Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 novembre 2022, n. 44561

Infortunio sul lavoro, Reato di omicidio colposo, Violazione
dell’art. 71, D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, Responsabilità del datore,
Sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria, Art. 53, legge 689/81
– Illegittimità costituzionale, Determinazione

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 18 ottobre 2021, la Corte di
appello di Ancona ha riformato quanto al trattamento sanzionatorio la sentenza
emessa il 18 marzo 2019 dal Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di C. G.
ritenuto responsabile – quale «legale rappresentante della S. s.r.I.» – del
reato di cui all’art. 590, commi 1 e 3, cod. pen. in danno di G. P., dipendente
della società. La Corte di appello ha valutato che, nel caso concreto, la pena
detentiva – inflitta dal giudice di primo grado nella misura di giorni venti di
reclusione – potesse essere sostituita con la pena pecuniaria di specie
corrispondente che è stata determinata nella misura di € 5.000,00 di multa (€
250,00 per ogni giorno di pena detentiva). La sentenza di primo grado è stata
riformata per questa parte e confermata nel resto. È stata respinta la
richiesta di concessione del beneficio della non menzione della condanna ex
art. 175 cod. pen.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul
lavoro verificatosi ad Ascoli Piceno il 15 aprile 2016 nello stabilimento che
costituisce unità produttiva della società «S.» (indicata come s.r.l. nel capo
di imputazione, ma come s.p.a. nelle sentenze). Questa società ha sede legale a
Milano, opera nella produzione di tubetti in alluminio, laminato e plastica, e,
all’epoca dei fatti, C. G. ne era legale rappresentante.

Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito,
G. P., operaio litografo, stava pulendo i rulli della macchina litografica alla
quale era addetto avvalendosi di uno straccio. La pulizia doveva avvenire con i
rulli in movimento e, per questo, all’imbocco c’era una protezione, che non
raggiungeva però la parte terminale dei rulli. A causa di ciò, la mano destra
di P. fu trascinata ed egli subì un «trauma da schiacciamento, con amputazione
dell’apice del V dito» dal quale derivò una malattia di durata superiore ai
quaranta giorni.

C. G. è accusato di aver provocato l’infortunio per
colpa specifica, consistita nella violazione dell’art. 71 d.lgs. 9 aprile 2008
n. 81, e, in particolare, per aver messo a disposizione dei lavoratori una
attrezzatura non conforme ai requisiti generali di sicurezza.

3. L’imputato ha proposto tempestivo ricorso contro
la sentenza della Corte di appello articolandolo in tre motivi che vengono di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come
previsto dall’art. 173 comma 1 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271.

3.1 Col primo motivo il ricorrente lamenta
violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza della colpa. La difesa osserva che i giudici di merito hanno
ritenuto la responsabilità di G. perché i rulli del macchinario utilizzato da
P. non erano interamente coperti, ma quel macchinario era in uso da anni e mai
si erano verificati infortuni con modalità simili. Sostiene che, per poter
affermare la responsabilità datoriale, sarebbe stato necessario indagare in
ordine alla conoscibilità da parte di G. dell’ipotizzata inadeguatezza della
protezione, alla concreta prevedibilità dell’evento e alla possibilità di
intervenire per prevenirlo ed evitarlo.

Rileva che, come la Corte di appello ha
riconosciuto, «secondo regolare procedura, i dipendenti non avrebbero dovuto
avvicinare le mani ai rulli in movimento». Sottolinea che (come risulta dalla
sentenza di primo grado), l’uso delle macchine litografiche era disciplinato da
una apposita procedura, in forza della quale i calamai e le stazioni di
inchiostratura dovevano essere puliti «a macchina ferma» senza «avvicinare mai
le mani nella zona in movimento».

Osserva che P. ha dichiarato di aver partecipato a
corsi di formazione aziendale. Ne desume che il datore di lavoro aveva
pienamente assolto ai propri doveri di prevenzione e protezione e sottolinea
che l’ipotizzata esistenza di una prassi operativa difforme rispetto a quella
stabilita avrebbe richiesto una puntuale motivazione delle ragioni per le quali
di questa prassi G. avrebbe dovuto essere informato. Osserva, in particolare,
che il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro
non costituisce di per sé prova né della conoscenza né della conoscibilità da
parte di quest’ultimo di prassi aziendali difformi rispetto a quelle stabilite,
e tale conoscenza e conoscibilità sono imprescindibili per l’affermazione della
responsabilità a titolo di colpa.

3.2. Col secondo motivo, il ricorrente si duole
della mancata concessione del beneficio della non menzione – che sarebbe stata
negata con motivazione contraddittoria facendo riferimento agli stessi elementi
(danni patiti dal lavoratore e gravità del fatto reato) valutati ai fini della
concessione delle attenuanti generiche – del giudizio di equivalenza tra tali
attenuanti e la aggravante, e della determinazione della pena nei minimi
edittali.

3.3. Col terzo motivo, la difesa rileva che la
sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria di specie
corrispondente è avvenuta sulla base del testo dell’art. 53 legge 24 novembre
1981 n. 689 vigente quando la sentenza è stata pronunciata, ma, con la sentenza
n. 28/2002, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di questa
norma nella parte in cui prevede che il «valore giornaliero non può essere
inferiore alla somma indicata dall’art. 135 del codice penale e non può
superare di dieci volte tale ammontare», e non che il «valore giornaliero non
può essere inferiore a 75 euro e non può superare di dieci volte la somma
indicata dall’art. 135 del codice penale». Sostiene che la mutata cornice
edittale impone una nuova determinazione del parametro di conversione essendo
stato applicato per la sostituzione il minimo edittale di € 250,00 dichiarato
costituzionalmente illegittimo.

4. Il Procuratore generale ha depositato memoria
scritta chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla
conversione della pena detentiva, con rinvio per la rideterminazione della pena
pecuniaria. Ha chiesto il rigetto degli altri motivi di ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Il primo e il secondo motivo di ricorso non sono
fondati. Il terzo merita accoglimento.

2. Si deve premettere che la sentenza impugnata
esamina i motivi di appello con criteri omogenei a quelli del primo giudice e
fa rinvio integrale ai passaggi logico giuridici della prima sentenza. Nel caso
in esame, dunque, vi è concordanza tra i giudici di merito nell’analisi e nella
valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione.
Conseguentemente, la struttura giustificativa della sentenza di appello si
salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo
argomentativo e, ai fini della decisione del presente ricorso, le due sentenze
devono essere lette congiuntamente (cfr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del
12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758;
Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 3, n. 44418 del
16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).

I giudici di merito hanno ritenuto sussistente una
colpa specifica per violazione dell’art. 71 d.lgs. n. 81/08, in base al quale
il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature
idonee ai fini della salute e sicurezza, adeguate al lavoro da svolgere o
adattate a tali scopi. I requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro
sono indicati dal precedente art. 70 che rinvia all’allegato V.

L’allegato VI del d.lgs. 81/08, detta poi le
disposizioni relative all’uso delle attrezzature dì lavoro. Ai sensi dell’art.
69 comma 1 lett. b) del decreto, per «uso di una attrezzatura di lavoro», si
intende «qualsiasi operazione lavorativa connessa ad una attrezzatura di
lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l’impiego, il trasporto,
la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, il montaggio,
lo smontaggio».

Nella sentenza di primo grado si riferisce che, come
risulta dal documento di valutazione dei rischi predisposto dalla società, le
macchine presenti nel reparto litografia erano «di vecchia concezione» e,
pertanto, vi erano state «applicate delle protezioni, sia contro il rumore, sia
per evitare il contatto con parti in moto». In particolare, il documento di
valutazione dei rischi prevedeva che durante la fase della lavorazione, «non
potendo abbassare la velocità della macchina perché questo creerebbe problemi
sulla stampa» l’operatore, «costretto a disattivare la sicurezza tramite il
selettore a chiave presente sulla macchina», non dovesse «in alcun modo
avvicinarsi alle parti in moto» e dovesse utilizzare «durante la fase
lavorativa e di set- up [..] stracci imbevuti di solvente» (pag. 5 della
sentenza di primo grado). Dalla medesima sentenza risulta che, nel giudizio di
primo grado, la difesa ha prodotto copia della procedura operativa prevista per
l’uso delle macchine litografiche del reparto alluminio. In questa procedura lo
schiacciamento delle mani durante il lavaggio dei calamai era indicato quale
«rischio specifico» e si richiedeva di pulire sia i calamai che le stazioni di
inchiostratura «a macchina ferma», raccomandando di «non avvicinare mai le mani
nella zona in movimento, di utilizzare abbigliamento aderente» e di verificare
che sui rulli inchiostratori vi fossero «tutte le protezioni antimpigliamento»
(pag. 5 della sentenza di primo grado e pag. 6 del ricorso). Il ricorrente sottolinea
che, secondo P.I., responsabile per la salute e la sicurezza sul luogo di
lavoro, sentito quale testimone in udienza, la macchina che P. stava pulendo al
momento dell’infortunio «era dotata, come da fabbrica, di una barretta
metallica» idonea ad impedire il trascinamento della mano. Secondo i giudici di
merito, che richiamano sul punto le dichiarazioni rese dai tecnici della
prevenzione intervenuti sul posto, la barretta non copriva la parte terminale
dei rulli e non era dunque idonea a fini di prevenzione. La sentenza di primo
grado riferisce inoltre, richiamando le dichiarazioni rese dallo stesso I.,
che, per il lavaggio dei rulli si utilizzavano stracci imbevuti di solvente e i
rulli venivano fatti ruotare a velocità ridotta (erano dunque in movimento) e
che, nella macchina di cui si tratta, i rulli non potevano essere fatti ruotare
in direzioni opposte così da impedire l’effetto di trascinamento.

Proprio per questo, all’imbocco dei rulli vi era una
barretta protettiva. Questa barretta fu sostituita, dopo l’infortunio, da una
protezione più larga che, pur rendendo più difficoltosa la pulizia, proteggeva
interamente l’imbocco.

Non è controverso che l’infortunio si sia verificato
perché, mentre P. puliva con uno straccio i rulli in movimento, la sua mano
destra fu afferrata dalla parte terminale, non protetta, dell’imbocco dei
rulli. P. ha dichiarato che, durante le operazioni di pulizia, la macchina non
poteva essere spenta (il movimento dei rulli era infatti funzionale alla
pulizia stessa) e, di conseguenza, se ne rallentava la velocità. Ha detto di
aver operato attenendosi ad una prassi che aveva appreso dai colleghi, secondo
modalità che venivano abitualmente applicate ad ogni cambio di lavorazione
(pag. 4 della sentenza di primo grado).

2.1. Secondo il ricorrente la prassi di procedere
alla pulizia dei rulli tenendo la macchina in moto sarebbe contraria alle
indicazioni contenute nel documento di valutazione del rischio sicché i giudici
di merito avrebbero dovuto spiegare che G. era informato di tale prassi
difforme oppure chiarire perché avrebbe dovuto esserlo. Il ricorrente
sottolinea, inoltre, che, operando nel modo indicato, P. avrebbe tenuto un
comportamento abnorme, non prevedibile da parte del datore di lavoro.

L’argomento è privo di pregio, non soltanto perché –
come la sentenza impugnata ricorda – in caso di assenza delle cautele volte a
governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai
lavoratori, l’imprudenza di costoro non configura un rischio «eccentrico», idoneo
ad escludere il nesso di causa tra la condotta o l’omissione del datore di
lavoro e l’infortunio (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242;
Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321); ma soprattutto perché
il divieto di avvicinarsi con le mani agli organi in movimento inserito nel
documento di valutazione del rischio riguarda, all’evidenza, la fase della
lavorazione e non quella della pulizia dei rulli.

In questa fase, infatti – come emerge dalla
procedura operativa prodotta dalla difesa e dalle dichiarazioni del teste I. –
si doveva necessariamente operare tenendo i rulli in movimento e, proprio per
questo, la macchina era dotata di una protezione all’imbocco degli stessi. Ne
consegue che la «prassi comune» (così la definisce la sentenza impugnata) di
pulire i rulli in movimento utilizzando uno straccio e avvicinando ad essi le
mani non era affatto abnorme ed era tutt’altro che imprevedibile e inevitabile,
era anzi prevista, e lo era con tale chiarezza che, per questo, la macchina era
dotata di una protezione all’imbocco dei rulli.

2.2. Dalle sentenze di merito risulta che la
protezione non era idonea a prevenire l’infortunio (che infatti si verificò)
non essendo conforme alle disposizioni dell’art. 71 d.lgs. n. 81/08.

Va ricordato in proposito che gli artt. 70 e 71
d.lgs. n. 81/08 fanno riferimento all’allegato V del medesimo decreto. Questo
allegato prevede, al punto 11.1. della prima parte: «Le operazioni di
manutenzione devono poter essere effettuate quando l’attrezzatura di lavoro è
ferma. Se ciò non è possibile, misure di protezione appropriate devono poter
essere prese per l’esecuzione di queste operazioni, oppure esse devono poter
essere effettuate al di fuori delle zone pericolose»; prevede, inoltre, al
punto 5.9.1. della seconda parte: «Nelle macchine con cilindri lavoratori e
alimentatori accoppiati e sovrapposti, o a cilindro contrapposto a superficie
piana fissa o mobile, quali laminatoi, rullatrici, calandre, molini a cilindri,
raffinatrici, macchine tipografiche a cilindri e simili, la zona di imbocco,
qualora non sia inaccessibile, deve essere efficacemente protetta per tutta la
sua estensione, con riparo per impedire la presa e il trascinamento delle mani
o di altre parti del corpo del lavoratore». L’allegato VI, che disciplina l’uso
dei macchinari, prevede, inoltre, al punto 1.6., il divieto di pulire a mano
«gli organi e gli elementi in moto di attrezzature di lavoro, a meno che ciò
non sia richiesto da particolari esigenze tecniche», e stabilisce che in questi
casi (dunque in casi simili a quello in esame) debba «essere fatto uso di mezzi
idonei ad evitare ogni pericolo».

2.3. Ai sensi degli artt. 17 e 28 d.Ig. n. 81/08
l’obbligo di valutazione dei rischi che incombe sul datore di lavoro prevede
anche la scelta delle attrezzature da lavoro. Grava quindi su di lui (come
grava, in presenza di deleghe, su ogni gestore del rischio), l’obbligo di
verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di
impedire l’utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa – inidoneità
originaria o sopravvenuta – siano pericolosi per l’incolumità del lavoratore
che li manovra (Sez. 4, n. 3917 del 17/12/2020, dep. 2021, Dal Maso, Rv.
280382). In attuazione di questi principi si è ritenuto che «il datore di
lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, è tenuto ad
accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e
risponde dell’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di
tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di
conformità “CE” o l’affidamento riposto nella notorietà e nella
competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua
responsabilità» (Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008, Vigilardi, Rv. 241020; Sez.
4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrìni, Rv. 256948). A questa regola può farsi
eccezione nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo
sia reso impossibile perché le speciali caratteristiche della macchina non
consentivano di apprezzarne la pericolosità con l’ordinaria diligenza (Sez. 4,
n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli, Rv. 275114; Sez. 4, n. 41147
del 27/10/2021, Favaretto, Rv. 282065), ma tale situazione non ricorre nel caso
di specie atteso che, come emerge dalle sentenze di merito, la protezione non
ricopriva la zona di imbocco per tutta la sua estensione, sicché il pericolo
era evidentemente riconoscibile. Il ricorrente osserva che la macchina era
stata utilizzata per oltre vent’anni senza che nessuno si facesse male, ma questo
dato non consente di ritenere che il difetto di protezione fosse occulto e non
accertabile con l’ordinaria diligenza.

Nella sentenza di primo grado, inoltre, si
sottolinea la «assenza di ogni elemento in ordine ad una eventuale delega di
funzioni» e questa affermazione non è stata contestata né in sede di appello né
in sede di ricorso per Cassazione sicché si deve ritenere che gli obblighi
imposti dall’art. 71 d.lgs. 81/08 non fossero stati formalmente delegati.

2.4. Per quanto esposto, la motivazione della
sentenza impugnata, integrata dalla motivazione della sentenza di primo grado
cui la stessa fa rinvio, non può essere ritenuta carente, contraddittoria o
illogica e certamente non contrasta con i principi di diritto che disciplinando
la materia.

Nel caso di specie – come emerge dalle sentenze di
merito – il comportamento dell’infortunato non determinò l’attivarsi di un
rischio eccentrico rispetto a quello prevedibile, e l’evento lesivo si verificò
perché quel rischio non fu prevenuto in maniera adeguata. La pulizia dei rulli,
infatti, richiedeva che gli stessi fossero in movimento e, nella macchina che
P. stava pulendo, tale movimento era convergente (idoneo, quindi, a determinare
l’afferramento e trascinamento delle mani dell’operatore). Ciò imponeva che la
zona di imbocco fosse protetta per tutta la sua estensione e il rispetto di
tale doverosa regola cautelare avrebbe senza dubbio impedito l’evento. L’evento
che in concreto si verificò, dunque, fu esattamente quello che la norma di
prevenzione violata mirava ad evitare e la decisione assunta non è censurabile
quando individua quale condotta alternativa doverosa la realizzazione di una
idonea protezione.

Quanto alla prevedibilità ed evitabilità soggettive
dell’evento dannoso, basta rilevare che, in assenza di deleghe, l’obbligo di
attuare le norme in materia di prevenzione e vigilare sul rispetto delle
stesse, grava sul datore di lavoro e – come la sentenza impugnata ricorda –
qualora non siano individuabili soggetti diversi obbligati a garantire la sicurezza
dei lavoratori, nell’ambito di un’impresa organizzata in forma societaria,
destinatario della normativa antinfortunistica è il legale rappresentante (Sez.
3, n. 24478 del 23/05/2007, Lalia, Rv. 236955; Sez. 3, n. 2580 del 21/11/2018,
dep. 2019, Slabu, Rv. 274748; Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017, Ottavi, Rv.
269133)

3. Col secondo motivo, il ricorrente si duole della
mancata concessione della non menzione della condanna. Osserva che questa
decisione è stata motivata facendo riferimento alla «consistenza dei danni
patiti dal lavoratore» e alla «consistenza/gravità del fatto-reato», ma degli
stessi elementi si è tenuto conto per valutare congrua la pena di venti giorni
di reclusione inflitta in primo grado previa concessione delle attenuanti
generiche equivalenti all’aggravante. La difesa sostiene che, essendo stata
determinata la pena in misura prossima ai minimi edittali, l’argomentazione è
contraddittoria. Lamenta, inoltre, che nel motivare il diniego, non sia stato
fatto alcun riferimento alla personalità dell’imputato e alla sua capacità a
delinquere.

Il motivo di ricorso è infondato. Il beneficio della
non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. tende a favorire il
processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione
è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, che deve
indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui
all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, Iannacone, Rv. 275813;
Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251509). Nel caso di specie, la
Corte territoriale ha ritenuto di dover negare il beneficio in ragione
dell’entità del danno e della gravità del fatto di reato e – a differenza di
quanto sostiene il ricorrente – tale motivazione non contraddice quella
adottata nel valutare congrua la pena inflitta dal giudice di primo grado. Se è
vero, infatti, che, in sede di appello, la pena detentiva è stata sostituita
con la pena pecuniaria di specie corrispondente, è anche vero che i giudici di
appello non hanno ritenuto che la gravità del fatto giustificasse fin
dall’inizio l’applicazione della pena pecuniaria e hanno escluso che le
attenuanti generiche, già concesse dal giudice di primo grado, potessero essere
valutate prevalenti sulla aggravante.

4. Il terzo motivo di ricorso è fondato. La pena di
C 5.000,00 di multa è stata determinata, infatti, ai sensi dell’art. 53 legge
689/81: norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n.
28/2022 del 12/01/2022 (depositata in data 01/02/2022).

Come noto, questa sentenza ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale del citato art. 53 «nella parte in cui prevede:
«TU valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’art.
135 del codice penale e non può superare dì dieci volte tale ammontare”
anziché “[i]l valore giornaliero non può essere inferiore a 75 euro e non
può superare di dieci volte la somma indicata dall’art. 135 del codice
penale”».

Il valore giornaliero minimo cui si deve fare
riferimento per la sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria di
specie corrispondente, pertanto, non è più quello di € 250, bensì quello di €
75 per ogni giorno di pena detentiva. La situazione che si è verificata per
effetto di tale pronuncia non è dissimile da quella che si verificò con la
sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019 con la quale fu dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 10 ottobre 1990,
n. 309, nella parte in cui prevede la pena minima edittale di anni otto anziché
di anni sei di reclusione. In quel caso, la giurisprudenza di legittimità
ritenne che la pena determinata dal giudice di merito, potesse essere
rideterminata dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett.
I), cod. proc. pen. purché non vi fosse necessità di procedere ad attività
valutative o implicanti l’esercizio di poteri discrezionali e, quindi, purché
fosse stata considerata quale base di computo la pena detentiva minima e
l’aumento di pena eventualmente disposto per la continuazione non fosse
influenzato dalla pronunzia di illegittimità costituzionale (Sez. 3, n. 13097
del 09/01/2020, Palma, Rv. 279231; Sez. 3, n. 43103 del 04/07/2019, del Giacco,
Rv. 277175).

Una situazione analoga si è verificata nel caso in
esame: la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria di specie
corrispondente, infatti, è avvenuta sostituendo la pena detentiva di giorni 20
di reclusione, con la pena di € 5.000,00 di multa, cioè applicando il valore
giornaliero minimo previsto dalla disposizione di legge dichiarata
costituzionalmente illegittima.

La pena pecuniaria applicata in sostituzione della
pena detentiva deve pertanto essere rideterminata, previo annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata, nella misura di € 1.500,00 di multa pari a 75
euro per ogni giorno di reclusione.

7. Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve
essere annullata senza rinvio quanto alla determinazione della pena pecuniaria
sostitutiva che deve essere indicata nella misura di € 1.500,00. Nel resto il
ricorso va respinto.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata
limitatamente alla determinazione della pena pecuniaria sostitutiva che
ridetermina in € 1.500,00. Rigetta il ricorso nel resto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 novembre 2022, n. 44561
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: