Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 febbraio 2023, n. 3131

Lavoro, Mutamento di mansioni, Demansionamento, Prova di una riorganizzazione aziendale, Inammissibilità del ricorso

 

Rilevato che

 

1. la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che, accertata la illegittimità del mutamento di mansioni disposto da A.C.. s.p.a. nei confronti di M.F., ha condannato la datrice di lavoro A.C. s.p.a. a riassegnare la lavoratrice alle mansioni in precedenza svolte o ad altre equivalenti ed al risarcimento del danno quantificato in via equitativa in € 12.290,75 corrispondente al 25% della retribuzione all’epoca goduta per ciascun mese di demansionamento;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.C. s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce omesso esame della documentazione prodotta in giudizio e delle allegazioni di A.C. s.p.a. esposte nei giudizi di merito di primo e secondo grado; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. denunzia la omessa considerazione della effettività della riorganizzazione societaria, avviata con lettera del 23.9.2015 e omessa considerazione della circostanza dedotta dalla società circa la soppressione del posto di lavoro della F.;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2103, comma 2, cod. civ. e dell’art. 41 Cost. censurando la sentenza impugnata in base alla considerazione che erano state esaminate circostanze non rilevanti ai fini della valutazione del rispetto della norma codicistica e che la Corte di merito, in violazione del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica, si era sostituita alla valutazione, spettante alla società, circa la complessiva utilità dell’operazione, come non consentito;

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

3.1. occorre premettere che l’accertamento della sentenza impugnata risulta coerente con la disposizione di cui all’art. 2013 cod. civ., nel testo applicabile ratione temporis risultante dalla modifica introdotta dall’art. 3 d. Igs n. 81/2015, secondo il quale, per quel che qui rileva, l’assegnazione del lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore “purché rientranti nella medesima categoria legale” è consentita in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla relativa posizione; la Corte di merito ha, infatti, ritenuto non giustificata la assegnazione della F. alle mansioni di operatrice di cali center dopo che la stessa aveva svolto dall’ottobre 2007 all’ottobre 2015 mansioni di team leader, in assenza di prova di una riorganizzazione aziendale destinata ad influire sulla posizione di lavoro dalla stessa ricoperta; ha infatti evidenziato che la dedotta esigenza riorganizzativa di riduzione del numero complessivo dei team leader risultava smentita dal fatto che in epoca successiva al demansionamento della F. erano stati assegnati a tale mansione altri dipendenti;

3.2. tale accertamento è divenuto definitivo stante la preclusione scaturente dalla esistenza di <<doppia conforme>> ai sensi dell’art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ. non avendo la società ricorrente dedotto che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, erano tra loro diverse, come suo onere al fine della valida deduzione del vizio motivazionale (Cass. n. 20994/2019, Cass. n., Cass. n 26774/2016, Cass. n. 5528/2014) ;

4. il secondo motivo di ricorso è inammissibile; in primo luogo, le censure sviluppate, per come concretamente articolate, non concernono il significato e la portata applicativa dell’art. 2103 cod. civ. ma investono direttamente la ricognizione della concreta fattispecie a mezzo delle risultanze di causa, peraltro evocate in violazione della prescrizione dell’art. 366, comma 1 n. 6 cod. proc. civ.; in questa prospettiva risultano in particolare inammissibili le deduzioni che ascrivono al giudice di appello la errata identificazione degli obiettivi della riorganizzazione; priva di pertinenza con le ragioni della decisione si rivela, inoltre, la censura che ascrive alla Corte di merito di essersi sostituita alla società nella valutazione di opportunità e convenienza della riorganizzazione, in violazione del principio di libertà economica di cui all’art. 41 Cost., in quanto la sentenza impugnata si è limitata a rilevare la insussistenza in fatto dei presupposti legali per il demansionamento della lavoratrice, senza in alcun modo argomentare circa il diritto o meno della società di procedere alla riorganizzazione;

5. alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.

6. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del, ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019);

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

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