Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 dicembre 2022, n. 36573

Lavoro, Verbale ispettivo, Violazione dell’art. 116 c.p.c.,  Valore probatorio dei verbali di accertamento degli organi ispettivi, Inammissibilità del ricorso

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato – per quanto qui ancora rileva – la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la fondatezza delle pretese contributive dell’INPS nei confronti della C.L. Srl in relazione ad un verbale ispettivo che aveva condotto ad un accertamento per la complessiva somma dovuta dalla società pari a € 369.519,67;

2. la Corte – in sintesi – ha ritenuto che legittimamente il Tribunale avesse posto a fondamento della decisione le risultanze del “verbale controverso”, ossia “di un documento che in giudizio era stato prodotto non già dall’INPS, bensì dalla stessa società opponente”, i cui contenuti erano stati ritenuti dal primo giudice dotati di “efficacia probatoria qualificata”, con statuizione neanche censurata in appello;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con due motivi; ha resistito con controricorso l’INPS;

4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., assumendo che il giudice del merito, in luogo di procedere a una valutazione del materiale probatorio secondo il suo prudente apprezzamento, avrebbe “inteso attribuire valore di prova legale a un verbale ispettivo che, per un verso presentava incolmabili lacune dimostrative, e, per altro verso, neppure era stato confermato nel corso del giudizio di primo grado nel quale l’Istituto neppure si era costituito”; si lamenta altresì che la Corte territoriale, pur dando atto in sentenza della mancata costituzione dell’INPS nel primo grado di giudizio, avrebbe omesso “di trarne le dovute conseguenze, come invece avrebbe dovuto fare in ossequio al comma 2 dell’art. 116 citato, che la obbligava a desumere argomenti di prova dal ‘contegno’ gravemente omissivo tenuto dall’Istituto previdenziale nel giudizio di primo grado”;

il motivo è inammissibile;

ancora di recente le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020) hanno ribadito che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;

orbene, per pacifica giurisprudenza di legittimità, i verbali di accertamento degli organi ispettivi, fanno piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (ex multis, Cass. n. 23800 del 2014); pur tuttavia, detti verbali, con riferimento agli aspetti non coperti da efficacia probatoria privilegiata, costituiscono comunque elemento di prova, che il giudice deve valutare in concorso con gli altri elementi e che può disattendere solo in caso di motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio (Cass. n. 4006 del 2022);

nella specie parte ricorrente non individua adeguatamente i fatti contenuti nel verbale ai quali la Corte avrebbe indebitamente attribuito fede privilegiata, dovendosi piuttosto ritenere che i giudici del merito hanno attribuito alle circostanze evincibili dal verbale sufficienti elementi di prova idonei a fondare la pretesa contributiva dell’INPS, in assenza di motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, tenendo anche conto del documenti prodotti dall’Istituto (“copia del libro matricola” e “scheda anagrafica aziendale”); inoltre parte ricorrente neanche censura quella statuizione della Corte territoriale nella quale si afferma che l’efficacia probatoria attribuita al verbale in primo grado neanche era stata impugnata in appello;

2. il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2700 c.c.; si deduce che la Corte avrebbe violato norme e principi in tema di prova, addossandone l’onere alla società ricorrente, laddove esso incombeva senza dubbio sull’ente previdenziale; si lamenta poi ancora che la Corte avrebbe “attribuito valore di prova (legale) a un documento (verbale ispettivo) che non presentava, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., i requisiti minimi a tal fine”;

il motivo è inammissibile;

per il primo aspetto la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018); nella specie è pacifico che i giudici del merito non hanno affatto onerato della prova la parte privata, traendo piuttosto dal verbale prodotto dalla stessa – come poteva esser fatto in virtù del principio di acquisizione processuale, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzata ai fini della decisione, indipendentemente dalla sua provenienza (da ultimo: Cass. n. 23490 del 2020) – il convincimento circa la fondatezza della pretesa dell’ente previdenziale;

per quanto riguarda il secondo aspetto, va ribadito quanto già affermato con riferimento alla prima doglianza, avuto riguardo agli elementi di prova evincibili dai verbali degli organi ispettivi;

3. in definitiva, le censure sono inammissibili perché nelle forme apparenti della violazione di legge, sia processuale che sostanziale, nella sostanza invocano un diverso apprezzamento del materiale istruttorio acquisito al giudizio e che ha indotto i giudici del merito, in una ipotesi peraltro di cd. “doppia conforme”, a ritenere fondata la pretesa contributiva dell’INPS;

4. pertanto, il ricorso deve va dichiarato inammissibile, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012, se dovuto (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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