Non possono fruire del regime di favore previsto dall’art. 44 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 i docenti e i ricercatori che acquisiscono la residenza fiscale in Italia successivamente all’instaurazione del rapporto di lavoro in assenza di uno stretto collegamento logico e fattuale tra l’inizio dell’attività di docenza o ricerca in Italia e l’acquisizione della residenza anagrafica nel territorio dello Stato.

Nota AdE Risposta, 11 ottobre 2018, n. 33

Marialuisa De Vita

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 33 dell’11 ottobre 2018, ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’ottenimento del requisito della residenza fiscale previsto dall’art. 44 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 per usufruire degli incentivi per il rientro in Italia di docenti e/o ricercatori residenti all’estero.

Con la disposizione citata, il legislatore – al fine di attrarre in Italia talenti e risorse umane qualificate – ha previsto una sostanziale detassazione dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia per lo svolgimento dell’attività di docenza e di ricerca. Tali redditi, infatti, concorrono alla formazione del reddito complessivo solo nella misura del 10% del loro ammontare. Il beneficio interessa i docenti e i ricercatori in possesso di determinati requisiti che, dal 31 maggio 2010, vengono a svolgere la loro attività in Italia.

In dettaglio, i docenti e i ricercatori possono beneficiare della tassazione agevolata in presenza delle seguenti condizioni:

– possesso di un titolo di studio universitario o equiparato;

– residenza all’estero non occasionale;

– svolgimento, per almeno due anni continuativi, di documentata attività di ricerca o docenza presso centri di ricerca pubblici o privati o università;

– trasferimento in Italia per continuare a svolgere attività di docenza o ricerca;

– conseguente acquisizione della residenza fiscale in Italia.

Tale regime si applica a decorrere dal periodo di imposta in cui il docente e/o il ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei tre periodi di imposta successivi.

Nel caso di specie, un ricercatore aveva svolto dal 2011 attività di ricerca in USA, in Olanda e in Gran Bretagna. Ad ottobre 2015 stipulava un contratto di lavoro a tempo determinato con una società italiana. Alla stipula del contratto di lavoro il ricercatore, però, non faceva seguire l’acquisizione della residenza anagrafica in Italia (e, quindi, della residenza fiscale dal periodo di imposta 2016), continuando a svolgere la propria attività all’estero fino a settembre 2017. La residenza anagrafica in Italia veniva acquisita attraverso l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente solo nel settembre 2017, e, dunque, ben due anni dopo l’instaurazione del rapporto di lavoro con la società italiana.

L’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 33/2018 ha escluso, per questo caso, la possibilità per il ricercatore di beneficiare, a decorrere dal periodo di imposta 2018, del regime di favore in commento.

Secondo la risposta de qua (e già secondo la Circolare 23 maggio 2017, n. 17/E), posto che “la norma prevede espressamente che il docente o il ricercatore acquisisca la residenza fiscale nel territorio dello Stato […] in conseguenza dello svolgimento della attività lavorativa in Italia”, ne discende che il rientro in Italia per lo svolgimento dell’attività di docenza e ricerca debba essere necessariamente seguito dall’acquisizione della residenza fiscale nel territorio dello Stato.

La risposta rammenta, inoltre, che, ai sensi dell’art. 2 del TUIR, si considerano fiscalmente residenti in Italia “le persone che per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.

Pertanto – precisa l’Agenzia – per fruire del regime in esame non è sufficiente che il soggetto sia fiscalmente residente in Italia, ma è necessario che l’acquisizione della residenza fiscale sia conseguenza dello svolgimento dell’attività di docenza o ricerca nel territorio dello Stato. Occorre, in altre parole, che vi sia uno stretto collegamento tra i due eventi. È stata proprio la distanza temporale tra il verificarsi dell’inizio dell’attività lavorativa e l’acquisizione della residenza anagrafica (e, per l’effetto, di quella fiscale) in Italia che ha indotto, nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate ad escludere il contribuente dal regime agevolativo. Si legge, infatti, nella risposta n. 33 che “il rientro in Italia nel settembre 2017, coincidente con l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente[…] intervenuta successivamente all’instaurarsi del rapporto di lavoro […] in Italia, fa si che non sia ravvisabile un nesso tra i due eventi e, quindi, non risulta soddisfatta la vis attrattiva della norma”.

In definitiva, non possono fruire del regime di favore previsto dall’art. 44 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, i docenti e i ricercatori che acquisiscono la residenza fiscale in Italia successivamente all’instaurazione del rapporto di lavoro in assenza di uno stretto collegamento logico e fattuale tra l’acquisizione della residenza anagrafica in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa di docenza e/o ricerca.

Regime fiscale agevolato per il rientro di docenti e ricercatori: occorre un collegamento tra l’acquisizione della residenza fiscale in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa
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