Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2022, n. 36188

Lavoro, Licenziamento, Assenza per malattia, Certificato medico recante falsa attestazione sull’avvenuta sottoposizione a visita, Tutela reintegratoria e tutela indennitaria, Insussistenza del fatto, Superamento del periodo massimo di comporto

 

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello di L’Aquila ha accolto il reclamo proposto dalla società R.G.S. spa e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a G.L. il 19.8.2019 e, ai sensi dell’art. 18, comma 5, legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro ed ha condannato la società datoriale al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

2. La Corte territoriale ha premesso che con nota del 5.8.2019 è stato contestato al L. di avere utilizzato, per giustificare un’assenza per malattia, un certificato medico recante una falsa attestazione del medico sulla avvenuta sottoposizione a visita del paziente, nonché di essere venuto meno al dovere di diligenza a causa dello scarso rendimento determinato dalla eccessiva morbilità, avendo usufruito di 210 giorni di malattia nell’ultimo triennio, così da rendere una prestazione non proficuamente utilizzabile dalla società.

3. Ha aggiunto come la contestazione disciplinare e la lettera di licenziamento non mettessero in dubbio l’effettiva esistenza della malattia del dipendente ma si limitassero a contestare e sanzionare il fatto che il lavoratore avesse giustificato l’assenza avvalendosi di un certificato emesso senza la necessaria visita medica.

4. La Corte di merito ha ritenuto non dimostrato il primo addebito disciplinare in base alle seguenti considerazioni: sul certificato di malattia telematico è indicata quale data della visita medica il 26.7.2019, senza specificazione dell’orario; tale certificato è stato immesso nel sistema informatico dell’Inps alle ore 8.06 del 26.7.2019; l’orario di apertura dello studio del medico curante era 8.30-11.00; la relazione investigativa svolta su richiesta della società ha accertato come il L. quel giorno non fosse uscito da casa tra le ore 7.31 e le 12.00, salvo che alle 8.23 per depositare la spazzatura in un bidone; “la relazione investigativa attesta esclusivamente che il L. non è uscito di casa (né vi è rientrato) dalle ore 7.31 in poi, ma non dimostra se è stato fuori di casa precedentemente.

Il che equivale a dire che, se può fondatamente presumersi che il reclamato non è stato sottoposto a visita medica dalle ore 7.31 in poi, altrettanto non può dirsi provato (neanche per presunzioni) con riguardo all’orario antecedente”; “ne consegue che il primo addebito disciplinare poggia su circostanze di fatto (cioè il mancato espletamento della visita medica da parte del medico curante ed il consapevole utilizzo del certificato medico recante tale falsa attestazione) in ordine alle quali non è stata data prova certa”.

5. I giudici di appello hanno considerato infondato anche il secondo addebito, richiamando precedenti di legittimità secondo cui lo scarso rendimento e l’eventuale disservizio aziendale determinato dalle assenze per malattia del lavoratore non possono legittimare, prima del superamento del periodo massimo di comporto, il licenziamento.

Hanno accertato, peraltro, che le assenze successive al 21.2.19 erano conseguenza di un infortunio sul lavoro verificatosi in tale data.

6. La sentenza impugnata ha giudicato illegittimo il licenziamento in quanto misura sproporzionata rispetto al primo addebito (costituente episodio unico e delimitato, non causa di pregiudizi patrimoniali per la società e tenuto conto anche della condotta del lavoratore che non risulta avere ricevuto precedenti contestazioni e sanzioni disciplinari) e ritenuto applicabile la tutela di cui all’art. 18, comma 5 cit., anziché quella reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, sul rilievo che la condotta contestata, cioè l’utilizzo di un certificato di malattia recante false attestazioni, non fosse sussumibile né nella fattispecie di cui all’art. 9, lett. l), titolo VII del c.c.n.l. industria metalmeccanica né in nessun’altra fattispecie disciplinare descritta dalla norma pattizia e sanzionabile con misura conservativa.

7. Avverso tale sentenza G.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

La società R.G.S. spa ha resistito con controricorso e ricorso incidentale articolato in due motivi. G.L. ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

8. È stata depositata memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ., nell’interesse del L.. La memoria per la società risulta tardivamente proposta.

 

Considerato che

 

Ricorso principale di G.L.

9. Col primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per travisamento della motivazione della pronuncia di primo grado nonché violazione degli artt. 112 e 132 n. 4, 161 c.p.c. e violazione del giudicato interno, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c.

10. Si assume che la Corte di merito abbia travisato il contenuto della sentenza di primo grado ritenendo che questa avesse considerato provata la condotta oggetto del primo addebito mosso al lavoratore, mentre il tribunale ha sancito l’irrilevanza disciplinare di tale condotta, cioè dell’eventuale utilizzo di un certificato contenente la falsa attestazione di svolgimento della visita medica. In tal modo la sentenza d’appello sarebbe incorsa nella violazione del giudicato interno oltre che in un errore di giudizio.

11. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’obbligo di motivazione, per avere la Corte d’appello emesso una pronuncia logicamente contraddittoria e affetta da motivazione apparente e incomprensibile, avendo da un lato affermato che, pur in base ai dati raccolti dall’agenzia investigativa, non poteva dirsi dimostrato il primo addebito, e dall’altro ritenuto sussistente tale addebito; la sentenza risulta irrazionale anche nella parte in cui, pur confermando l’illegittimità del licenziamento e non ravvisando alcuna condotta inadempiente del lavoratore tuttavia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha accordato la tutela risarcitoria anziché quella reintegratoria.

12. Con il terzo motivo si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione o falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, dell’art. 9 del c.c.n.l. industria metalmeccanica e per errata interpretazione ai sensi degli artt. 1362 e ss. c.c., nonché per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’obbligo di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.

13. Si sostiene che la Corte d’appello, avendo accertato che la malattia del lavoratore era effettivamente esistente, che il predetto aveva rispettato le prescrizioni del c.c.n.l. e non aveva recato alcun pregiudizio alla società, avrebbe dovuto giudicare la condotta contestata, ove anche esistente, priva di rilievo disciplinare ed applicare la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4 cit., e che l’applicazione del comma 5 costituisce errata applicazione di norme di diritto.

14. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 132 n. 4 c.p.c., per avere la sentenza impugnata disposto la compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio adottando una motivazione (“in applicazione del principio stabilito dall’art. 92, comma 2, c.p.c., considerato che ricorrono ragioni di ordine equitativo, attese la natura della controversia e la parziale reciproca soccombenza, nonché tenuto conto del parziale accoglimento del reclamo e della obiettiva controvertibilità delle questioni trattate”) non solo erronea, atteso che non ricorre la parziale reciproca soccombenza poiché licenziamento è stato giudicato illegittimo sia in primo che in secondo grado, ma basata su affermazioni generiche come la “natura della controversia” e la “controvertibilità delle questioni trattate” che non integrano le gravi ed eccezionali ragioni normativamente previste come idonee a giustificare la compensazione delle spese.

Ricorso incidentale della R.G.S. spa

15. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., degli artt. 9 e 10 del c.c.n.l., degli artt. 1175, 1375, 2104 e 2105 c.c. nonché erronea e contraddittoria motivazione sul punto.

16. Si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto di non poter escludere che il lavoratore si fosse recato presso l’ambulatorio medico prima dell’inizio del servizio investigativo (ore 7.31) poiché se ciò si fosse verificato sarebbe stato comunque rilevato il rientro del dipendente presso l’abitazione.

17. Si ritiene quindi dimostrato l’addebito contestato al dipendente, di aver fatto uso di un certificato medico costituente atto falso, condotta di rilievo penale che ha consentito al lavoratore di usufruire illegittimamente di due giorni di malattia (in realtà inesistente) e che è certamente idonea a ledere in modo irrimediabile il vincolo fiduciario e ad integrare la fattispecie disciplinare di cui all’art 10 c.c.n.l., che punisce con il licenziamento senza preavviso il lavoratore che “provochi all’azienda grave documento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termine di legge”.

18. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2 c.c.n.l. metalmeccanici per il mancato invio del certificato medico relativo al primo giorno di assenza dal lavoro, nonché erronea applicazione dell’art. 2110 c.c. in combinato disposto con l’art. 2119 c.c.

19. Si assume che la sentenza impugnata abbia errato nell’escludere la violazione dell’art. 2 c.c.n.l. confondendo il termine previsto per l’invio del certificato medico al datore di lavoro (“entro il secondo giorno dall’inizio dell’assenza”) e l’obbligo del dipendente di recarsi a visita dal primo giorno di decorrenza della malattia; difatti la data di inizio della malattia deve coincidere con la data di rilascio del certificato medico che non può essere retrodatato né può riferire quanto dichiarato dal lavoratore, come invece nel certificato inviato da L. in cui si riporta letteralmente “il lavoratore dichiara di essere ammalato dal 25.7.2019”.

20. Si denuncia un error in iudicando per avere la Corte di merito negato rilievo alla eccessiva morbilità del dipendente in quanto non esaustiva del periodo di comporto osservando come le assenze per malattia del lavoratore, per le modalità in cui si sono verificate, cioè per un numero esiguo di giorni (due o tre), reiterate anche all’interno dello stesso mese e costantemente agganciate ai giorni di riposo, hanno impedito alla società di utilizzare in modo proficuo la prestazione del medesimo e creato un concreto pregiudizio all’organizzazione e programmazione dell’attività del reparto a cui il predetto era assegnato. Si assume che la condotta del dipendente abbia rappresentato un’evidente violazione del dovere di diligente collaborazione.

21. I primi due motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente per connessione logica, sono fondati.

22. La Corte d’appello ha adottato una motivazione illogica e intrinsecamente contraddittoria in quanto, da un lato, ha dichiarato insussistente il fatto contestato, sia quanto al primo addebito, per non avere la società dato prova del “mancato espletamento della visita medica da parte del medico curante e (del) consapevole utilizzo del certificato medico recante tale falsa attestazione” (v. pag. 5 della sentenza d’appello) e sia riguardo al secondo addebito; dall’altro lato, ha ritenuto sussistente la prima infrazione contestata (“utilizzo di un certificato di malattia recante false attestazioni”) e la stessa non rientrante in alcuna delle fattispecie disciplinari sanzionate dal contratto collettivo con una misura conservativa. Ha poi valutato l’infrazione suddetta come avente “ad oggetto un circoscritto episodio, concentrato in un ben delimitato lasso di tempo e presumibilmente privo di intenzionalità lesiva, non foriero di un apprezzabile pregiudizio patrimoniale per il datore di lavoro e che appare sostanzialmente isolato nella storia lavorativa dell’odierno appellato” (pag. 8 della sentenza d’appello). In base a tali rilievi, ha giudicato sproporzionata la massima sanzione espulsiva rispetto all’effettivo disvalore del fatto addebitato ed ha quindi applicato la tutela indennitaria di cui all’art. 18, comma 5 cit.

23. Come è noto, la legge n. 92 del 2012 ha introdotto diversi livelli di tutela a fronte della illegittimità del licenziamento.

24. La tutela reintegratoria attenuata, di cui all’art. 18, comma 4, trova applicazione in ipotesi di insussistenza del fatto oppure perché tale fatto “rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”. Si è precisato che l’insussistenza del fatto contestato comprende l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (v. Cass. n. 20540 del 2015; Cass. n. 18418 del 2016; Cass. n. 13383 del 2017; Cass. n. 29062 del 2017; Cass. n. 3655 del 2019) e che è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche (Cass. n. 11665 del 2022; Cass. n. 20780 del 2022).

25. La tutela indennitaria forte di cui all’art. 18, comma 5, presuppone la sussistenza del fatto contestato ed il rilievo disciplinare dello stesso e trova applicazione in ipotesi di sproporzione della sanzione espulsiva rispetto all’addebito, ove quest’ultimo non sia sussumibile tra le condotte per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari prevedono una sanzione conservativa (v. Cass. n. 31529 del 2019; n. 12102 del 2018; n. 13178 del 2017; n. 18418 del 2016).

26. La contraddittorietà della sentenza impugnata sul punto della sussistenza o insussistenza del primo addebito contestato si riflette sulla individuazione della tutela applicabile ed è quindi assolutamente rilevante ai fini della decisione.

27. Questa S.C. (Cass., S.U. n. 8053 e 8054 del 2014) ritiene denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e che si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’. Tali requisiti ricorrono nella pronuncia in esame che contiene affermazioni che si elidono a vicenda e che risultano quindi logicamente inconciliabili.

28. In base alle considerazioni svolte devono trovare accoglimento i primi due motivi del ricorso principale, risultando assorbiti gli altri motivi del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale.

29. Il secondo motivo del ricorso incidentale comprende due censure.

30. La prima censura, relativa alla violazione dell’art. 2 del c.c.n.l. in ragione della mancata giustificazione del primo giorno di malattia (poiché il lavoratore, assente dal 25.7.2019, si sarebbe recato a visita soltanto il 26.7.2019), è inammissibile perché irrilevante ai fini del decidere, trattandosi di condotta non oggetto di contestazione disciplinare e di addebito incluso nella lettera di licenziamento (v. trascrizione della lettera di contestazione e di licenziamento alle pag. 20 e 21 del controricorso).

31. La seconda censura, relativa alla questione della eccessiva morbilità del dipendente, è infondata alla luce dei principi di diritto affermati da questa S.C., che questo Collegio condivide e ai quali intende dare continuità.

32. Si è affermato che le regole dettate dall’art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sulla disciplina dei licenziamenti individuali e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cd. comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso, nell’ottica di un contemperamento tra gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi, senza perdere i mezzi di sostentamento); ne deriva che lo scarso rendimento e l’eventuale disservizio aziendale determinato dalle assenze per malattia del lavoratore non possono legittimare, prima del superamento del periodo massimo di comporto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (v. Cass. n. 31763 del 2018; Cass. n. 15523 del 2018).

33. La sentenza appena citata ha puntualizzato come “la non utilità della prestazione per il tempo della malattia è evento previsto e disciplinato dal legislatore con conseguenze che possono portare alla risoluzione del rapporto di lavoro solo dopo il superamento del periodo di comporto disciplinato dall’art. 2110 cc e dalla contrattazione collettiva” e che “mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da inadempimento, pur se inconsapevole, del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia e la tutela della salute è valore preminente che ne giustifica la specialità”.

34. La medesima sentenza ha preso in esame la “contraria opinione” che sembra condivisa in un passaggio della motivazione della pronuncia di questa Corte n. 18678/2014, secondo cui sarebbe legittimo il licenziamento intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all’elevato numero di assenze ma non tali da esaurire il periodo di comporto, ma ha rilevato come quest’ultima “si pone in contrasto con la consolidata e costante giurisprudenza di legittimità, cui va data continuità, che a partire da Cass. Sez. Un. n. 2072/1980, ha sempre statuito che, anche in ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattia, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo, ai sensi della legge n. 604 del 1966 art. 3, ma può esercitare il recesso solo dopo che si sia esaurito il periodo all’uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità (tra le altre Cass. n. 16582/2015; Cass. 31.1.2012 n. 1404)”; orientamento che ha ricevuto un altro autorevole avallo dalla sentenza di Cass., S.U. n. 22.5.2018 n. 12568 che ha definito nullo, per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2, c.c., il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, secondo equità.

35. La decisione d’appello si è uniformata ai precedenti di legittimità richiamati e si sottrae alle critiche mosse dalla società ricorrente incidentale.

36. Per le considerazioni svolte, accolti i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti i residui motivi del medesimo ricorso nonché il primo motivo del ricorso incidentale e respinto il secondo motivo di quest’ultimo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2022, n. 36188
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