Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 aprile 2023, n. 9650

Lavoro, Licenziamento, Socio lavoratore, Licenziamenti plurimi oggettivi e licenziamento collettivo, Cessazione totale dell’attività d’impresa, Subentro nell’appalto di servizi, Verbale di conciliazione, Accoglimento

 

Fatto

 

1. Con sentenza 20 aprile 2020, la Corte d’appello di Potenza, in parziale accoglimento dei reclami incidentali della società cooperativa (…) e di (…) s.r.l., ha condannato il reclamante principale B.D. alla rifusione, in favore delle prime, delle spese di primo grado del giudizio in misura della metà (oltre che di quelle del grado d’appello, in pari misura), nel resto rigettandoli e interamente il reclamo principale avverso la sentenza di primo grado; così parzialmente riformata. Con essa il Tribunale, in esito a procedimento con rito Fornero, aveva rigettato la domanda del socio – lavoratore (e di s.d., pure socio – lavoratore, con distinto ricorso riunito, poi non reclamante) di impugnazione del licenziamento intimatogli dalla cooperativa (…) il 17 marzo 2018, siccome illegittimo per nullità della procedura prescritta dalla l. n. 223 del 1991, insussistenza del giustificato motivo oggettivo su cui esso era fondato, violazione dell’art. 2112 c.c. e conseguente condanna risarcitoria delle due società; parimenti, esso ne aveva rigettato la domanda di accertamento del trasferimento d’azienda tra le due società e del suo diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con la cessionaria, da condannare al relativo ripristino.

2. Nella condivisione del ragionamento argomentativo del Tribunale, la Corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, corretta l’esclusione della qualificazione del recesso della cooperativa (…) (intimato a tutti i 61 dipendenti, di cui 40 sottoscrittori di un verbale di conciliazione, con loro assunzione da (…) s.r.l., subappaltatrice da (…) s.r.l. della sola attività di sequenziamento di materiali, in base a contratto del 26 marzo 2018):

a) non già alla stregua di licenziamento collettivo, in assenza dei presupposti di riduzione o di trasformazione dell’attività della datrice (nell’insufficienza di quelli numerico nell’arco temporale di 120 giorni e dimensionale), essendo questa cessata, per la scadenza il 31 marzo 2018 del contratto di appalto (unica sua commessa) stipulato con (…) s.r.l. (decorrente dal 1 dicembre 2014) per scarico di automezzi, controllo visivo dello stallo degli imballi e quantitativo della merce in entrata, deposito di materiale, approntamento dei materiali in aree specifiche o loro spedizione, carico degli automezzi in partenza, sequenziamento di materiali e movimentazione di merci;

b) bensì di licenziamenti plurimi oggettivi, per detta circostanza incontestata, né pretestuosa e comprovata dalla sussistenza del nesso causale tra la (necessitata) soppressione di tutti i posti di lavoro e il recesso intimato.

3. La Corte potentina ha inoltre negato la ricorrenza di un trasferimento d’azienda (e rigettato la consequenziale domanda del lavoratore di continuità del rapporto, ai sensi dell’ art. 2112 c.c. e di suo rispristino nei confronti della cessionaria) tra la cooperativa (…) e (…) s.r.l. nella (diversa) operazione di stipulazione, da parte della seconda con (…) s.r.l., di un contratto di appalto il 26 marzo 2018 (nella scadenza imminente, il 31 marzo 2018, di quello della cooperativa con (…) s.r.l.) dall’oggetto ben più limitato (di sequenziamento, manutenzione e relativa attività amministrativa). In particolare, essa ha chiarito l’inesistenza, nell’ipotesi di successione di un imprenditore ad un altro nell’appalto di servizi, di un diritto del lavoratore, licenziato dall’appaltatore cessato, al trasferimento ipso iure all’impresa subentrante, escludendo la prova (nell’onere del lavoratore interessato ad avvalersi degli effetti previsti dall’ art. 2112 c.c. e in esito alle scrutinate deduzioni istruttorie) della concreta modulazione della fattispecie alla stregua di trasferimento d’azienda.

4. Con atto notificato il 10 luglio 2020, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, cui hanno resistito le società con distinti controricorsi.

4. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma del d.l. n. 137 del 2020, art. 37 comma 8bis inserito da l. conv. 176/2020, nel senso della fondatezza dei primi due motivi e assorbimento degli altri.

5. Entrambe le società controricorrenti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

1. In via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di nullità della procura speciale, per il suo conferimento in data anteriore alla redazione del ricorso, risultando essenziale il suo conferimento in epoca anteriore alla notificazione del ricorso, che investa il difensore espressamente del potere di proporlo e che sia rilasciata in epoca successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione; essendo irrilevante il suo rilascio in data anteriore a quella di redazione del ricorso o che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullità (Cass. 13 settembre 2006, n. 19560; Cass. 17 marzo 2017, n. 7014; Cass. 26 febbraio 2019, n. 5577).

2. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della l. n. 604 del 1966 in relazione al D.L. n. 112 del 2008, artt. 7, comma 4bis, 4 della l. n. 223 del 1991, art. 5, violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 29 comma 3 e nullità della sentenza, per erronea qualificazione dei licenziamenti intimati il 17 marzo 2018 dalla Cooperativa (…), in particolare dei 21 dipendenti non sottoscrittori del verbale di conciliazione sindacale con la datrice recedente (al contrario degli altri 60, invece riassunti da (…) s.r.l., subentrante di fatto nel medesimo contratto di appalto della Cooperativa, per la stipulazione con la medesima committente (…) s.r.l., di un contratto di subappalto il 26 marzo 2018), alla stregua di licenziamenti plurimi oggettivi, anziché di licenziamento collettivo, ai sensi della l. n. 223 del 1991, art. 24 con la loro conseguente inefficacia per il mancato rispetto delle disposizioni per esso stabilite, in presenza del suddetto subentro, non integrante – in difetto di assicurazione dalla società subentrante di una parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, né di una riassunzione a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative – le condizioni previste dall’art. 7, comma 4bis D.L. cit. per la deroga alle disposizioni dell’art. 24 legge cit. Egli denuncia pertanto l’errore della Corte territoriale nel non aver valutato i licenziamenti intimati in funzione di tale subentro.

3. Con il secondo, egli deduce violazione e falsa applicazione della l. n. 604/1966 in relazione al D.L. n. 112 del 2008, artt. 7, comma 4bis conv. con mod. in l. n. 31 del 2008, 4 e l. n. 223 del 1991, art. 5, violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 29 comma 3 e nullità della sentenza per motivazione apparente, per essersi la Corte territoriale soffermata sulla sola intenzione della Cooperativa (…) di necessitato licenziamento di tutti i dipendenti per la perdita dell’unica commessa, ignorando l’effettivo nesso causale tra i licenziamenti intimati e il rifiuto di sottoscrizione dell’accordo sindacale per il passaggio di tutti i lavoratori, dalla Cooperativa a (…) s.r.l., subentrata nell’appalto di servizi; in difetto di motivazione in ordine alla legittimità dei licenziamenti collegata alla non accettazione del ridimensionamento della posizione lavorativa.

4. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati.

5. Entrambi i motivi devono preliminarmente essere ritenuti ammissibili, siccome focalizzati sull’oggetto del pregresso dibattito processuale, non avendo introdotto elementi di novità soltanto nel presente giudizio di legittimità; e pertanto: a) sulla qualificazione giuridica del recesso datoriale, se alla stregua di licenziamento plurimo oggettivo ovvero collettivo; b) sulla qualificazione giuridica dell’operazione di subentro di (…) s.r.l., con la stipulazione del contratto di subappalto del 26 marzo 2018 (di oggetto limitato al sequenziamento del materiale) con la medesima committente (…) s.r.l., alla cooperativa (…), già appaltatrice di questa con contratto di appalto decorrente dal 1 dicembre 2014 (di scarico di automezzi, controllo visivo dello stallo degli imballi e quantitativo della merce in entrata, deposito di materiale, approntamento dei materiali in aree specifiche o la loro spedizione, carico degli automezzi in partenza, sequenziamento di materiali e movimentazione di merci) di scadenza imminente (il 31 marzo 2018), alla stregua di trasferimento d’azienda; c) sulla rilevanza della sottoscrizione di un verbale di conciliazione con la Cooperativa dei lavoratori riassunti da (…) s.r.l., a differenza dei dipendenti licenziati non sottoscrittori.

5.1. Inoltre, essi denunciano in modo appropriato gli errores in iudicando illustrati, sotto il profilo del non corretto procedimento di sussunzione, integrante un problema interpretativo delle violazioni di legge oggetto di doglianza, o di falsa applicazione della legge, consistente nella riconduzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addica, perché la fattispecie astratta da essa prevista non sia idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851); non già allegando un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927).

6. Occorre allora premettere come, rispetto alla fattispecie in esame, sia del tutto inconferente, in quanto relativo a licenziamento individuale plurimo, il principio di diritto assunto a base della sentenza impugnata (tratto da Cass. 27 ottobre 2017, n. 25653, citato all’ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza), secondo cui: in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando la ragione del recesso consista nella soppressione di uno specifico servizio legato alla cessazione di un appalto e non si identifichi nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, il nesso causale tra detta ragione e la soppressione del posto di lavoro è idoneo di per sé a individuare il personale da licenziare, senza che si renda necessaria la comparazione con altri lavoratori dell’azienda e l’applicazione dei criteri previsti dalla l. n. 223 del 1991, art. 5. E ciò, per essere stato enunciato in relazione alla diversa fattispecie di “licenziamento per giustificato motivo oggettivo stante la soppressione della sua posizione lavorativa a seguito della cessazione del contratto di appalto con il Comune di (…) per il servizio di trasporto pubblico locale cui era assegnato; insieme al M. vennero licenziati anche gli altri 3 autisti impegnati nel medesimo appalto”: (Cass. 27 ottobre 2017, n. 25653, in motivazione sub p.to 1 dei fatti di causa; rilevando poi in essa il riferimento ai criteri di scelta, previsti dalla l. n. 223 del 1991, art. 5 quale parametro standard idoneo alla concretizzazione dei criteri di correttezza e buona fede, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., nell’esercizio dell’unilaterale potere selettivo datoriale coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale: in motivazione sub p.to 1).

6.1. Sono note, infatti, la distinzione e l’autonomia, dopo l’entrata in vigore della l. n. 223 del 1991, del licenziamento collettivo rispetto al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (ribadite ancora recentemente da: Cass. 10 gennaio 2023, n. 407, in motivazione sub p.to 6.3), per la caratterizzazione specifica del primo in base alle dimensioni occupazionali dell’impresa, al numero dei licenziamenti, all’arco temporale di loro intimazione e per il suo inderogabile collegamento al controllo preventivo, sindacale e pubblico, dell’operazione imprenditoriale di ridimensionamento dell’azienda (Cass. 22 marzo 2004, n. 5794; Cass. 29 ottobre 2010, n. 2267; Cass. 22 novembre 2011, n. 24566; Cass. 22 febbraio 2019, n. 5373, in motivazione sub p.to 5.1). Sicché, in particolare, la previsione, nei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, della l. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 di procedimentalizzazione puntuale, completa e cadenzata del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale sul ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda: con la conseguenza che i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo (Cass. 26 novembre 2018, n. 30550, in motivazione).

6.2. Tanto chiarito, non è vero che, avendo “i licenziamenti… riguardato tutto il personale in forza alla Cooperativa per essere venuto a scadenza il 31 marzo 2018 l’unico contratto di appalto e, quindi, l’unica commessa facente capo alla predetta Cooperativa” (così al terz’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza), comportante la cessazione della sua attività d’impresa, si verta in una condizione “al di fuori dell’ambito della riduzione o trasformazione dell’attività lavorativa con l’inevitabile conseguenza che i licenziamenti di tutti i dipendenti” siano “da qualificarsi come licenziamenti plurimi per giustificato motivo oggettivo” (come erroneamente affermato dalla Corte territoriale al penultimo capoverso di pg. 7 della sentenza).

La l. n. 223 del 1991, art. 24 comma 2 prevede, infatti, espressamente il licenziamento collettivo anche nel caso di cessazione totale dell’attività d’impresa (Cass. 19 dicembre 2008, n. 29831; Cass. 28 gennaio 2009, n. 2161; Cass. 28 ottobre 2010, n. 22033), in ogni caso rilevando, pure nella suddetta ipotesi e di unicità del criterio di scelta per tutti i lavoratori, il mancato rispetto del termine di sette giorni, previsto dall’art. 4, comma 9 legge cit., per la comunicazione dell’elenco dei lavoratori licenziati e dei criteri di scelta (Cass. 7 novembre 2018, n. 28461, tenuto conto della gradualità delle operazioni di chiusura e la permanenza, sia pur temporanea, di taluni lavoratori, finalizzata al completamento delle operazioni ultimative).

6.3. Inoltre, l’applicazione dell’art. 24 della legge in parola è espressamente esclusa – in aggiunta alle ipotesi di scadenza dei rapporti di lavoro a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e di attività stagionali o saltuarie, relativa al subentro nell’appalto di servizi – dal d.l. n. 112 del 2008, art. 7 comma 4bis conv. con mod. in l. 31 del 2008, secondo cui “nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l’applicazione delle disposizioni di cui alla l. n. 223 del 1991, art. 24 e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative”.

Esso ha però previsto che i lavoratori impiegati siano riassunti dall’azienda subentrante “a parità” di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, oppure che siano riassunti a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Sicché, solo nella ricorrenza di tali presupposti, la situazione fattuale costituisce sufficiente garanzia per i lavoratori, risultandone la posizione adeguatamente tutelata, ed esonera dal rispetto dei requisiti procedurali richiamati dalla l. n. 223 del 1991, art. 24; come confermato anche dalle dichiarate finalità della disposizione, di “favorire la piena occupazione e di garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori”, che concorrono ad individuare l’ambito dell’esonero dal rispetto della procedura collettiva (Cass. 22 novembre 2016, n. 23732, in motivazione sub p.to 3.1).

7. Appare allora evidente la necessità di un accertamento, non compiuto dalla Corte territoriale limitatasi alla drastica (ed erronea) affermazione di inapplicabilità tout court della procedura prevista dalla l. n. 223 del 1991, art. 24 della rispondenza della proposta della società ((…) s.r.l.), subentrante nell’appalto, di riassunzione dei dipendenti della precedente appaltatrice ai requisiti previsti dal d.l. n. 112 del 2008, art. 7 comma 4bis, così da giustificare il rifiuto alla nuova assunzione del ricorrente.

8. Con il terzo motivo, egli deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 c.c. e, del D.Lgs. n. 203 del 2003, 29 comma 3 (come mod. dalla l. n. 122 del 2016, art. 30), anche sotto il profilo di error in procedendo, per erronea ripartizione, in tema di un cambio di appalto, dell’onere della prova, posto a carico del lavoratore, anziché del datore, ai fini dell’accertamento della presenza di “elementi di discontinuità” determinanti “una specifica identità di impresa”, al fine di escludere un trasferimento d’azienda nell’ipotesi di acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore “dotato di una propria struttura organizzativa e operativa”: avendo la Corte territoriale reso una motivazione apparente, avulsa dalla base normativa di riferimento, rimasta estranea al suo ragionamento decisorio.

9. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 420, 421, 115, 116 c.p.c., per violazione del proprio diritto alla prova e dei principi di erronea ripartizione del relativo onere in ordine alla ricorrenza dei presupposti di un trasferimento d’azienda (a carico di chi si voglia valere dei suoi effetti, in deroga al consenso del lavoratore ceduto, ai sensi dell’art. 1406 c.c.), di disponibilità e di valutazione della prova medesima.

10. Con il quinto motivo, egli deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., per inosservanza del regime di soccombenza e compensazione nella statuizione sulle spese processuali nei due giudizi di merito.

11. Essi sono assorbiti.

12. Per le ragioni suesposte, i primi due motivi di ricorso devono essere accolti, assorbiti gli altri; con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 aprile 2023, n. 9650
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