Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2023, n. 3690

Lavoro, Retribuzione di posizione, Revoca di posizione organizzativa, Demansionamento, Art. 9 del c.c.n.l. enti locali 1999, Svuotamento di mansioni determinato dall’assegnazione al diverso settore, Pregiudizio alla salute, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. con sentenza del 9 agosto 2016, la Corte d’Appello di Catanzaro in riforma della pronuncia del Tribunale di Rossano dichiarava l’illegittimità della revoca della posizione organizzativa conferita dal Comune di Rossano a M.R. e condannava il Comune al risarcimento del danno in favore della R. corrispondente alla misura della retribuzione di posizione (euro 556,00) maturata dal 6.11.2003 fino alla naturale scadenza dell’incarico (1.3.2004) nonché al pagamento di euro 40.483,00 a titolo di risarcimento del danno biologico da demansionamento;

2. M.R., dipendente del Comune di Rossano con la qualifica di istruttore direttivo ex settimo livello (poi categoria D-D3), con determina n. 404 del 26.2.2001 era stata incaricata della posizione organizzativa del settore anagrafe stato civile ed altro per la durata di anni tre a decorrere dall’1.3.2001;

con ordine di servizio n. 26546 del 6.11.2003 era stata rimossa dal settore anagrafe ed assegnata all’ufficio Sport del settore Informazione, informatica, marketing e sviluppo turistico con revoca anticipata della posizione organizzativa in godimento;

con ricorso al Tribunale di Trapani, la R. aveva dedotto l’illegittimità di detto provvedimento perché disposto senza l’osservanza dell’art. 9 del c.c.n.l. e perché, a suo dire, inquadrabile nell’ambito di un operato demansionamento ai suoi danni a causa di rimostranze dalla predetta manifestate al Sindaco circa il mancato riconoscimento della misura massima della retribuzione di risultato;

aveva, in particolare, rappresentato che l’assegnazione all’ufficio Sport aveva determinato una sua totale inattività con danno alla professionalità e danno biologico;

3. il Tribunale aveva respinto il ricorso;

4. la Corte territoriale, quanto alla revoca anticipata della posizione organizzativa, rilevava che la stessa, contrariamente alle previsioni di cui all’art. 9 del c.c.n.l., non era avvenuta con atto scritto e motivato ed escludeva la legittimità di una revoca implicita contenuta nell’assegnazione ad altro incarico;

riteneva, in ogni caso, che non fosse emersa la necessità di dotare di personale il nuovo ufficio considerato che le variazioni della dotazione organica del Comune conseguenti al riassetto posto a base dello spostamento della dipendente erano divenute esecutive nel 2005;

escludeva che i rilievi formulati dalla prefettura in ordine alla regolarità formale di taluni atti dello stato civile potessero tener luogo della procedura di cui all’art. 9 del c.c.n.l.;

riteneva, pertanto, che il Comune fosse tenuto a corrispondere alla R. la retribuzione di posizione organizzativa fino alla naturale scadenza dell’incarico;

quanto al lamentato demansionamento rilevava che, a fronte della dedotta assegnazione ad un posto inesistente, per il quale non erano stati previsti funzioni, carichi di lavoro né predisposte risorse minime necessarie per lo svolgimento della prestazione nulla era stato opposto dal Comune che non aveva dimostrato in giudizio quali fossero i nuovi compiti assegnati alla dipendente sì da poterne apprezzare l’equivalenza con quelli originari;

quanto al pregiudizio lamentato riteneva provato il danno biologico avendo il nominato c.t.u. accertato l’effettiva esistenza delle patologie di natura psichica che avevano quantomeno aggravato la depressione di cui la R. già soffriva e riconosceva un grado di inabilità permanente del 15% che comportava un risarcimento pari ad euro 40.483,00;

escludeva che potesse riconoscersi un danno esistenziale sotto il profilo della dequalificazione professionale e del pregiudizio alla dignità morale rilevando la mancanza di pur minimi elementi dai quali poter risalire, sulla base di un prudente apprezzamento, al fatto noto;

5. avverso tale statuizione ha proposto ricorso il Comune di Rossano con tre motivi;

6. M.R. ha resistito con controricorso;

7. entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Considerato che

 

1. valuta preliminarmente il Collegio di anteporre l’esame dei motivi di ricorso – che, variamente articolati, investono l’accertamento reso dalla Corte di appello in ordine alla sussistenza del demansionamento controverso in causa – rispetto alla delibazione sulla questione, posta dalla controricorrente, della inammissibilità per tardività del ricorso stesso, in applicazione del principio della «ragione più liquida», desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 cod. proc. civ. (per tutte, Cass. n. 9309 del 2020 con richiamo a Cass., Sez. Un., n. 9936 del 2014 e a numerose altre decisioni di questa Corte);

2. con il primo motivo il Comune denuncia la violazione degli art. 3, 8 e 9 del c.c.n.l. enti locali del 31.3.1999, nonché dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 2013 cod. civ., degli art. 2043 e 1223 cod. civ.;

censura la sentenza impugnata là dove ha affermato che “a seguito dell’assegnazione della dipendente comunale M.R. a nuovo incarico e ritiro anticipato della posizione organizzativa, si sia configurato un demansionamento, determinativo di danno ingiusto alla salute”;

rileva che la revoca della posizione organizzativa è del tutto estranea al concetto demansionamento e nello specifico vi era stato un processo di riorganizzazione tale da giustificare l’intervenuto spostamento di settore;

aggiunge che la revoca era stata anche determinata da inadempienze ed irregolarità nello svolgimento dell’incarico;

3. il motivo è infondato;

la Corte territoriale ha ritenuto che la revoca di posizione organizzativa fosse illegittima per due motivi: 1) non era possibile affermare che la stessa fosse stata determinata dalla “necessità di dotare di personale il neo ufficio” e quindi dall’esigenza di una “migliore utilizzazione delle risorse umane e per meglio assicurare i servizi alla collettività” considerato che le variazioni alla dotazione organica del Comune erano divenute esecutive nel 2005 e al momento dell’assegnazione della R. tale ufficio era privo delle risorse minime per operare; 2) quanto alle inadempienze e irregolarità attribuite alla R., non era stato rispettato il procedimento di cui all’art. 9 del c.c.n.l. (mancata instaurazione del contraddittorio sul risultato negativo);

peraltro, nel complessivo argomentare della Corte d’appello l’aspetto caratterizzante della vicenda è che il comportamento del Comune (ed anche la revoca di posizione organizzativa, in sé illegittima) ha dato luogo ad un vero e proprio totale svuotamento delle mansioni determinato dall’assegnazione al diverso settore e come tale di per sé illegittimo e fonte di risarcimento (vedi, fra le altre: Cass. 8 aprile 2022, n. 11499; Cass. 9 gennaio 2017, n. 217);

in questo contesto, e specie considerando le dedotte inadempienze ed irregolarità attribuite alla R. a giustificazione della diversa assegnazione e contestuale revoca della posizione organizzativa, la Corte territoriale ha valorizzato la previsione di cui al citato art. 9 del c.c.n.l. enti locali 1999 a termine del quale: «3. Gli incarichi possono essere revocati prima della scadenza con atto scritto e motivato, in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di specifico accertamento di risultati negative.

4. I risultati delle attività svolte dai dipendenti cui siano stati attribuiti gli incarichi di cui al presente articolo sono soggetti a valutazione annuale in base a criteri e procedure predeterminati dall’ente. La valutazione positiva dà anche titolo alla corresponsione della retribuzione di risultato di cui all’art. 10, comma 3. Gli enti, prima di procedere alla definitiva formalizzazione di una valutazione non positiva, acquisiscono in contraddittorio, le valutazioni del dipendente interessato anche assistito dalla organizzazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da persona di sua fiducia; la stessa procedura di contraddittorio vale anche per la revoca anticipata dell’incarico di cui al comma»;

è pur vero che, in tema di lavoro pubblico negli enti locali, questa Corte ha affermato (Cass. 30 marzo 2015, n. 6367) che il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l’inquadramento in una nuova categoria contrattuale ma unicamente l’attribuzione di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico con la conseguenza che la revoca di tale posizione non costituisce demansionamento e non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2103 cod. civ. e dell’art. 52, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165;

tuttavia, nella specie, il demansionamento non è stato collegato, in sé, a tale revoca (comunque considerata illegittima per mancato rispetto della procedura prevista dalla disposizione pattizia) ma al totale svuotamento di mansioni determinato dall’assegnazione al diverso settore (comportante anche la revoca);

si richiama, sul punto, quanto affermato da questa Corte di legittimità (Cass. 15 maggio 2015, n. 10030), proprio con riferimento alla revoca di una posizione organizzativa accompagnata dallo svuotamento dell’attività di ogni contenuto tipizzante il relativo profilo professionale, con privazione dei compiti decisionali e delle relative responsabilità, circa la sussistenza del diritto al risarcimento del danno;

ed allora le censure, senza intaccare il percorso argomentativo della sentenza impugnata, chiedono una nuova valutazione del merito;

4. con il secondo motivo il Comune denuncia la violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2002 (ndr art. 52 del d.lgs. n. 165/2001), dell’art. 2103 cod. civ., del c.c.n.l. enti locali del 31.3.1999 e dell’Allegato A, degli art. 2697 cod. civ. e dell’art. 1222 cod. civ.;

censura la sentenza impugnata per l’applicazione dell’art. 2103 cod. civ. alla fattispecie nonostante nel pubblico impiego contrattualizzato la materia sia compiutamente disciplinata dall’art. 52 del d.lgs.;

rileva che, in base alla disciplina di cui al suddetto art. 52 del d.lgs. occorre dare rilievo all’equivalenza formale;

5. il motivo è infondato;

nella specie la Corte d’appello ha rilevato una totale privazione delle mansioni ed una forzata inattività che hanno arrecato un pregiudizio alla salute;

come da questa Corte anche di recente affermato (v. Cass. 8 aprile 2022, n. 11499), ove si sia concretizzato, con la destinazione del dipendente ad altre mansioni, il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa, la vicenda esula dalle problematiche attinenti alla verifica dell’equivalenza formale delle mansioni ex art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, configurandosi non un demansionamento, ma la diversa e più grave figura della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego;

6. con il terzo motivo il Comune denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 2043 cod. civ. e dell’art. 1223 cod. civ.;

censura la sentenza impugnata per aver ritenuto provata la patologia dello stato ansioso-depressivo della dipendente come derivante da demansionamento per l’assegnazione a nuovo incarico, nonché dimostrato il nesso di causalità tra l’evento patologico riconosciuto e la presunta condotta inadempiente del datore di lavoro;

7. il motivo è inammissibile;

sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge le censure mirano ad una rivalutazione delle conseguenze dannose per la salute dell’accertato demansionamento, le quali appartengono all’accertamento dei fatti e sono precluse al sindacato in sede di legittimità;

in particolare, nella parte in cui il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. senza, però, censurare l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova e dunque per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, il rilievo si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 360, co. 1, cod. proc. civ. perché, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinché si fornisca un diverso apprezzamento delle prove (Cass., Sez. Un., 10 giugno 2016, n. 11892);

anche le ulteriori censure, in quanto estranee all’interpretazione delle norme denunciate, vanno, nella sostanza, ricondotte al vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. e, quindi, possono essere apprezzate solo nei limiti fissati dalla disposizione, nel testo ora applicabile, come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa Corte che, a partire da Cass., Sez. Un., n. 8053/2014, ha escluso ogni rilevanza dell’omesso esame di risultanze probatorie o documenti ove il “fatto storico” sia stato comunque apprezzato e valutato dal giudice del merito;

8. da tanto consegue che il ricorso deve essere respinto;

9. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;

10. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2023, n. 3690
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