Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 28 novembre 2022, n. 238

Previdenza e assistenza, Pensioni, Soggetti che esercitano
per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo
[nella specie, attività libero professionale di architetto] subordinata
all’iscrizione a un albo, ma non iscritti alla relativa Cassa previdenziale di
categoria, essendo già iscritti in altra forma di previdenza obbligatoria, in
ragione di altra attività esercitata

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ordinanza dell’8 febbraio 2022 (reg. ord. n.
14 del 2022), il Tribunale ordinario di Rieti, in funzione di giudice del
lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio
e complementare) e dell’art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, per contrasto con gli artt.
3, anche in riferimento all’art. 118, comma quarto, 23, anche in riferimento
all’art. 41, e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del
Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella
parte in cui prevedono l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata
dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a carico degli
ingegneri e degli architetti che, pur essendo iscritti ai relativi albi
professionali, non possono iscriversi alla Cassa previdenziale di riferimento in
quanto svolgono contestualmente anche un’altra attività lavorativa e sono,
dunque, iscritti alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria.

L’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995,
prevede, con decorrenza dal 1° gennaio 1996, l’obbligo di iscrizione alla
Gestione separata costituita presso l’INPS, «finalizzata all’estensione
dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i
superstiti», sia dei «soggetti che esercitano per professione abituale,
ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1
dell’articolo 49, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917», sia dei
«titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al
comma 2, lettera a), dell’articolo 49» predetto (ora, a seguito della riforma
introdotta con il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, recante
«Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4
della L. 7 aprile 2003, n. 80»: art. 53).

L’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come
convertito – norma dichiaratamente di interpretazione autentica del citato art.
2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 – dispone che quest’ultimo si
interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale,
ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, tenuti all’iscrizione
presso l’apposita Gestione separata INPS, «sono esclusivamente i soggetti che
svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad
appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento
contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti ed
ordinamenti».

Gli enti a cui la norma interpretativa fa
riferimento sono le Casse, gli Enti e gli Istituti previdenziali già istituiti
per le diverse categorie professionali, trasformati in persone giuridiche
private dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega
conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in
materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di
forme obbligatorie di previdenza e assistenza) nonché quelli successivamente
costituiti ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 (Attuazione
della delega conferita dall’art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n.
335, in materia di tutela previdenziale obbligatoria dei soggetti che svolgono
attività autonoma di libera professione), di attuazione della delega conferita
dall’art. 2, comma 25, della legge n. 335 del 1995, in materia di tutela
previdenziale dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera
professione, il cui esercizio è subordinato all’iscrizione ad appositi albi ed
elenchi.

Nell’esegesi della norma interpretativa consolidatasi
nella giurisprudenza di legittimità e assurta a regola di diritto vivente, è
prevalsa la tesi secondo la quale il versamento contributivo in favore degli
enti previdenziali di riferimento categoriale, cui l’attività di lavoro
autonomo abitualmente esercitata non deve essere soggetta perché sorga
l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, si specificherebbe nel
contributo cosiddetto soggettivo, vale a dire nel contributo il cui versamento
è subordinato all’iscrizione all’ente previdenziale di categoria e che
determina la costituzione di un vero e proprio rapporto giuridico
previdenziale, comportante il diritto alle prestazioni erogate dall’ente
medesimo per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

In base al prevalso orientamento giurisprudenziale,
dunque, dovrebbero ritenersi obbligati ad iscriversi alla Gestione separata
INPS non solo i soggetti che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo
il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi
professionali, ma anche i soggetti che, pur svolgendo attività il cui esercizio
sia subordinato a tale iscrizione, non sono tuttavia iscritti alla Cassa di
previdenza professionale (eventualmente in ragione del divieto derivante
dall’iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria) e restano quindi
obbligati al versamento del solo contributo cosiddetto integrativo (comportante
l’erogazione di prestazioni assistenziali di carattere mutualistico), non anche
di quello cosiddetto soggettivo, a cui consegue l’accensione di una vera e
propria posizione previdenziale.

L’obbligo di iscrizione, inoltre, vi sarebbe non
soltanto nei casi di esercizio per professione abituale dell’attività di lavoro
autonomo (conformemente al disposto testuale di cui all’art. 2, comma 26, della
legge n. 335 del 1995), ma, con decorrenza dal 1° gennaio 2004, anche nei casi
di esercizio di attività di lavoro autonomo occasionale, allorché il reddito
annuo da essa derivante superi l’importo di euro 5.000,00, ai sensi dell’art.
44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti
per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

1.1.- Tra questi professionisti rientrano gli
ingegneri e gli architetti, i quali, pur essendo iscritti ai relativi albi
professionali, svolgano, tuttavia, anche un’altra attività lavorativa e siano
pertanto iscritti alla forma di previdenza obbligatoria corrispondente
all’altra attività esercitata e non già alla Cassa categoriale.

In vero, la legge 4 marzo 1958, n. 179 (Istituzione
e ordinamento della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli
ingegneri ed architetti), nell’istituire la Cassa categoriale (cosiddetta
Inarcassa) con personalità giuridica, in origine, di diritto pubblico (art. 1),
successivamente privatizzata in base al d.lgs. n. 509 del 1994, aveva previsto
che fossero iscritti alla Cassa tutti gli ingegneri e gli architetti che
potessero esercitare, per legge, la libera professione (art. 3).

Tale previsione, tuttavia, è stata modificata
dall’art. 2 della legge 11 novembre 1971, n. 1046 (Modifiche ed integrazioni
alla legge 4 marzo 1958, n. 179, concernente l’istituzione e l’ordinamento
della cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed
architetti ed abrogazione della legge 6 ottobre 1964, n. 983, recante
modificazioni alla predetta legge n. 179), il quale, con decorrenza dal
1°gennaio 1972, ha stabilito il divieto di iscrizione alla cassa per «gli
ingegneri ed architetti iscritti a forme di previdenza obbligatorie in
dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività
esercitata».

Il divieto è stato ribadito dall’art. 21, quinto
comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (Norme in materia di previdenza per gli
ingegneri e gli architetti), la quale però ha anche previsto, all’art. 10,
comma primo, con decorrenza dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla sua
entrata in vigore, che «tutti gli iscritti agli albi di ingegnere e di
architetto devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i
corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e
versarne alla cassa l’ammontare indipendentemente dall’effettivo pagamento che
ne abbia eseguito il debitore».

Per un verso, dunque, i professionisti in parola,
pur svolgendo l’attività professionale abitualmente, non possono iscriversi
alla Cassa in ragione della diversa attività lavorativa svolta e della relativa
posizione previdenziale assunta; per altro verso, in quanto iscritti all’albo
di ingegnere od architetto, sono comunque tenuti a versare alla cassa medesima
un contributo integrativo.

Movendo da una interpretazione dell’art. 18, comma
12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, conforme a quella successivamente
fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, l’INPS ha proceduto ad
iscrivere d’ufficio alla Gestione separata i professionisti che, pur essendo
iscritti all’albo e versando il contributo cosiddetto integrativo, non erano
tuttavia iscritti alla Cassa previdenziale di categoria e non versavano,
pertanto, il contributo cosiddetto soggettivo.

1.2.- L’ordinanza di rimessione è stata emessa in un
giudizio introdotto da un professionista che si trovava nelle dette condizioni,
il quale, nel 2018, aveva ricevuto dall’INPS, oltre alla comunicazione di
essere stato iscritto d’ufficio alla Gestione separata, ai sensi dell’art. 2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995, anche l’intimazione di pagamento dei
contributi ad essa dovuti in ragione del reddito da attività professionale maturato
nell’anno 2012.

Precisamente, l’architetto P. M., dopo aver
vanamente presentato ricorso amministrativo avverso tali provvedimenti, ha
proposto, in via principale, domanda di accertamento negativo dell’obbligo di
iscrizione alla Gestione separata INPS e della conseguente obbligazione di
versare i relativi contributi; in via subordinata, ha, invece, domandato
l’annullamento delle sanzioni e degli interessi applicati nell’intimazione
impugnata.

Il professionista ha dedotto l’insussistenza del suo
obbligo di iscriversi alla Gestione separata INPS, sul presupposto che esso,
alla luce dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito,
recante l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 26, della legge n. 335
del 1995, dovrebbe reputarsi sussistente soltanto a carico dei professionisti
che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia
subordinato all’iscrizione ad appositi albi, mentre egli, al contrario, pur
essendogli preclusa l’iscrizione all’Inarcassa, nondimeno era iscritto all’albo
degli architetti ed era in regola con il pagamento del contributo cosiddetto
integrativo a favore della Cassa medesima.

L’INPS, costituitosi in giudizio, ha resistito alle
domande.

1.3.- Tanto evidenziato, il rimettente ritiene che
l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato dall’art.
18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito – nella parte in cui
prevede l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS da parte degli
ingegneri ed architetti che, pur essendo iscritti ai relativi albi
professionali, non possono iscriversi alla cassa previdenziale di riferimento,
in quanto svolgono contestualmente anche un’altra attività lavorativa e sono
dunque iscritti alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria – non si
sottragga al sospetto di illegittimità costituzionale.

Il giudice a quo prende atto che nella
giurisprudenza di legittimità è prevalsa e si è consolidata l’interpretazione
estensiva della disposizione costituita dalla saldatura tra la norma
interpretata e la norma interpretativa, in ragione della quale l’obbligo di
iscrizione alla Gestione separata INPS, con decorrenza dal 1° gennaio 1996,
graverebbe non solo sui soggetti che, in ragione dell’attività esercitata, non
devono iscriversi ad un albo professionale, ma anche su quelli che, pur dovendo
iscriversi ad un albo, non hanno il contestuale obbligo (o, come nel caso dei
professionisti titolari di rapporto di altro rapporto di lavoro, subiscono
persino il divieto) di iscriversi alla Cassa previdenziale di riferimento,
sempre che, naturalmente, l’attività sia esercitata in via abituale o, se
occasionale, abbia prodotto un reddito annuo superiore ad euro 5.000,00 (in
quest’ultimo caso l’obbligo decorre dal 1° gennaio 2004, conformemente al disposto
dell’art. 44, comma 2, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito).

L’univocità dell’interpretazione, prevalsa nella
giurisprudenza di legittimità, vanificherebbe ogni tentativo di accedere ad una
diversa esegesi della disposizione in esame, mentre il consolidamento della
predetta interpretazione in una regola di diritto vivente aprirebbe la strada
al sindacato della legittimità costituzionale della regola medesima.

2.- Ciò posto, il rimettente evidenzia come le
prospettate questioni di legittimità costituzionale siano rilevanti nel
giudizio a quo.

Ove, infatti, la disciplina recata dall’art. 2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato dall’art. 18, comma
12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, secondo l’interpretazione
giurisprudenziale, ormai consolidata in una situazione di diritto vivente,
dovesse ritenersi legittima, le domande proposte dal ricorrente dovrebbero
essere rigettate in applicazione della stessa, essendo egli un architetto che
nel 2012 (anno a cui si riferiscono i redditi tratti dall’attività
professionale svolta in forma abituale, oggetto dell’accertamento compiuto
dall’INPS) era iscritto all’albo, ma non alla Cassa previdenziale di categoria
(in quanto titolare di posizione previdenziale correlata ad altra attività
lavorativa esercitata) ed era, pertanto, bensì tenuto al versamento del
contributo integrativo, ma non anche di quello soggettivo.

Al contrario, ove le questioni di legittimità
costituzionale dovessero ritenersi fondate, le domande proposte dal professionista
dovrebbero essere accolte, accertandosi l’insussistenza del suo obbligo di
iscriversi alla Gestione separata e, conseguentemente, l’insussistenza del
credito contributivo vantato dall’INPS nei suoi confronti.

3.- Oltre che rilevanti, le questioni di legittimità
costituzionale sarebbero, altresì, non manifestamente infondate.

3.1.- In primo luogo, sussisterebbe il dubbio che
l’art 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato dall’art. 18,
comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, violi l’art. 3 Cost.,
ponendosi in contrasto con il principio di ragionevolezza.

Il rimettente osserva che l’impianto sistematico
risultante, per un verso, dal processo di privatizzazione degli enti
previdenziali di categoria (contemplato dal d.lgs. n. 509 del 1994) e, per
altro verso, dalla estensione della copertura assicurativa ai lavoratori
autonomi realizzata attraverso la legge n. 335 del 1995, in ossequio al
principio di universalizzazione delle tutele, era connotato da una sua
intrinseca razionalità.

L’art. 2 della predetta legge aveva distinto infatti
la tutela previdenziale dei liberi professionisti iscritti ad albi (comma 25)
da quella dei lavoratori autonomi non iscritti ad albi professionali (comma
26).

Questa distinzione trovava conferma nel d.lgs. n.
103 del 1996, attuativo della delega conferita dall’art. 2, comma 25, della
legge n. 335 del 1995, che aveva ribadito l’estensione della tutela
previdenziale obbligatoria ai soggetti che svolgevano attività autonoma di
libera professione senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio fosse
condizionato all’iscrizione in appositi albi o elenchi.

In questo contesto – ritiene il rimettente – la
soluzione più coerente e ragionevole, in relazione alla copertura assicurativa
dei professionisti già iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria (ma
iscritti altresì all’albo professionale e tenuti, dunque, al versamento del
contributo integrativo), sarebbe stata quella di assoggettarli all’obbligo di
versare (anche) un contributo soggettivo alle relative casse categoriali, in
conformità con la disciplina introdotta in ordine alla analoga posizione dei
professionisti già pensionati.

Ad avviso del rimettente, l’esigenza di coerenza con
la scelta sistematica fondamentale volta a differenziare la tutela dei liberi
professionisti iscritti ad albi da quella dei lavoratori autonomi non iscritti
ad albi professionali – unitamente al rapporto di analogia sussistente tra la
fattispecie relativa ai professionisti già pensionati e quella dei
professionisti iscritti ad altre forme previdenziali (in entrambi i casi
sussiste l’iscrizione all’albo con versamento del contributo integrativo,
mentre si è esonerati dal versamento di quello soggettivo in ragione della non
iscrizione alla cassa) – avrebbe dovuto indurre il legislatore a realizzare
anche per i secondi la piena copertura previdenziale all’interno della propria
categoria professionale.

La diversa ed ingiustificata scelta legislativa di
sottoporli all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l’INPS
avrebbe, invece, comportato – secondo il giudice rimettente – l’irragionevole
effetto di comprimere l’autonomia regolamentare e statutaria riconosciuta dallo
stesso legislatore alle casse previdenziali private, tra cui figura quella
degli architetti e degli ingegneri.

3.2.- Oltre che il principio di ragionevolezza, ad
avviso del rimettente, l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come
interpretato dall’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito,
porrebbe in sofferenza anche il canone di proporzionalità.

Per coprire il “vuoto” di obbligo assicurativo
esistente in relazione all’attività dei professionisti già iscritti ad altre
forme di previdenza obbligatoria, lo strumento più idoneo e proporzionato in
funzione del suo raggiungimento sarebbe stato quello già adottato con riguardo
all’analoga fattispecie dei pensionati, ossia l’introduzione di un obbligo di
iscrizione e di contribuzione soggettiva in favore della cassa categoriale.

3.3.- Verrebbe poi in rilievo anche il principio di
sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost.

La circostanza che gli enti previdenziali di diritto
privato (tra cui Inarcassa) svolgano un’attività di interesse pubblico
consentirebbe di ritenere – secondo il giudice a quo – che tale attività
rappresenti una delle forme tipiche in cui si esprime e trova attuazione la
sussidiarietà orizzontale, sia quale principio che impegna lo Stato e gli enti
territoriali a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sia quale
modalità di esercizio del potere pubblico, legislativo e amministrativo,
rispetto all’autonomia privata.

Tale principio di sussidiarietà non sarebbe invece
rispettato dalla norma censurata, la quale prevedrebbe l’obbligo di iscrizione
alla Gestione separata INPS dei professionisti iscritti ad altre forme di
previdenza obbligatorie, senza attribuire alcuna autonomia alla cassa di
riferimento della relativa categoria professionale.

3.4.- Sarebbe altresì violato anche l’art. 23 Cost.

Il giudice a quo – richiamata la pacifica opinione
secondo cui la riserva di legge posta da questa norma costituzionale, ai fini
dell’imposizione di prestazioni patrimoniali, avrebbe carattere relativo –
osserva che la concreta entità della prestazione imposta dovrebbe essere
chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l’attività
dell’amministrazione. Invece, nel caso di specie, la conformità della
disposizione censurata al parametro costituzionale sarebbe messa in forse
dall’incerta identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione contributiva.

Né – osserva il rimettente – potrebbe ritenersi che
i requisiti di certezza richiesti dall’art. 23 Cost. possano trarsi dalla
prevalsa interpretazione giurisprudenziale della disposizione censurata.

Tale interpretazione, al contrario, essendo priva
del carattere della prevedibilità, lungi dal concretare la «base legislativa»
necessaria in funzione del rispetto della riserva di legge prevista dal
parametro costituzionale in esame, integrerebbe piuttosto una violazione di
quella garanzia di libertà che è insita nel principio di legalità.

3.5.- La norma risultante dalla saldatura tra l’art.
2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, e l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98
del 2011, come convertito, si porrebbe, infine, in contrasto con l’art. 117
Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, il quale dispone che ogni
persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni, e che nessuno
può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità.

In particolare, difetterebbe «una sufficiente
determinazione da parte della legge delle condizioni soggettive di imposizione
del contributo», sì che le disposizioni censurate sarebbero contrastanti con il
diritto convenzionale al rispetto dei beni per le medesime ragioni per le quali
esse si porrebbero in contrasto con l’art. 23 Cost.

4.- È intervenuto nel giudizio di legittimità
costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare inammissibili e,
comunque, non fondate le questioni sollevate.

5.- Nel giudizio incidentale si sono costituiti sia
il professionista (che ha invocato la declaratoria di illegittimità costituzionale
della norma censurata), sia l’INPS, il quale prima di invocare, invece, la
declaratoria di non fondatezza delle questioni, ne ha contestato anche la
rilevanza, sul presupposto dell’avvenuta estinzione per prescrizione del
credito contributivo oggetto dell’azione di accertamento negativo esercitata
nel giudizio a quo.

6.- In prossimità dell’udienza pubblica, sia le
parti che l’interveniente hanno depositato memorie.

 

Considerato in diritto

 

1.- Con ordinanza dell’8 febbraio 2022 (reg. ord. n.
14 del 2022), il Tribunale ordinario di Rieti, in funzione di giudice del
lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
26, della legge n. 335 del 1995, e dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del
2011, come convertito, per contrasto con gli artt. 3, anche in riferimento
all’art. 118, comma quarto, 23, anche in riferimento all’art. 41, e 117 Cost.,
quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, nella parte in cui
prevedono l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell’INPS a carico
degli ingegneri e degli architetti che, pur essendo iscritti ai relativi albi
professionali, non possono iscriversi alla cassa previdenziale di riferimento
in quanto svolgono contestualmente anche un’altra attività lavorativa e sono
dunque iscritti alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria.

Come sopra ricordato, la prima disposizione (art. 2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995) prevede, con decorrenza dal 1° gennaio
1996 – in funzione dell’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per
l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti – l’obbligo di iscrizione alla
Gestione separata costituita presso l’INPS, dei soggetti che esercitano per
professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di
cui al comma 1 dell’art. 49 (ora, a seguito della riforma introdotta con il
d.lgs. n. 344 del 2003: art. 53) del decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi).
La seconda disposizione (art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come
convertito) – dichiaratamente di interpretazione autentica della prima –
dispone che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non
esclusiva, attività di lavoro autonomo, e che sono pertanto tenuti
all’iscrizione presso l’apposita Gestione separata INPS, sono quelli che
svolgono attività il cui esercizio non è subordinato all’iscrizione ad appositi
albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo
agli enti previdenziali istituiti per le diverse categorie professionali; enti,
questi ultimi, istituiti sia in base a leggi preesistenti – e trasformati da
soggetti pubblici in persone giuridiche private con il d.lgs. n. 509 del 1994 –
sia all’esito dell’attuazione della delega conferita dalla stessa legge n. 335
del 1995 (art. 2, comma 25) e attuata dal Governo con il d.lgs. n. 103 del
1996.

1.1.- Secondo il giudice rimettente vi sarebbe
contrasto con l’art. 3 Cost. della norma risultante dalla saldatura tra la
disposizione interpretata e la disposizione interpretativa, nell’esegesi
prevalsa nella giurisprudenza di legittimità e assurta a regola di diritto
vivente, in ragione della violazione del principio di ragionevolezza.

A suo avviso, infatti, l’esigenza di coerenza con la
scelta sistematica fondamentale volta a differenziare la tutela dei liberi
professionisti iscritti ad albi da quella dei lavoratori autonomi non iscritti
ad albi professionali (art. 2, commi 25 e 26, della legge n. 335 del 1995) –
unitamente al rapporto di analogia sussistente tra la fattispecie relativa ai
professionisti già pensionati e quella dei professionisti iscritti ad altre
forme previdenziali – avrebbe dovuto indurre il legislatore a realizzare anche
per i secondi (come già previsto per i primi ai sensi dell’art. 18, comma 11,
del d.l. n. 98 del 2011, come convertito) la piena copertura previdenziale
all’interno della propria categoria professionale, mentre la diversa e
ingiustificata soluzione di sottoporli all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata
presso l’INPS comporterebbe l’irragionevole effetto di comprimere l’autonomia
regolamentare e statutaria riconosciuta dallo stesso legislatore alle casse
previdenziali private, tra cui figura quella degli architetti e degli
ingegneri.

Oltre che il principio di ragionevolezza, la norma
sospettata di illegittimità costituzionale si porrebbe in contrasto con il
canone di proporzionalità in ragione della maggiore ed ingiustificata
incisività patrimoniale rispetto al criterio adottato con riguardo all’analoga
fattispecie dei pensionati.

L’art. 3 Cost. sarebbe violato, ancora, anche in
riferimento all’art. 118, quarto comma, Cost., avuto riguardo alla circostanza
che l’attività di interesse pubblico svolta dagli enti previdenziali di diritto
privato (tra cui, per quanto di interesse nel caso in esame, Inarcassa)
rappresenta una delle forme in cui si esprime la sussidiarietà orizzontale,
intesa sia quale principio che impegna lo Stato e gli enti territoriali a
favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale, sia quale modalità di esercizio
del potere pubblico, legislativo e amministrativo, rispetto all’autonomia
privata.

Quanto, infine, al contrasto della disciplina posta
dal precetto unitario nascente dalla saldatura tra l’art. 2, comma 26, della
legge n. 335 del 1995 e l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come
convertito, con gli artt. 23 (da considerare anche in riferimento all’art. 41
Cost.) e 117, primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot.
addiz. CEDU), esso deriverebbe, in particolare, dall’incerta identificazione
dei soggetti tenuti alla prestazione contributiva.

2.- Preliminarmente, va osservato che sussiste la
rilevanza nel giudizio a quo delle sollevate questioni di legittimità
costituzionale, dovendo il giudice fare applicazione delle disposizioni
censurate al fine di riconoscere, o negare, l’obbligo contributivo del
ricorrente in favore della Gestione separata INPS.

La rilevanza delle sollevate questioni di
legittimità costituzionale è stata messa in dubbio dall’INPS, il quale,
costituendosi nel giudizio incidentale, ha obiettato che il credito
contributivo oggetto dell’azione di accertamento negativo esercitata nel
processo a quo sarebbe estinto per il decorso del termine di prescrizione
quinquennale, avuto riguardo alla circostanza che esso aveva ad oggetto i
versamenti dovuti dal professionista in relazione ai redditi dell’anno 2012 (in
ordine ai quali il termine prescrizionale decorreva dall’8 luglio 2013, ai
sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995) e che la richiesta di
adempimento proveniente dal creditore era stata ricevuta dal debitore solo in
data 3 agosto 2018.

Deve in proposito osservarsi che – come risulta
dall’ordinanza di rimessione – la prescrizione del credito dedotto in giudizio
non è stata eccepita nel giudizio a quo.

Pur dovendosi prendere atto che, nella materia
previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione
già maturata è sottratto, ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del
1995, alla disponibilità delle parti ed è rilevabile d’ufficio, va comunque
osservato che essa, nella fattispecie, non è stata in concreto rilevata dal
giudice nell’esercizio del potere officioso di rilievo delle eccezioni in senso
lato.

In ogni caso la (eventuale) declaratoria di non
debenza dei contributi, perché prescritti, muoverebbe dal presupposto
(controverso tra le parti in giudizio) dell’obbligo per il professionista
ricorrente di iscrizione alla Gestione separata INPS per l’anno 2012. Quindi il
giudice rimettente deve comunque pronunciarsi in ordine alla sussistenza, o no,
di tale obbligo sulla base della normativa della cui legittimità costituzionale
egli dubita.

Inoltre – e ciò è dirimente – va rilevato che la
domanda di accertamento negativo del ricorrente nel giudizio a quo non concerne
soltanto l’obbligazione contributiva avente ad oggetto i versamenti relativi ai
redditi maturati nell’anno 2012, ma anche – e principalmente – l’obbligo
attuale di iscrizione alla Gestione separata istituita presso l’INPS, rispetto
al quale non si pone un problema di prescrizione.

Le questioni sollevate sono, pertanto, rilevanti e
ammissibili, avendone inoltre il giudice rimettente motivato adeguatamente
anche la non manifesta infondatezza.

3.- Giova premettere che questa Corte (sentenza n.
104 del 2022), esaminando analoghe questioni di legittimità costituzionale con
riferimento alla previdenza forense, ha già operato una ricostruzione del
quadro normativo di riferimento, quanto alla posizione della Gestione separata
INPS nel sistema generale di tutela previdenziale dei professionisti (con
particolare riferimento ai rapporti tra questa nuova gestione previdenziale e
le casse professionali categoriali), nonché quanto alla interpretazione
giurisprudenziale della disciplina posta dall’art. 2, comma 26, della legge n.
335 del 1995, prima e dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa
introdotta con l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito.

Deve qui aggiungersi, con riguardo al parallelo
sistema di previdenza degli ingegneri ed architetti, che, sebbene la legge n.
179 del 1958, nell’istituire la relativa cassa categoriale, avesse in origine
previsto che vi fossero iscritti tutti gli ingegneri e gli architetti che
potevano esercitare, per legge, la libera professione (art. 3), successivamente
l’art. 2, secondo comma, della legge n. 1046 del 1971, modificando tale
disposizione, ha stabilito che, con decorrenza dal 1° gennaio 1972,
l’iscrizione alla cassa era esclusa per «gli ingegneri ed architetti iscritti a
forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro
subordinato o comunque di altra attività esercitata».

L’esclusione è stata poi ribadita dalla legge n. 6
del 1981 (art. 21, quinto comma), la quale però ha anche previsto, con
decorrenza dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in
vigore, che «tutti gli iscritti agli albi di ingegnere e di architetto devono
applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel
volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e versarne alla cassa l’ammontare
indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore».

Della legittimità costituzionale di tale esclusione
ex lege si è dubitato. Ma questa Corte (sentenza n. 108 del 1989) – con
riferimento al contesto normativo dell’epoca, in seguito profondamente mutato a
seguito della privatizzazione delle casse previdenziali di categoria e della
tendenziale universalizzazione della copertura assicurativa previdenziale
mediante l’introduzione della Gestione separata – ha dichiarato non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, secondo comma, della legge
n. 1046 del 1971, nella parte in cui escludeva dall’iscrizione alla Inarcassa
ingegneri e architetti iscritti a forme di previdenza obbligatoria in
dipendenza dell’esercizio di un’altra attività di lavoro autonomo, sollevata in
riferimento agli artt. 3 e 38 Cost. Ha rilevato, con riguardo al primo
parametro, che i vari sistemi previdenziali, nell’ambito delle libere
professioni, conservano una propria autonoma individualità e sono, pertanto,
inconfrontabili tra di loro, sicché non rileva che una simile disposizione non
sia presente nella disciplina previdenziale di altre categorie professionali;
ed ha osservato, rispetto al secondo parametro, che la norma non impedisce una
tutela previdenziale adeguata, ma preclude soltanto una duplice posizione
assicurativa.

Perdurando tale esclusione, che comportava una sorta
di divieto di iscrizione all’Inarcassa, l’individuazione, in concreto, dei
destinatari dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui all’art.
2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 poneva, dunque, il problema se essi
andassero identificati esclusivamente nei professionisti che esercitavano una
attività per la quale non era prevista l’iscrizione ad un apposito albo
professionale (nonché in quelli che svolgevano una attività che presupponeva
bensì tale iscrizione, ma in relazione alla quale gli enti esponenziali a
livello nazionale di quelli abilitati alla tenuta dell’albo non avessero ancora
deliberato la costituzione di un ente previdenziale categoriale o la
partecipazione ad uno pluricategoriale o ad uno già costituito per categorie
similari, in conformità al disposto dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 103 del
1996), oppure anche nei professionisti che, benché iscritti all’albo ed aventi
una cassa previdenziale di riferimento, non avessero, tuttavia, per ragioni
reddituali, l’obbligo (o subissero addirittura il divieto, in ragion
dell’iscrizione ad altre forme previdenziali obbligatorie) di iscriversi
altresì alla cassa medesima, alla quale versavano solo il contributo
integrativo, ma non anche quello soggettivo, senza acquisire il diritto alle
prestazioni previdenziali propriamente dette.

Al fine di chiarire i dubbi circa l’effettiva
portata dell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, è intervenuto, con
disposizione dichiaratamente di interpretazione autentica, il legislatore. Con
l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, è stato,
infatti, previsto che l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 si
interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale,
ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, tenuti all’iscrizione
presso l’apposita Gestione separata INPS, «sono esclusivamente i soggetti che
svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad
appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento
contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti ed
ordinamenti».

Il legislatore non si è limitato a prevedere che i
soggetti tenuti ad iscriversi alla Gestione separata INPS sono quelli che
svolgono «attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad
appositi albi professionali», ma ha aggiunto che tale obbligo compete anche a
coloro che svolgono «attività non soggette al versamento contributivo agli
enti» della categoria professionale di appartenenza.

In proposito, questa Corte ha già ritenuto, con la
ricordata sentenza n. 104 del 2022, che l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del
2011, come convertito, sia una disposizione genuinamente di interpretazione
autentica, in quanto il significato da essa espresso, secondo l’interpretazione
prevalsa nella giurisprudenza di legittimità a partire dal 2017, poteva
ritenersi già contenuto tra i significati plausibilmente espressi dalla
disposizione interpretata.

In particolare, nella giurisprudenza di legittimità
(a partire da Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 18 dicembre 2017,
n. 30344 e n. 30345) è prevalsa l’interpretazione, ormai consolidata in una
regola di diritto vivente, secondo cui l’unico versamento contributivo
rilevante ai fini dell’esclusione dell’obbligo di iscrizione alla Gestione
separata è quello – cosiddetto soggettivo – correlato all’obbligo di iscriversi
alla propria gestione di categoria e suscettibile di costituire in capo al
lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale.

Il fondamento di questo principio risiede
nell’esigenza di «universalizzazione della copertura assicurativa», espressa
dagli artt. 35 e 38 Cost., la quale obbliga lo Stato a prevedere che ad ogni
attività lavorativa, subordinata o autonoma, sia necessariamente collegata
un’effettiva tutela previdenziale.

Costituisce, dunque, regola di diritto vivente –
assunta come tale anche dal giudice rimettente – quella secondo cui sono
obbligati ad iscriversi alla Gestione separata INPS non solo i soggetti che
svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia
subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ma anche i soggetti
iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie per i quali è preclusa
l’iscrizione alla cassa di previdenza categoriale, a cui versano esclusivamente
un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti agli
albi, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro
beneficio (così, da ultimo, segnatamente con riferimento agli architetti e agli
ingegneri, nel solco di un consolidato orientamento, Corte di cassazione,
sezione sesta civile, sentenza 23 giugno 2022, n. 20288).

4.- Ciò premesso, possono ora essere esaminate nel
merito le sollevate questioni di legittimità costituzionale, le quali evocano
anzitutto il dubbio che il precetto normativo unitario risultante dalla
saldatura tra la disposizione interpretata, di cui all’art. 2, comma 26, della
legge n. 335 del 1995, e la disposizione interpretativa, di cui all’art. 18,
comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, nell’esegesi consolidatasi
nella giurisprudenza di legittimità e assurta a regola di diritto vivente, si
ponga in contrasto con l’art. 3 Cost.

Il comune denominatore delle censure, sollevate in
riferimento a tale parametro, risiede nell’assunto che la norma indubbiata, da
un lato, avrebbe introdotto una disciplina incoerente con l’impianto
sistematico risultante dalla complessiva riforma volta alla privatizzazione
degli enti previdenziali di categoria (d.lgs. n. 509 del 1994) e all’estensione
della copertura assicurativa ai lavoratori autonomi (legge n. 335 del 1995 e
d.lgs. n. 103 del 1996); dall’altro lato, avrebbe realizzato l’irragionevole
effetto di comprimere l’autonomia regolamentare e statutaria riconosciuta dallo
stesso legislatore alle casse previdenziali private, e, in particolare, a
quella degli architetti e degli ingegneri (Inarcassa).

Avuto riguardo a tale comune fondamento, le censure
in esame – che peraltro si coniugano anche con quelle riferite agli ulteriori
parametri dell’art. 23, dell’art. 41 e dell’art. 118, quarto comma, Cost.,
nonché a quello interposto dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, per il tramite
dell’art. 117, primo comma, Cost. – sono, nella sostanza, largamente
sovrapponibili a quelle recentemente sottoposte all’attenzione di questa Corte –
sia pure con riferimento a una categoria professionale (gli avvocati del libero
foro) assoggettata ad un regime previdenziale in parte analogo a quello
previsto per la categoria degli architetti e ingegneri, a cui appartiene il
professionista interessato dal giudizio a quo – e dichiarate non fondate con la
già richiamata sentenza n. 104 del 2022.

4.1.- In tale pronuncia, questa Corte ha considerato
la funzione e il fondamento della Gestione separata nel sistema generale della
tutela previdenziale dei professionisti.

Il legislatore ha costantemente seguito una coerente
linea di progressivo ampliamento della tutela previdenziale. In convergenza con
questa tendenza è stato introdotto l’istituto residuale della Gestione
separata, volto a colmarne i “vuoti” e a realizzare la finalità
dell’estensione, soggettiva ed oggettiva, della tutela medesima.

La vocazione universalistica della gestione separata
– ulteriormente corroborata dai molti interventi legislativi successivi alla
legge n. 335 del 1995 volti ad estenderne l’operatività – consente di
affermare, in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità
(Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 14 dicembre 2018, n. 32508 e 12
dicembre 2018, n. 32166 e n. 32167), che tale istituto, lungi dal porsi in
posizione di irragionevole distonia rispetto al sistema generale della tutela
previdenziale, come assume il giudice rimettente, ne costituisce piuttosto
l’imprescindibile momento di compimento e chiusura, assolvendo a una funzione
complementare e non già rigidamente alternativa.

La censura di irragionevolezza sollevata dal giudice
a quo va dunque ritenuta non fondata, ribadendo le considerazioni già svolte da
questa Corte (sentenza n. 104 del 2022) in ordine al fondamento costituzionale
dell’istituto, la cui ratio – avuto riguardo alla circostanza che la tutela
previdenziale assume rilevanza, sul piano costituzionale, sia per i lavoratori
subordinati che per i lavoratori autonomi, essendo il lavoro tutelato «in tutte
le sue forme ed applicazioni» (art. 35, primo comma, Cost.) – risiede
nell’attuazione dell’obbligo dello Stato di dare concretezza al principio della
universalità delle tutele assicurative obbligatorie relative a tutti i
lavoratori (art. 35 Cost.), rispetto agli eventi indicati nell’art. 38, secondo
comma, Cost., nei modi previsti dal comma quarto dello stesso art. 38 (che
assegna tale missione a «organi ed istituti predisposti o integrati dallo
Stato»).

Proprio in ragione di tale principio, l’attività
professionale degli ingegneri o degli architetti, svolta con modalità che la
rendono assoggettata all’imposizione diretta sui redditi, non può rimanere
senza copertura assicurativa per il solo fatto che la concorrente ulteriore
attività lavorativa, quale quella svolta dagli stessi soggetti con rapporto di
lavoro subordinato, comporti già l’iscrizione ad una distinta forma di
assicurazione obbligatoria. A questa esigenza di copertura assicurativa
supplisce l’obbligo, previsto dalla normativa censurata, di iscrizione alla
Gestione separata presso l’INPS.

4.2.- Il meccanismo introdotto dalla norma censurata
– che individua i soggetti tenuti all’iscrizione nella Gestione separata
mediante riferimento eteronomo a norme fiscali e fa dipendere l’obbligo
contributivo dal reddito tratto dal lavoro professionale, ove esercitato in via
abituale – esclude sia la denunciata irragionevolezza di tale assetto, sia la
violazione del canone di proporzionalità.

Il giudice a quo, infatti, per sostenere che la
disciplina sospettata di illegittimità costituzionale non costituirebbe il
“mezzo più mite” tra quelli possibili al fine di estendere la copertura
assicurativa e di attuare il principio costituzionale della universalità della
tutela previdenziale, muove, in particolare, dalla comparazione di essa con la
diversa disciplina prevista per i professionisti già pensionati, rispetto alla
quale si caratterizzerebbe per una ingiustificata maggiore onerosità
patrimoniale, avuto riguardo sia all’entità dell’obbligo di contribuzione alla
Gestione separata (la cui aliquota, per l’anno 2012, rilevante nel giudizio a
quo, è stata più elevata di quella del contributo soggettivo dovuto
all’Inarcassa), sia alla sua estensione temporale (l’obbligo di contribuzione
alla Gestione separata ha decorrenza dal 1° gennaio 1996, trovando la propria
fonte nell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, come interpretato
dall’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, mentre quello
previsto in capo ai professionisti pensionati, dall’art. 18, comma 11, del
medesimo d.l., decorre dal 7 gennaio 2012).

Ma, da una parte, non vi è alcuna analogia tra la
situazione in cui si trovano i professionisti già pensionati (in relazione ai
quali, nell’ipotesi di prosecuzione dell’esercizio dell’attività professionale
dopo il pensionamento, il legislatore ha attribuito alle casse categoriali il
compito di prevedere l’obbligo di iscrizione e contribuzione, stabilendo, in
mancanza, il pagamento di un contributo soggettivo ridotto rispetto a quello
dovuto in via ordinaria dagli iscritti a ciascun ente: art. 18, comma 11, del
d.l. n. 98 del 2011, come convertito) e la diversa fattispecie degli architetti
e degli ingegneri iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie in
dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o di altra attività esercitata
(in ordine ai quali vige, proprio in ragione di tale iscrizione, il divieto di
iscriversi alla cassa professionale categoriale: art. 2, secondo comma, della
legge n. 1046 del 1971 e art. 21, quinto comma, della legge n. 6 del 1981).

Invero, l’obbligo di contribuzione a favore della
cassa professionale, posto a carico dei professionisti già pensionati con
decorrenza dal gennaio 2012, ha preso il posto dell’obbligo contributivo presso
la Gestione separata, insorto in dipendenza della decisione di molte casse
professionali, a seguito del processo di privatizzazione, di esonerare i
pensionati, che pure avessero proseguito nell’esercizio abituale della loro
attività professionale, dall’obbligo di pagamento del contributo soggettivo. Si
versa, dunque, in ipotesi non già di diversa decorrenza dell’obbligo di
contribuzione, ma della sua sostituzione verso la cassa all’obbligo
contributivo verso la Gestione separata; sostituzione che costituisce l’effetto
del sopra illustrato rapporto di complementarità tra i due regimi, dovuto
all’incidenza del concreto esercizio dell’autonomia regolamentare delle casse e
alla funzione complementare e di chiusura dell’istituto della Gestione
separata.

D’altra parte, va osservato che il meccanismo introdotto
dalla norma sulla Gestione separata, la cui decorrenza muove proprio
dall’istituzione di tale forma di assicurazione obbligatoria residuale (ossia
dal 1° gennaio 1996), è fondato (al pari di quello che regola il versamento del
contributo soggettivo alle casse professionali) sul principio di graduazione
dell’obbligo contributivo del professionista, la cui entità si incrementa in
proporzione al reddito tratto dall’attività professionale.

Tale principio di graduazione – deve poi
soggiungersi – trova nel regime della Gestione separata un’attuazione più
rigorosa che nel regime delle casse professionali, stante l’esclusione di un
minimale contributivo, sicché l’entità del contributo dipende esclusivamente
dall’ammontare del reddito tratto dall’attività professionale abitualmente
esercitata (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 12 febbraio
2010, n. 3240).

4.3.- La deduzione circa la presunta ingiustificata
maggiore gravosità patrimoniale della contribuzione dovuta alla Gestione
separata INPS, rispetto a quella che verrebbe versata alla cassa professionale,
è stata formulata, dal giudice rimettente, anche sul rilievo dell’impossibilità
per il professionista di computare gli importi versati a titolo di contributo
integrativo nel cosiddetto “montante contributivo individuale”.

Questo specifico rilievo investe il problema
dell’effettività e dell’adeguatezza della tutela previdenziale realizzata
mediante l’istituto della Gestione separata, problema che, in termini più
generali, si pone in ragione della sempre più frequente interazione di questo
istituto residuale (il cui ambito soggettivo e oggettivo di operatività è stato
progressivamente ampliato a nuove figure di lavoratori) con le diverse forme di
assicurazione obbligatoria previste nell’ambito delle singole categorie, nonché
in ragione della composita realtà sociale, sempre più frequentemente
caratterizzata da percorsi professionali eterogenei che danno luogo a distinti
periodi assicurativi presso diverse gestioni di previdenza.

Dinanzi a questa realtà, il legislatore, perseguendo
la finalità di consentire il cumulo di tutte le posizioni contributive maturate
durante la vita lavorativa per conseguire un unico trattamento pensionistico,
ha introdotto, già da tempo, due diversi istituti, la ricongiunzione (legge 5
marzo 1990, n. 45, recante «Norme per la ricongiunzione dei periodi
assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti») e la
totalizzazione (decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, recante
«Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi»), nonché,
negli ultimi anni, il nuovo istituto del cumulo gratuito (art. 1, comma 239,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante “Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato «Legge di stabilità 2013»”),
prevedendone, più di recente, l’estensione anche alle casse professionali (art.
1, comma 195, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, recante «Bilancio di
previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il
triennio 2017-2019»).

Per effetto di questa disciplina, dal 1° gennaio
2017 il cumulo contributivo – che consente al lavoratore la possibilità di
cumulare i periodi assicurativi accreditati presso differenti gestioni, senza
oneri a suo carico, per il riconoscimento di un’unica pensione da liquidarsi
secondo le regole di calcolo previste da ciascun fondo e sulla base delle
rispettive retribuzioni di riferimento – è fruibile anche dagli iscritti alle
casse professionali e alla Gestione separata.

5.- Quanto alla censura di violazione dell’art. 3,
anche in riferimento all’art. 118, quarto comma, Cost., per lesione della
sussidiarietà orizzontale (intesa sia quale principio che impegna lo Stato e
gli enti territoriali a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sia quale
modalità di esercizio del potere pubblico, legislativo e amministrativo,
rispetto all’autonomia privata), essa ripropone la questione della lesione
dell’autonomia delle casse previdenziali professionali privatizzate laddove
queste prevedano un perimetro dell’obbligo assicurativo meno esteso di quello
della Gestione separata; questione che, in termini più generali, è già stata
dichiarata non fondata da questa Corte (sentenza n. 104 del 2022).

Al riguardo, si è infatti osservato che il rapporto
intercorrente tra le casse professionali e la Gestione separata si pone in
termini non già di alternatività, ma di complementarità, in quanto l’istituto
residuale della Gestione separata opera proprio in relazione ai soggetti e alle
attività eventualmente esclusi dalla cassa professionale di categoria (Corte di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 marzo 2020, n. 7485).

Il legislatore, con l’introduzione dell’istituto,
non ha fissato un rigido riparto di competenze tra la Gestione separata e le
casse professionali, ma piuttosto ha attribuito un carattere elastico alla
capacità di espansione della Gestione separata, in diretta dipendenza dal
concreto esercizio della potestà di autoregolamentazione della cassa
professionale.

Soltanto se quest’ultima, nell’esercizio di tale
potere, riconosciutole dalla legge, decide di non assoggettare taluni
professionisti all’obbligo di versamento di contributi utili a costituire una
posizione previdenziale, l’operatività della Gestione separata, quale istituto
residuale a vocazione universalistica, vede espandere la sua sfera di
operatività, sempre che, beninteso, ne ricorrano i relativi presupposti, ossia
che ricorra l’esercizio abituale di un’attività professionale o, se
occasionale, che esso abbia prodotto un reddito superiore a un determinato
importo. Al contrario, se la cassa professionale, sempre nell’esercizio della
autonomia stabilita dalla legge, decide di estendere l’obbligo di versare contributi
utili alla costituzione del diritto a prestazioni pensionistiche a
professionisti precedentemente esclusi, la capacità elastica della Gestione
separata si comprime, restringendosi il suo campo di applicazione.

Avuto riguardo al peculiare regime previdenziale
degli architetti e degli ingegneri iscritti ad altre forme di previdenza
obbligatorie in dipendenza di altra attività esercitata, la cassa professionale
di riferimento (Inarcassa), diversamente da altre, non può esercitare il
proprio potere di autoregolamentazione estendendo loro l’obbligo di versare
contributi utili alla costituzione del diritto a prestazioni previdenziali.
Questa preclusione, tuttavia, dipende non già dalla disciplina dell’istituto
della Gestione separata (censurata dal giudice rimettente), bensì dal divieto
introdotto dall’art. 2 della legge n. 1046 del 1971 e confermato dall’art. 21,
quinto comma, della legge n. 6 del 1981, che ha posto fuori dalla cassa
categoriale di riferimento tutti gli ingegneri e gli architetti titolari di altro
rapporto lavorativo e, per conseguenza, di diversa iscrizione previdenziale.

Ove non vi fosse tale specifico divieto – peraltro
in passato, come già ricordato, ritenuto costituzionalmente non illegittimo da
questa Corte (sentenza n. 108 del 1989) – la Cassa professionale degli
architetti e degli ingegneri sarebbe libera di esercitare il proprio potere di
autoregolamentazione.

Il meccanismo introdotto dalla norma sospettata di
illegittimità costituzionale, dunque, non solo non si pone in contraddizione con
il regime previsto dalle norme speciali costitutive della previdenza
categoriale, ma ne integra l’operatività in funzione dell’attuazione di una più
ampia finalità mutualistica.

6.- Una ulteriore questione di legittimità
costituzionale del precetto normativo unitario risultante dalla saldatura tra
la disposizione interpretata (art 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995) e
quella interpretativa (art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come
convertito) è posta dal Tribunale di Rieti in riferimento all’art. 23 Cost. (da
considerare anche in riferimento all’art. 41) e con riguardo all’art. 117,
primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

La conformità della disposizione censurata al
parametro dell’art. 23 Cost. sarebbe messa in dubbio dall’incerta
identificazione dei soggetti tenuti alla prestazione contributiva e tale
incertezza rileverebbe anche sotto il profilo del parametro sovranazionale,
poiché da essa deriverebbe il mancato rispetto dei requisiti di compatibilità dell’ingerenza
con il principio enunciato dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

6.1.- Anche queste ulteriori censure non sono
fondate.

Va infatti rilevato che l’ambito soggettivo di
estensione dell’istituto della Gestione separata risulta chiaro – e dunque
certo – alla luce del pacifico e consolidato orientamento della giurisprudenza
di legittimità, la quale, dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa,
ha accolto, senza incertezze, l’interpretazione estensiva, consolidatasi in una
regola di diritto vivente, secondo cui sono tenuti ad iscriversi alla Gestione
separata tanto i lavoratori autonomi e i professionisti sprovvisti di un albo
professionale, quanto quelli che, pur essendo iscritti, a causa dell’attività
esercitata, a uno specifico albo (e versando, in ragione di tale iscrizione, il
contributo integrativo), tuttavia non sono altresì iscritti alla relativa cassa
professionale (e non versano pertanto il contributo soggettivo), sia che la non
iscrizione alla cassa professionale sia dovuta alla mancata integrazione dei
presupposti al verificarsi dei quali scatta l’obbligo di iscriversi, sia che
dipenda, al contrario, dalla sussistenza di un divieto in tal senso, derivante
dall’iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria.

La prevalsa interpretazione giurisprudenziale, che
ha superato quella di segno contrario affermatasi in un primo momento
nell’esegesi della norma originaria, si fonda sulla norma di interpretazione
autentica dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e
pertanto assicura la prevedibilità dell’obbligo contributivo con riferimento
alla fattispecie del giudizio a quo. Ciò consente di ritenere integrata la
«base legislativa» necessaria in funzione del rispetto della riserva di legge
prevista dal parametro costituzionale.

7.- Non sfugge a questa Corte che le argomentazioni
del giudice a quo, fondate sull’incertezza dell’interpretazione dell’art. 2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995 e sull’asserita imprevedibilità del
successivo orientamento giurisprudenziale, pur non integrando, nella specie,
una specifica questione di legittimità costituzionale della norma di
interpretazione autentica, evocano, tuttavia, il problema della tutela
dell’affidamento scusabile, riposto – prima del d.l. n. 98 del 2011 – dai
professionisti destinatari della norma censurata nell’interpretazione
restrittiva della citata disposizione, già accolta dalla giurisprudenza
anteriore all’entrata in vigore della disposizione interpretativa; affidamento
non rilevante nel giudizio a quo che concerne unicamente un periodo successivo
alla norma di interpretazione autentica.

In proposito questa Corte, con riguardo alla
previdenza forense, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18,
comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, nella parte in cui non
prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla relativa Cassa di
categoria per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di
affari di cui all’art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del
sistema previdenziale forense), tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione
separata costituita presso l’INPS, siano esonerati dal pagamento, in favore
dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con
riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore (sentenza n. 104 del
2022).

Per il periodo precedente quello che viene in
rilievo nel giudizio a quo, l’INPS ha adottato, in termini generali, la
regolamentazione di cui alla recente circolare del 3 ottobre 2022, n. 107
(Operazione Poseidone. Titolari di reddito di arti e professioni, il cui
esercizio è subordinato all’iscrizione ad Albi e obbligati all’iscrizione alla
Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995,
n. 335. Sentenza della Corte costituzionale 22 aprile 2022, n. 104), per dare
seguito ai principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 104 del 2022.

8.- In conclusione, per le considerazioni fin qui
svolte, le questioni sollevate dal Tribunale di Rieti vanno dichiarate non
fondate in riferimento a tutti i parametri evocati nell’ordinanza di
rimessione.

 

P.Q.M.

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) e dell’art.
18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per
la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15
luglio 2011, n. 111, sollevate, per contrasto con gli artt. 3, anche in riferimento
all’art. 118, comma quarto, 23, anche in riferimento all’art. 41, e 117 della
Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale
alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sollevata dal Tribunale
ordinario di Rieti, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata
in epigrafe.

Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 28 novembre 2022, n. 238
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