Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 gennaio 2023, n. 295

Lavoro, Operai agricoli a tempo determinato, Indennità di disoccupazione agricola (IDA), Maggiorazione del salario contrattuale, Riliquidazione della contribuzione figurativa accreditata per i periodi di disoccupazione, Rigetto

 

Rilevato che

 

Con sentenza del giorno 1.2.2021 n. 39, la Corte d’appello di Reggio Calabria rigettava l’appello di M.S.O.S., avverso la sentenza del tribunale di Palmi che aveva rigettato la domanda di quest’ultima la quale, premesso di avere prestato servizio da operaio agricolo a tempo determinato (OTD) nell’anno 2013, lamentava che l’Inps le aveva erogato l’indennità di disoccupazione agricola (IDA) calcolandola con criteri deteriori rispetto a quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, chiedendo pertanto la condanna dell’Istituto al pagamento della differenza e all’accreditamento della contribuzione figurativa in proporzione alla maggiore misura della prestazione.

Il tribunale riteneva la domanda priva di fondamento normativo ed inoltre erronea l’interpretazione del CPL in riferimento all’importo indicato come paga base per gli OTD perché già comprensivo del cd. terzo elemento (cfr. p. 3 del ricorso).

Da parte sua, la Corte d’appello a supporto dei propri assunti di rigetto del gravame confermava le statuizioni di primo grado (cfr. p. 7 del ricorso).

Avverso la sentenza della Corte d’appello, M.S.O.S. ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, mentre l’Inps ha resiste con controricorso, illustrato da memoria.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., dell’art. 49 CCNL per gli operai agricoli e florovivaisti del 25.5.2010 e dell’art. 14 CCP per gli operai agricoli e florovivaisti della provincia di Reggio Calabria del 14.3.2013, per avere la Corte territoriale ritenuto che il salario contrattuale indicato dal contratto collettivo provinciale cit.

non dovesse essere maggiorato del 30,44% a titolo di c.d. terzo elemento, in quanto il valore della retribuzione prevista dal medesimo contratto per gli operai agricoli a tempo determinato sarebbe già stato calcolato in modo comprensivo del terzo elemento stesso.

Con il secondo motivo, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione della L. n. 264 del 1949, art. 32 del D.L. n. 942 del 1977, art. 3 (conv. con L. n. 41 del 1978), e della  L. n. 155 del 1981, art. 8 per avere la Corte di merito rigettato la domanda volta alla consequenziale riliquidazione della contribuzione figurativa accreditatale per i periodi di disoccupazione.

Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ingiustamente rigettato l’appello e aver conseguentemente esonerato l’INPS dall’obbligo di rifonderle le spese di lite.

Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 152 att. c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il deposito in grado di appello della dichiarazione reddituale non valesse a guadagnarle la compensazione delle spese (anche) del primo grado del giudizio.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

In via preliminare, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In tema di indennità di disoccupazione agricola, ai fini del calcolo delle prestazioni temporanee previste in favore degli operai agricoli a tempo determinato non può farsi riferimento alla misura del salario medio convenzionale di cui all’art. 28 del d.P.R. n. 488 del 1968, in quanto tale criterio, per la categoria in questione, è stato sostituito con quello della retribuzione prevista dai contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 1, del d.l. n. 338 del 1989, conv. con modif. in l. n. 389 del 1989, secondo quanto previsto dall’art. 01, commi 4-5, del d.l. n. 2 del 2006, conv. con modif. in l. n. 81 del 2006, e dall’art. 1, comma 55, della l. n. 247 del 2007, dovendosi escludere che il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 785, della l. n. 296 del 2006, all’art. 8, della l. n. 334 del 1968, possa avere il significato di reintrodurre il precedente sistema del salario medio convenzionale” (Cass. nn. 40400/21, 2705/22, 930/22).

Ciò posto, va rilevato che, nel motivare il rigetto della domanda proposta da parte ricorrente, i giudici di merito non hanno affatto negato che, giusta la previsione dell’art. 49 CCNL del 25.5.2010, il terzo elemento debba entrare a far parte della retribuzione spettante agli operai a tempo determinato, siccome emolumento che remunera festività nazionali e infrasettimanali, ferie, tredicesima e quattordicesima mensilità, né che esso debba essere pari al 30,44% del salario contrattuale come definito dal contratto provinciale, ma hanno piuttosto ritenuto, sulla base di un’interpretazione sistematica condotta ex art. 1363 c.c., che la retribuzione indicata per gli operai agricoli a tempo determinato nell’art. 14 del contratto collettivo provinciale del 14.3.2013 fosse già comprensiva del terzo elemento, calcolato quale maggiorazione del 30,44% della retribuzione spettante agli operai a tempo indeterminato (cfr. pagg. 6-7 della sentenza impugnata). E considerato che nell’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune ruolo preminente dev’essere assegnato alla regola di cui all’art. 1363 c.c., stante la natura complessa e particolare dell’iter formativo della contrattazione sindacale, la non agevole ricostruzione della comune volontà delle parti contrattuali attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, l’articolazione della contrattazione su diversi livelli, la vastità e complessità della materia trattata in ragione dei molteplici profili della posizione lavorativa e, da ultimo, il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali, che include il ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private quali preamboli, premesse, note a verbale, ecc. (così, tra le più recenti, Cass. n. 11834 del 2009), nessuna violazione degli anzidetti canoni di ermeneutica può rimproverarsi alla sentenza impugnata; né a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi in ragione della plausibilità della diversa interpretazione del contratto provinciale propugnata nel ricorso per cassazione, essendosi da tempo chiarito che la censura per cassazione dell’interpretazione del contratto fatta propria dal giudice di merito non può risolversi nella mera prospettazione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle aspettative della parte ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata (così Cass. nn. 9950 del 2001, 319 del 2003 e innumerevoli successive conformi), v. Cass. n. 40400/21.

L’infondatezza del primo motivo determina l’assorbimento del secondo e del terzo, mentre infondato è, infine, il quarto motivo di censura: è sufficiente sul punto ricordare che dalla previsione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., che fa carico alla parte, che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell’esonero degli oneri processuali in caso di soccombenza, di rendere apposita dichiarazione sostitutiva “nelle conclusioni dell’atto introduttivo”, impegnandosi “a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente”, si può bensì ricavare che l’autocertificazione allegata al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado può esplicare la sua efficacia anche nelle fasi successive, così come pure che l’interessato conserva la facoltà di rendere tale dichiarazione nei gradi successivi al primo, ove le condizioni dell’esonero fossero originariamente insussistenti e si siano concretizzate nel prosieguo del giudizio (così Cass. nn. 16284 del 2011 e 21630 del 2013), ma non anche che la dichiarazione resa in grado successivo al primo possa valere a guadagnare alla parte, che non l’abbia allegata al giudizio di primo grado, l’esonero dalle spese di quel procedimento: a tale dichiarazione, infatti, la legge riconnette un’assunzione di responsabilità che, oltre ad essere personalissima e non delegabile al difensore (così Cass. n. 5363 del 2012 e succ. conf.), segna il punto di bilanciamento tra l’esigenza di assicurare l’effettivo accesso alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti e quella di prevenire e reprimere gli abusi, resa palese dal rinvio dell’art. 152 att. c.p.c. ai controlli della Guardia di Finanza di cui al T.U. n. 115 del 2002, art. 88; ed è evidente che tale ultima esigenza resterebbe inevitabilmente frustrata laddove si consentisse l’ingresso nel processo di dichiarazioni auto-certificative di un passato non più suscettibile di controllo alcuno.

Il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla pronunciandosi sulle spese del giudizio di legittimità ex art. 152 att. c.p.c.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

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