Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 aprile 2023, n. 9728

Lavoro, Differenze provvigionali, indennità sostitutiva del preavviso e indennità suppletiva di clientela, Contratto di agenzia, Firma apocrifa, Inammissibilità

 

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello di Bologna ha respinto l’appello proposto da M.C.P. srl, confermando la pronuncia di primo grado con cui la società era stata condannata al pagamento, in favore dell’agente G.C., della complessiva somma di euro 70.482,78, a titolo di differenze provvigionali (euro 26.514,66), indennità sostitutiva del preavviso (euro 19.617,11), indennità suppletiva di clientela (euro 10.928,22), Firr (euro 262,96) e indennità ex art. 1751 bis c.c. (euro 13.159,83).

2. La Corte territoriale ha ritenuto, in base alla clausola n. 4 della lettera di incarico, che solo “le maggiorazioni di prezzo riconosciute a terzi, debitamente evidenziate e provate” fossero escluse dall’imponibile ai fini del calcolo delle provvigioni; che nella specie il “costo impianto stampa” non era oggetto di specifica indicazione e non poteva pertanto essere detratto dall’imponibile.

3. Ha escluso che la società avesse dato prova di una giusta causa di recesso (risalente al 29.3.2010) in quanto la condotta dell’agente, di incasso diretto di somme dai clienti M. srl e Azienda Agricola L.L., era molto risalente nel tempo (anni 2006/2007) e non era stata neanche invocata a giustificazione del recesso; che l’atteggiamento conflittuale e poco collaborativo dell’agente, culminato nella minaccia di presentazione di un esposto alla Guardia di Finanza per gravi irregolarità amministrative della società, era giustificato dal fatto che la società non aveva evaso le ripetute e legittime richieste del medesimo di ricevere informazioni e di avere gli estratti conto.

4. Neppure era fondato, secondo i giudici di appello, il rilievo della società, iscritta a Confindustria, di errata applicazione dell’Accordo economico collettivo (Aec) Commercio, anziché dell’Aec Industria, non avendo la stessa specificato le ricadute dell’applicazione del diverso accordo collettivo sulla concreta determinazione dell’indennità suppletiva di clientela.

5. Avverso tale sentenza la M.C.P. srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. G.C. ha resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

6. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1, Accordo Economico Collettivo 20.3.2002 agenti settore industria e degli artt. 1372 e 2697 c.c.

7. Si denuncia l’illegittima applicazione dell’Aec Commercio anziché dell’Aec Industria per la violazione del criterio secondo cui l’accordo collettivo applicabile al rapporto tra le parti è quello sottoscritto dall’associazione cui aderisce la società preponente, nel caso di specie iscritta a Confindustria. Si critica l’affermazione dei giudici di appello, di indifferente applicazione dell’uno o dell’altro accordo, assumendosi come non siano poche le differenze tra i due accordi collettivi rispetto alle voci rivendicate dall’agente.

8. Con il secondo motivo di ricorso si addebita alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1371, 1375 e 1175 c.c., per avere la stessa dato preminente rilievo ad una interpretazione letterale della clausola n. 4 del contratto di agenzia, senza procedere ad una interpretazione complessiva delle clausole, senza tener conto della intenzione dei contraenti e del canone di buona fede. Ove avesse seguito tali criteri la Corte di merito avrebbe rilevato come le provvigioni spettanti agli agenti derivano dalla promozione di prodotti della preponente e non maturano rispetto a voci di puro costo, riferite a beni (nel caso di specie, impianto di stampa) e non a prodotti.

9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1751 c.c. per avere la Corte d’appello negato che integrasse una giusta causa di recesso la condotta del C., di incasso di due assegni presso altrettanti clienti, previa apposizione sugli stessi della firma apocrifa del legale rappresentante della preponente, a nulla rilevando la mancata precisa indicazione dei motivi di recesso. Errato sarebbe, inoltre, l’assunto della Corte di tardività della contestazione avendo la società appreso della condotta illegittima dell’agente solo negli anni 2007/2008.

10. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di decisività, atteso che la società ricorrente non ha in alcun modo specificato quale disciplina sarebbe dettata dall’Aec Industria e in che cosa essa si differenzierebbe rispetto alla disciplina dall’Aec Commercio applicata nel caso di specie, ed ha anche omesso di depositare i rispettivi accordi collettivi.

11. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di censura poiché giustappone alla interpretazione del contratto, come plausibilmente eseguita dai giudici di merito, una diversa interpretazione, senza in concreto evidenziare errori o profili di illogicità della sentenza impugnata.

12. Costituisce orientamento consolidato quello secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale (nella specie del contratto di agenzia) è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma anche precisare in che modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati (Cass. 7500/2007; Cass. n. 24539/2009).

13. Inammissibile è, infine, il terzo motivo di ricorso.

14. La Corte d’appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui è stata definita la nozione legale di giusta causa (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005), applicabile anche al rapporto di agenzia (v. Cass. n. 29290 del 2019; Cass. n. 11728 del 2014), mentre le censure mosse col motivo di ricorso in esame si basano su una diversa ricostruzione in fatto che include la circostanza della firma apocrifa che si assume apposta dall’agente, di cui non vi è cenno nella sentenza d’appello. Allo stesso modo, la critica della società ricorrente (a pag. 14 del ricorso) alla statuizione d’appello sul carattere risalente degli incassi eseguiti direttamente dall’agente presso i clienti, si basa su una data in cui la stessa sarebbe venuta a conoscenza di tali condotte, diversa da quella indicata nella sentenza di secondo grado.

15. Come questa Corte ha più volte precisato (v. Cass. n. 3340 del 2019; n. 640 del 2019; n. 10320 del 2018; n. 24155 del 2017; n. 195 del 2016), l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’interpretazione della norma e quindi esula dall’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, inerendo alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità; il discrimine tra la violazione o falsa applicazione di norme e l’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.

16. Le censure esaminate, in quanto denunciano la violazione di legge prospettando una differente ricostruzione fattuale, esulano dall’ambito dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e si rivelano inammissibili.

17. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con il raddoppio del contributo unificato, se dovuto ricorrendone i presupposti processuali (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

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