Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 novembre 2019, n. 28931

Nullità del termine apposto al contratto, Rapporto di lavoro
a tempo indeterminato, Recesso, Indennità a titolo risarcitorio

Fatto

 

Con sentenza del 21 maggio 2014, la Corte d’appello
di Napoli rigettava l’appello proposto da E. s.r.l. avverso la sentenza di
primo grado, che aveva: dichiarato la nullità del termine apposto al contratto
di lavoro dalla medesima stipulato con T.A. dal 1° aprile al 30 settembre 2005
e la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
dalla prima data a quella di risoluzione (per dimissioni del lavoratore) del 7
giugno 2005, con la condanna della datrice al pagamento, a titolo risarcitorio,
di un’indennità pari a 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
ed inoltre accertato l’esistenza tra le stesse parti di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato dal 3 aprile 2006, ordinato alla società la reintegrazione
del dipendente e condannato la medesima al pagamento, in suo favore a titolo
risarcitorio, delle retribuzioni globali di fatto percepite dalla comunicazione
di recesso (qualificata licenziamento) del 17 luglio 2006 alla reintegrazione
effettiva, oltre accessori e versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.

Preliminarmente disattesa l’eccezione di inesistenza
della notificazione dell’appello, la Corte territoriale riteneva corretta la
liquidazione dal Tribunale dell’indennità risarcitoria a norma dell’art. 32, quinto comma I. 183/2010,
nonostante il recesso del lavoratore ante tempus dal contratto di lavoro a
tempo determinato convertito.

Inoltre, sulla previa condivisione dell’accertata
natura di rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti dal 3 aprile
2006 (per nullità, in difetto di progetto, del contratto di collaborazione tra
le stesse fino al 3 ottobre 2006 e pertanto ai sensi dell’art. 69 d.Ig. 276/2003) e della
qualificazione come licenziamento della comunicazione di recesso della società
del 17 luglio 2006, la Corte partenopea ribadiva, siccome corretta, la
liquidazione al lavoratore del risarcimento del danno nella misura suindicata,
in difetto di prova dalla società datrice della chiusura aziendale nel periodo
invernale.

Con atto notificato il 15 dicembre 2014, la società
ricorreva per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resisteva il lavoratore con
controricorso. A seguito di omissione dell’avviso di udienza ai difensori di
T.A. (ma soltanto a quelli nuovi invalidamente costituiti), dalla precedente
del 5 dicembre 2018 la causa era rinviata a nuovo ruolo e quindi rifissata
all’odierna udienza di discussione. Per il medesimo si costituiva il nuovo
difensore avv. R.R., in sostituzione dei precedenti, revocati.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce
violazione o falsa applicazione dell’art. 32, quinto comma I. 183/2010,
per erronea liquidazione dell’indennità forfettizzata (spettante per il periodo
cosiddetto “intermedio”, dalla scadenza del termine dichiarato nullo
alla sentenza di conversione del rapporto a tempo indeterminato) al lavoratore
subordinato a tempo determinato che abbia da esso receduto (per dimissioni
dovute a ragioni personali) anticipatamente rispetto alla scadenza del termine.

2. Con il secondo, essa deduce nullità della
sentenza per vizio di motivazione, illogica ed incomprensibile, per avere la
Corte territoriale liquidato al lavoratore il risarcimento del danno in misura
pari alle retribuzioni globali di fatto percepite dalla comunicazione di
recesso (ancorché qualificata licenziamento) del 17 luglio 2006 alla
reintegrazione effettiva, pure in assenza di una prestazione lavorativa da
ottobre a marzo, periodo di comprovata interruzione dell’attività alberghiera
(cui egli era addetto in quanto impiegato alla reception) e riduzione di quella
di ristorazione soltanto al sabato e alla domenica.

3. Il primo motivo, relativo a violazione o falsa
applicazione dell’art. 32, quinto
comma I. 183/2010 per erronea liquidazione dell’indennità forfettizzata a
lavoratore a termine receduto ante tempus, è fondato.

3.1. Deve essere qui ribadito, infatti, il condiviso
principio di diritto già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di
contratti di lavoro a tempo determinato, nell’ipotesi di cessazione del
rapporto prima della scadenza del termine nullo, va escluso il riconoscimento,
in favore del lavoratore che abbia conseguito la declaratoria di conversione in
contratto di lavoro a tempo indeterminato, dell’indennità ai sensi dell’art. 32 I. 183/2010, poiché
quest’ultima spetta solo per il periodo cosiddetto “intermedio”,
ossia compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con
il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (Cass. 14 giugno 2019, n. 16052).

4. Il secondo motivo, relativo a nullità della
sentenza per illogicità e incomprensibilità della motivazione per liquidazione
al lavoratore del risarcimento del danno anche per il periodo non lavorato a
causa di interruzione dell’attività alberghiera in cui impiegato alla
reception, è invece infondato.

4.1. Non sussiste il vizio di nullità della sentenza
denunciato, in violazione dell’art. 132, secondo
comma, n. 4 c.p.c., poiché non è stata omessa la motivazione, non
risultando essa priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata
la decisione (Cass. 16 luglio 2009, n. 16581; Cass. 10 agosto 2017, n. 19956).
E neppure è stata totalmente omessa, per materiale mancanza, la parte della
motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e
comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione (Cass. 10
novembre 2010, n. 22845; Cass. 22 giugno 2015, n. 12864), posto che la concisa
esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa
non costituisce un elemento meramente formale, bensì requisito da apprezzare
esclusivamente in funzione di intelligibilità della decisione e della
comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura
motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli
elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass. 20 gennaio
2015, n. 920).

4.2. Nemmeno si configura, alla luce del novellato
testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.,
alcuna delle ipotesi (che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. dando luogo a
nullità della sentenza) di contraddittorietà e mera apparenza della motivazione
della sentenza di merito impugnata, restando il sindacato di legittimità sulla
motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo
costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto
comma Cost., individuabile nei casi di “mancanza della motivazione
quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di
“motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile
contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od
incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può
essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia
formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una
diversa soluzione della controversia (Cass. s.u. 7
aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940)

4.3. Né, infine, si realizza una nullità processuale
deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 4 c.p.c. in conseguenza dell’assoluta inidoneità della
motivazione ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni
della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente
incomprensibile (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598).

4.4. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha
più che adeguatamente motivato la spettanza al lavoratore del risarcimento del
danno anche per i mesi invernali sulla base delle scrutinate risultanze
processuali (per le ragioni indicate negli ultimi due capoversi di pg. 7), non
essendo la loro valutazione suscettibile di contestazione in sede di
legittimità, né potendo ivi essere sollecitato un riesame del merito (Cass. 19
marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013,
n. 24679), tanto meno alla luce del già richiamato testo novellato dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., dal cui più
rigoroso ambito devolutivo è esclusa la valutazione delle risultanze
istruttorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053;
Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12
ottobre 2017, n. 23940).

5. Dalle superiori argomentazioni discende allora
l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con rigetto del secondo,
comportante la cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto e, con
decisione nel merito in assenza di necessità di ulteriori accertamenti in fatto
a norma dell’art. 384, secondo comma, ultima parte
c.p.c., rigetto della domanda risarcitoria del lavoratore conseguente
all’accertamento di nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo
determinato tra le parti dal 1° aprile al 30 settembre 2005.

In ragione dell’esito processuale, le spese dei
gradi di merito e del giudizio di legittimità devono essere compensate tra le
parti in misura della metà e la residua metà liquidata in favore del
lavoratore, prevalentemente vittorioso: senza alcuna distrazione, essendo
venuta meno, con la revoca dei difensori antistatari sostituiti dal nuovo, la
loro richiesta.

 

P.Q.M.

 

accoglie il primo motivo, rigetta il secondo; cassa
la sentenza, in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la
domanda risarcitoria del lavoratore conseguente all’accertamento di nullità del
termine del contratto a tempo determinato tra le parti dal 1° aprile al 30
settembre 2005; compensa tra le parti in misura di metà le spese dei gradi di
merito e del giudizio di legittimità, ponendo la residua metà a carico della
società, liquidate per l’intero: in € 5.800,00 per onorari e diritti e € 200,00
per esborsi per il primo grado; in € 3.960,00 per compensi professionali e €
200,00 per esborsi per il grado d’appello; in € 5.000,00 per compensi
professionali e € 200,00 per esborsi per il giudizio di legittimità; tutte
oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

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