Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 febbraio 2023, n. 5881

Lavoro, Licenziamento, Patto di prova, C.C.N.L. Metalmeccanici industria, Specificità dell’indicazione delle mansioni nel patto di prova, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n.273 pubblicata il 21.9.2019, la Corte di Appello di Brescia, confermando la pronuncia di primo grado, ha dichiarato la legittimità del licenziamento intimato, il 5.2.2016, dalla E. s.p.a. nei confronti dell’Ing. H.J. per mancato superamento della prova.

2. La Corte territoriale, interpretando il contratto individuale di lavoro – ove era contenuto il patto di prova – unitamente alla contrattazione collettiva di riferimento (c.c.n.l. Metalmeccanici Industria), ha ritenuto che il tipo di attività affidato alla lavoratrice (commodity manager, ossia “Specialista di approvvigionamenti” di VII livello) era precisamente individuabile, in considerazione dello specifico rinvio al livello contrattuale, della conoscenza, di entrambe le parti, del termine inglese (frequentemente usato nell’ambito dell’industria e utilizzato anche nel curriculum vitae della stessa lavoratrice), dell’agevole individuazione dei prodotti su cui esercitare il ruolo affidato (ossia quelli legati al tipo di attività svolta dalla società); ha rilevato che il quadro probatorio acquisito dimostrava che l’esperimento aveva avuto ad oggetto le mansioni oggetto del patto di prova, in quanto la lavoratrice era stata adibita proprio a compiti di commodity manager-acquisti nel settore automotive, mansione peraltro già svolta presso il precedente datore di lavoro, con spiccata autonomia e responsabilità riguardo alla gestione dei rapporti con i varo fornitori. Pur rilevando la tardiva allegazione della lavoratrice circa la mancata formazione ricevuta (con impedimento alla controparte di difendersi e di articolare mezzi istruttori sul punto), la Corte territoriale ha sottolineato che dalla documentazione acquisita non era risultata alcuna difficoltà di svolgimento del ruolo assegnato, avendo la H. già operato nello stesso settore dell’automotive, essendosi sempre mossa agevolmente in autonomia sul mercato, senza chiedere alcuna specifica formazione tecnica; ha rilevato che le ragioni addotte a fondamento del recesso (da verificarsi, pur nel periodo di prova, ai fini dell’esclusione di una pretestuosità del recesso) si erano rivelate fondate, non avendo, la lavoratrice, portato a termine il progetto di ricerca di nuovi fornitori e di analisi comparativa delle offerte e non condividendo le informazioni con il Responsabile del settore e con i colleghi, a fronte di un periodo di prova (2/3 dei sei mesi concordati) sufficiente a consentire al datore di lavoro di apprezzare la sua idoneità a ricoprire il ruolo affidato. La Corte, in considerazione della situazione personale della lavoratrice (in stato di gravidanza all’atto della comunicazione del recesso) e della complessità dell’istruttoria documentale, ha compensato integralmente tra le parti le spese di lite.

2. Per la cassazione di tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso con tre motivi, cui ha resistito la società con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale fondato su un motivo.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2096 e 1325 cod.civ., avendo, la Corte territoriale, ricavato da elementi esterni al contratto individuale (il curriculum vitae della lavoratrice, il profilo pubblicato dalla stessa sul sito internet I., le lettere scambiate prima del contratto di assunzione) la specificità dell’indicazione delle mansioni così come risultanti dal patto di prova; inoltre, il rinvio al livello di classificazione del c.c.n.l. applicato in azienda era insufficiente, essendo compresi, nel VI livello, una molteplicità di generiche mansioni.

2. Con il secondo ed il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1421, 2096, in relazione agli 4 del R.d.l. n. 1825 del 1924 e 113 cod.proc.civ., posto che l’art. 4 cit. prevede che “il periodo di prova non può in nessun caso superare: mesi sei per gli institori, procuratori, rappresentanti a stipendio fisso, direttori tecnici o amministrativi ed impiegati di grado e funzioni equivalenti; mesi tre, per tutte le altre categorie di impiegati” mentre il contratto individuale (nonché il contratto collettivo, con riguardo ai livelli VI e VII) prevedeva, nel caso di specie, un periodo di sei mesi, previsione viziata dunque da nullità, rilevabile d’ufficio dal giudice anche in sede di legittimità. La lavoratrice aveva una mera qualifica di impiegata, come risulta dalla lettera di assunzione, e doveva riferire al Purchasing Director, dunque non rivestiva funzioni equivalenti a quelli degli institori, procuratori, rappresentanti a stipendio fisso direttori tecnici o amministrativi. La Corte di appello, non rilevando d’ufficio la nullità del patto di prova, è incorsa in error in procedendo.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la società denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 92 e 132 cod.proc.civ. non rientrando “la complessità dell’istruttoria documentale” tra le cause idonee a consentire la compensazione delle spese, e non ricorrendo alcuna difficoltà probatoria, avendo – la Corte territoriale – meramente confermato l’argomentatissima decisione del Tribunale.

4. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.

4.1. La struttura argomentativa della pronuncia impugnata fa corretta applicazione del dato normativo di cui all’art.2096 c.c. nei termini ritenuti dalla giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende dare continuità.

4.2. Questa Corte ha più volte ribadito che il patto di prova apposto ad un contratto di lavoro deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria (Cass. n. 9597 del 2017; Cass. n. 1099 del 2022).

4.3. Invero, il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva può ritenersi sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell’indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se, rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli e profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova sia fatto alla nozione più dettagliata.

Se la categoria di un determinato livello accorpa una serie di profili professionali, è l’indicazione del singolo profilo a soddisfare l’esigenza di specificità delle mansioni, mentre l’indicazione della sola categoria difetterebbe di tale connotazione e sarebbe generica. In tal modo è soddisfatta l’esigenza di una sufficiente predeterminazione dell’ambito dell’esperimento e quindi delle qualità professionali richieste al lavoratore in prova per il suo superamento in modo da consentire, in caso di recesso del datore di lavoro, quel controllo richiesto da Corte Costituzionale n. 189 del 1980. D’altro canto, è tutelato l’affidamento in buona fede delle parti sulla validità del patto di prova perché il riferimento alla declaratoria contrattuale più specifica e dettagliata rappresenta un dato oggettivo e riconoscibile.

4.4. Nell’ottica descritta, appare coerente con la giurisprudenza consolidata, l’argomentazione giuridica e l’accertamento in fatto (insindacabile in questa sede di legittimità) svolti dalla Corte territoriale, che ha ritenuto legittimo e sufficientemente specifico il rinvio per relationem alle mansioni di “commodity manager, di VII livello ex c.c.n.l. di settore” contenuto nel contratto inter partes, giacché, in presenza, nell’ambito del medesimo livello, di una pluralità di profili “del tutto diversi e distinti …. che non hanno nulla a che vedere con quello di commodity manager” (pag. 11 sentenza impugnata); la definizione consentiva, dunque, di individuare, con giudizio ex ante, quali fossero le mansioni in concreto assegnate alla lavoratrice, corrispondenti al ruolo di “specialista degli approvvigionamenti” elencato nella declaratoria contrattuale ed unico ruolo possibile anche in considerazione del settore di attività in cui operava la società (produzione di valvole, sistemi e componenti metano e Gpl per autotrazione, ambito dell’automotive).

5. Il secondo motivo ed il terzo motivo del ricorso principale sono inammissibili.

5.1. Nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (Cass. n. 1474 del 2007; Cass. n. 7048 del 2016; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 32804 del 2019).

5.2. Va, invero, ribadita la necessità di un contemperamento, e così pure di un coordinamento, del potere del giudice di rilevare in via officiosa l’esistenza di una causa di nullità di un contratto con il principio della domanda, fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., nel senso che occorre comunque la tempestiva proposizione della questione in giudizio (Cass. nn. 11106 e 40896 del 2021).

5.3. Ebbene, con riguardo alla omessa valutazione, da parte della Corte territoriale, della validità della pattuizione del patto di prova (tre o sei mesi) alla luce della previsione contenuta nell’art. 4 del R.d.l. n. 1825 del 1924 (sussunzione che prevede il preventivo accertamento di fatto circa le mansioni disimpegnate dalla lavoratrice, di natura meramente impiegatizia, come suggerisce la ricorrente, ovvero di rango equivalente a quelle direttive, come sottolinea il controricorrente, nonché circa le giornate di lavoro effettivo prestate dalla H.), si tratta di questione che non risulta affatto affrontata nella sentenza impugnata e la ricorrente non indica in quale atto difensivo e in quale momento processuale la questione sarebbe stata introdotta, le ragioni del suo rigetto ed i motivi con i quali è stata riproposta al giudice del gravame (nello stesso senso dell’inammissibilità, cfr. Cass. n. 40896 del 2021, che ha ritenuto, in tema di contratto di collaborazione autonoma, che la nullità per difetto di forma scritta non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, in seno alla memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., ma occorre la tempestiva proposizione della questione nel giudizio di merito, a nulla rilevando che essa sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, atteso che il corrispondente potere del giudice incontra, da un lato, il limite della necessità di un accertamento di fatto e, dall’altro, dev’essere coordinato con il principio della domanda, fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c.; cfr. altresì Cass. n. 21600 del 2013). Di qui, l’inammissibilità delle doglianze in esame.

6. Il ricorso incidentale non è fondato.

6.1. La motivazione della Corte territoriale – indicando esplicitamente “la particolare situazione della ricorrente che si è trovata priva di lavoro durante la gravidanza e la complessità dell’istruttoria documentale” – ha ritenuto, in concreto, integrata la sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni ai sensi dell’art. 92 c.p.c. come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018, laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui non prevede che il giudice, in caso di soccombenza totale, possa non di meno compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.

6.2. Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, debbono ritenersi sussistenti “gravi ed eccezionali ragioni” anche in considerazione della complessità delle questioni oggetto di controversia nel merito (come espressamente indicato dalla Corte nel merito) e fermo restando, da una parte, che il sindacato in tema di spese giudiziali resta, comunque, vincolato al (solo) divieto di porre le spese di lite in capo alla parte totalmente vittoriosa (il che, nella specie, è certamente da escludersi sia avvenuto) e, dall’altra, che il sindacato della Corte di cassazione non può giungere sino a misurare “gravità ed eccezionalità”, al di là delle ipotesi in cui all’affermazione del giudice non corrispondano le evidenze di causa o alla giurisprudenza consolidata (Cass. n. 18352 del 2003 e Cass. n. 15495 del 2022).

7. In conclusione, il ricorso principale e il ricorso incidentale vanno rigettati.

Le spese di lite, in conseguenza della reciproca soccombenza, sono compensate per 1/3, mentre i residui 2/3, liquidati come in dispositivo, sono posti a carico della ricorrente principale.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa per 1/3 fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità, ponendo i residui 2/3 a carico della ricorrente principale, spese che liquida, per l’intero, in euro 4.500 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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