3. Il Fondo Comit, fino al 1954, ha operato in
regime sostitutivo del regime generale di previdenza obbligatoria per invalida
e vecchiaia per i dipendenti della B.C.I..

Inizialmente, dunque, la partecipazione di essi al
Fondo era obbligatoria, costituendo parte integrante del contratto di lavoro
con la B.C.I.. Successivamente dal 1° gennaio 1955, a seguito di decisione
governativa di estendere l’iscrizione dei dipendenti della banca
all’assicurazione generale obbligatoria presso l’Inps, con attivazione dei
corrispondenti obblighi contributivi, il Fondo, da funzione sostitutiva
dell’assicurazione generale obbligatoria, ha iniziato a svolgere la funzione di
previdenza complementare integrativa (Cass. 28/12/2016, n. 27079). Il Fondo
pensione Comit, dunque, in quanto iscritto all’albo dei fondi presso la Covip e
assoggettato alla sua vigilanza, costituisce una forma di previdenza
complementare, concretizzandosi in una prestazione in forma di rendita
realizzata in modo volontario, con lo scopo di integrare la pensione pubblica
al fine di garantire all’avente diritto un adeguato tenore di vita dell’età
pensionabile (in tal senso Cass. 27079 del 2016 cit.).

2.4. La questione attiene, dunque, alla verifica
della natura obbligatoria o facoltativa dei contributi erogati al fondo di
previdenza complementare.

Infatti, ai sensi dell’art. 17, primo comma, del
d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente, «il trattamento di fine rapporto
costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare
delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. L’imposta è
applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato
il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il
suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui
al d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 e al netto delle rivalutazioni già
assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni o frazione di
anno preso a base di comunicazione, e moltiplicando il risultato per 12». Il
comma 2 dell’art. 17 del d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente, prevede che
«le altre indennità e somme indicate alla lettera a) del comma 1 dell’art. 16,
anche se commisurate alla durata del rapporto di lavoro e anche se corrisposte
da soggetti diversi dal datore di lavoro, sono imponibili per il loro ammontare
complessivo, al netto dei contributi obbligatori dovuti per legge, con
l’aliquota determinata agli effetti del comma 1».

Pertanto, l’art. 16 del d.P.R. n. 917 del 1986,
all’epoca vigente, dispone che la tassazione separata si applica ai redditi
indicati nella successiva lettera A), quindi al trattamento di fine rapporto di
cui all’art. 2120 cod. civ. e indennità equipollenti, comunque denominate,
commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente. L’aliquota era
invece determinata ai sensi del comma 1 dell’art. 17 del d.P.R. n. 917 del
1986; ciò ai fini della “imposta sostitutiva”. L’art. 48 del d.P.R. n. 917 del
1986, all’epoca vigente, prevede, al comma 2, che «non concorrono a formare il
reddito: a) i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di
lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge».

2.5. Questa Corte, con orientamento consolidato
(Cass. 19/12/2019, n. 33828; Cass. 01/07/2020, n. 13353; Cass. 10/12/ 2020, n.
28125; Cass. 26/05/2021, n.14571; Cass. 23/11/2021, n. 36256; Cass. 14/03/2022,
n. 8240; Cass. 19/07/2022, n. 22673), ha ritenuto che la prestazione di
capitale in Fondo di previdenza complementare per il personale di un istituto
bancario (nella specie, il Fondo di previdenza complementare per il personale
della B.C.I.), effettuata in favore di un ex dipendente, in forza di accordo
risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo
in godimento (“zainetto”), costituisce, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del
d.P.R. n. 917 del 1986, reddito della stessa categoria della “pensione
integrativa” cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi, assoggettato al
medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la predetta forma di
pensione. Ne consegue che la base imponibile su cui calcolare l’imposta è
costituita dall’intera somma versata dal Fondo, senza che sia possibile
defalcare da essa i contributi versati, in quanto, ai sensi della lettera a)
dell’art. 48 del d.P.R. n. 917 del 1986, nel testo in vigore fino al 31
dicembre 2003, gli unici contributi previdenziali e/o assistenziali che non
concorrono a formare il reddito sono quelli versati in ottemperanza a
disposizioni di legge.

2.6. Pertanto, la C.t.r. non è incorsa in alcuna
violazione di legge o vizio di motivazione allorquando ha argomentato la
propria decisione di rigetto dell’appello – e quindi dell’istanza di rimborso –
siccome, da un lato, la sentenza è conforme ai principi espressi univocamente
da questa Corte e, dall’altro, sono ivi declinate compiutamente e chiaramente
le ragioni a supporto dell’iter logicoargomentativo.

In tema di motivazione apparente, come chiarito da
questa Corte «la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano
del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi
ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto
irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n.
8053, Cass. 17/12/2014, n. 21257), ma anche quelle che contengono una
motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave
forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della
decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire
«di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico
seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (Cass. 25/02/2014, n.
4448), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare
un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo
procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato
cui si perviene sulla res decidendi (Cass. 25/02/2014, n. 4448.; Cass., Sez. U.
03/11/2016, n. 22232; Cass. 01/08/2018, n. 20414).

La sentenza impugnata, si ripete, dà agevole
contezza delle ragioni fondanti la decisione della legittimità del diniego di
rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla
per le spese perché l’agenzia delle entrate non ha svolto concreta attività
difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2022, n. 34127
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