Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2023, n. 742

Lavoro, Licenziamento, Risarcimento del danno per mancato godimento del riposo settimanale, Prova del repechage, Riconoscimento di mansioni superiori, Diritto diritto all’indennità di maneggio di cassa e di demansionamento, Rigetto

 

Fatto

 

1. Con sentenza 24 luglio 2019, la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Caserta il 28 febbraio 2002 a G.M. per violazione dell’art. 2112 c.c. e, nel contraddittorio anche con Impresa Verde Caserta s.r.l., condannato la prima alla reintegrazione (rettificata in motivazione, per errore materiale, in “riassunzione”) del secondo nel posto di lavoro ovvero al pagamento in suo favore di sei mensilità dell’ultima retribuzione percepita; ha poi rigettato ogni altra domanda del lavoratore e l’appello incidentale della Federazione avverso la sentenza di primo grado, che aveva condannato la Federazione Provinciale al pagamento, in favore del lavoratore, delle somme di € 22.258,00 per differenze retributive e di € 3.990,00 per differenze sul T.f.r., oltre rivalutazione ed interessi, oltre che al risarcimento del danno per mancato godimento del riposo settimanale dal 1° gennaio 1985 al 28 novembre 1989, da liquidare in separato giudizio; rigettandone ogni altra domanda, compresa l’impugnazione del licenziamento, non ravvisando i presupposti di applicazione dell’art. 2112 c.c.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte partenopea ha condiviso con il Tribunale: l’inapplicabilità di tale norma, in assenza di prova della continuità del rapporto, cessato con la Federazione Provinciale, alle dipendenze di Impresa Verde Caserta s.r.l., costituita due anni prima;

l’infondatezza delle domande del lavoratore di inquadramento in una qualifica superiore e di indennità di maneggio denaro, siccome indimostrate.

3. Essa ha invece ritenuto illegittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, in difetto di prova del repechage, a carico del datore di lavoro, che non aveva dimostrato l’impossibilità di ricollocare in azienda il lavoratore, neppure con mansioni deteriori.

4. Con atto notificato il 22 gennaio 2020, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi; entrambe le parti intimate non hanno svolto difese.

5. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso del rigetto del ricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4 c.p.c.: a) per mancanza di motivazione sulla richiesta integrazione di C.t.u. espletata in primo grado, in difetto di risposta al terzo quesito affidato (di computo delle differenze retributive e di T.f.r. spettanti al lavoratore sulla scorta delle due differenti ipotesi di orario prospettate nel primo e nel secondo quesito, alla luce dell’inquadramento nel II livello del CCNL prodotto dalla Federazione Provinciale), non avendo questa prodotto una documentazione idonea, benché a ciò invitata dal C.t.u. e quest’ultimo utilizzato, in assenza di indicazione di altri parametri da parte del giudice specificamente richiesto, soltanto il regolamento e lo statuto della Federazione per gli anni dal 1987 in poi (tenendo conto dei soli prospetti paga per il periodo 1 gennaio 1985 – 31 gennaio 1987); b) per omessa pronuncia sulla data di inizio del rapporto lavorativo, già dall’anno 1984 (per effetto di erronea valutazione probatoria) e sulla liquidazione del danno da mancato godimento del riposo settimanale.

2. Esso è inammissibile.

3. In via di premessa, nel giudizio d’appello la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio è ammissibile, ove si contestino le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice di primo grado, poiché non viene chiesta l’ammissione di un nuovo mezzo di prova. Il giudice, peraltro, se non ha l’obbligo di motivare il diniego, che può essere anche implicito, è tenuto tuttavia a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante alle valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata, sicché l’omesso rigetto espresso dell’istanza di rinnovazione non integra un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma, eventualmente, vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata: non potendo il vizio di omessa pronuncia, che costituisce un caratteristico error in procedendo riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., convertirsi, mediante un’attività di mera riqualificazione, in un vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., che presuppone un tema di critica del tutto diverso (Cass. 18 marzo 2015, n. 5339; Cass. 24 novembre 2020, n. 26709). E ciò a maggior ragione, nel caso di specie, in cui il ricorrente lamenta una mancata integrazione della C.t.u., di cui pure spiega la ragione addotta dal medesimo consulente d’ufficio (al secondo capoverso di pg. 12 e ancora dal terz’ultimo capoverso di pg. 12 al terzo capoverso di pg. 13 del ricorso), per poi contestare la valutazione probatoria della Corte territoriale.

3.1. In tema di ricorso per cassazione, è poi contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia; posto che il primo implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.; il secondo presuppone, invece, l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 18 giugno 2014, n. 13866; Cass. 5 marzo 2021, n. 6150).

4. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione dell’art. 116 c.p.c., per erronea valutazione probatoria relativa alle domande di riconoscimento di mansioni superiori, del diritto all’indennità di maneggio di cassa e di demansionamento.

5. Anch’esso è inammissibile.

6. Non si configura, infatti, l’omesso esame di un fatto storico, quanto piuttosto la contestazione di una valutazione probatoria (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053).

Neppure è denunciata in modo pertinente la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio di libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), idonea ad integrare vizio di error in procedendo, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta a un diverso regime (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31158; Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867). Ed è noto che il potere del giudice di valutazione della prova è insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome “suo” è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che “la legge disponga altrimenti” (Cass. 17 novembre 2021, n. 34786).

7. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 92 c.p.c., per compensazione integrale delle spese del grado di appello, nonostante il parziale accoglimento dell’appello del lavoratore e il rigetto di quello della Federazione Provinciale, in ragione dei “mutamenti giurisprudenziali avvicendatisi sulle questioni esaminate”.

8. Esso è infondato.

9. In tema di spese legali, la compensazione per “gravi ed eccezionali ragioni”, sancita dall’art. 92, secondo comma c.p.c., come riformulato dalla legge n. 69 del 2009 (ratione temporis applicabile), nei casi in cui difetti la reciproca soccombenza, riporta a una nozione elastica, che ricomprende la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso e che può essere conosciuta dal giudice di legittimità ove il giudice del merito si sia limitato a una enunciazione astratta o, comunque, non puntuale, restando in tal caso violato il precetto di legge e versandosi, se del caso, in presenza di motivazione apparente; tuttavia, il sindacato della Corte di cassazione non può giungere sino a misurare “gravità ed eccezionalità”, al di là delle ipotesi in cui all’affermazione del giudice non corrispondano le evidenze di causa o alla giurisprudenza consolidata (Cass. 16 maggio 2022, n. 15495).

9.1. La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo comma c.p.c.), si verifica – anche in relazione al principio di causalità – nelle ipotesi in cui vi è una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che siano state cumulate nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero venga accolta parzialmente l’unica domanda proposta, sia essa articolata in un unico capo o in più capi, dei quali siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri (Cass. 23 settembre 2013, n. 21684; Cass. 22 agosto 2018, n. 20888; Cass. s.u. 31 dicembre 2022, n. 32061).

9.2. Nel caso di specie, al di là della formula adottata dalla Corte territoriale per giustificare la compensazione integrale delle spese tra le parti (in ragione dei “mutamenti giurisprudenziali avvicendatisi sulle questioni esaminate”), ricorre indubbiamente, per il rigetto di domande oggetto dell’appello principale del lavoratore (solo parzialmente accolto in relazione alla illegittimità dl licenziamento, con reiezione di “ogni altra domanda proposta”), una soccombenza reciproca che ben giustifica la compensazione delle spese del giudizio, con correzione sul punto della motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.p.c.

10. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto del ricorso, con esenzione da ogni provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2023, n. 742
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