Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2023, n. 11481

Lavoro, Indennità temporanea e rendita, Stress da lavoro, Conseguenzialità stress-infarto, Invalidità temporanea, Valutazioni istruttorie, Doppia conforme, Principio della parziale soccombenza, Spese di lite, Rigetto

 

Rilevato che

 

Con sentenza del 25.2.2016 n. 53, la Corte d’appello di Genova respingeva l’appello di S.B. avverso la sentenza del tribunale di Genova che aveva respinto la domanda di quest’ultimo proposta nei confronti dell’Inail, volta a sentir riconoscere in proprio favore i benefici assicurativi (indennità temporanea e rendita) in relazione a un infarto patito nel luglio 1997, allorquando lavorava alle dipendenze della G.M.G. srl quale dirigente del settore tecnico addetto alla costruzione di navi. Il ricorrente sosteneva che la causa dell’evento violento cardiaco era da individuare nello stress che aveva caratterizzato il periodo lavorativo in questione, in cui era stata ultimata, con personale limitato, una impegnativa commessa.

Il tribunale, alla luce degli accertamenti tecnici peritali svolti, ritenendo che alla conseguenzialità stress-infarto potesse ascriversi – in presenza di patologie cardiache preesistenti – solo la percentuale invalidante del 4%, respingeva la domanda.

La Corte d’appello (giudicando in sede di rinvio, in quanto, la S.C. aveva cassato la sentenza d’appello accogliendo la doglianza di S.B. sul difetto di motivazione sotto plurimi profili), da parte sua e per quanto ancora d’interesse, confermava il rigetto della domanda del B. volta ad ottenere la costituzione di una rendita, mentre teneva fermo il riconoscimento della invalidità temporanea e delle connesse provvidenze economiche, essendo passata in giudicato la relativa pronuncia.

Avverso la sentenza della Corte d’appello resa in sede di rinvio, S.B. ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, mentre l’Inail resiste con controricorso.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., in riferimento alla omessa valutazione dell’accertamento effettuato dal Prof. F.S. nell’ambito della perizia depositata in data 18.9.1999 nella distinta causa B./Impdai, accertamento che doveva ritenersi più attendibile, in quanto effettuato a distanza di poco più di un anno dall’evento infartuale, rispetto ai successivi accertamenti peritali effettuati nel 2007 e nel 2015.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce il vizio di omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., riferito alla mancata valutazione della generale asintomaticità della coronaropatia ostruttiva accertata da studi scientifici, con conseguente ipervalutazione delle preesistenze extralavorative del Sig. B..

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., per la mancata applicazione dell’art. 91 c.p.c., con riferimento alle spese del giudizio di cassazione (nel quale il ricorrente era risultato vincitore) e alle spese della CTU espletata in sede di rinvio e non decisiva.

I primi due motivi, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono inammissibili, perché in primo luogo, deducono il vizio motivazionale in presenza di una doppia decisione cd. conforme, cioè basata sui medesimi fatti che sono stati posti a fondamento della decisione di primo e secondo grado ed in secondo luogo, perché sollevano censure di merito (in particolare sulle valutazioni istruttorie) di competenza esclusiva del giudice del merito e non deducibili nell’ambito del giudizio di legittimità, se non in ristretti limiti non ricorrenti nella specie (Cass. n. 27000/16).

Il terzo motivo è infondato. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole” (Cass. n. 13356/21).

Nel caso di specie, la Corte del merito, nel disporre la compensazione parziale delle spese processuali e la condanna delle ulteriori spese di ctu, ha applicato legittimamente il principio della parziale soccombenza codificato dall’art. 91 c.p.c., conformemente all’orientamento costante di questa Corte.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo già versato a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso

Condanna il ricorrente a pagare all’Inail le spese di lite, che liquida nell’importo di € 3.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.

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