Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 novembre 2019, n. 29427

Procedura di mobilità, Licenziamento, Comunicazione di avvio
della procedura di mobilità, Criteri di scelta, Graduatorie, Assegnazione
punteggi analitici

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 2958 depositata il 14.12.2017 la
Corte di appello di Bari, in riforma della pronuncia del Tribunale di Foggia,
ha respinto la domanda di R.C. proposta per la declaratoria di illegittimità
del licenziamento intimato dalla società L.D.M. s.p.a., in data 23.7.2015,
nell’ambito di una procedura di mobilità.

2. La Corte distrettuale, respinte le eccezioni
preliminari concernenti il rituale svolgimento del rito c.d. Fornero, ha
ritenuto – alla luce delle risultanze documentali tempestivamente versate in atti
– infondato il dedotto vizio di carenza della comunicazione di avvio della
procedura di mobilità all’unico RSA in carica, rilevando, inoltre, la
puntualità e completezza della suddetta comunicazione (corredata da allegati
contenenti sia la legenda esplicativa dei criteri di scelta, sia le graduatorie
con l’assegnazione dei punteggi analitici a ciascun lavoratore) e la
correttezza del punteggio attribuito alla C. (assunta, a tempo indeterminato,
solamente nel 1997).

3. Per la cassazione della sentenza impugnata la
lavoratrice propone ricorso fondato su sette motivi, illustrato da memoria. La
società oppone difese con controricorso ed ha depositato memoria di
costituzione di nuovo difensore.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con i primi tre motivi di ricorso la ricorrente
denunzia vizi procedurali e, in particolare, violazione e falsa applicazione
degli artt. 1, commi 48 e 52,
della legge n. 92 del 2012, 414, 416, 291, 421, 435,
cod.proc.civ. e altresì dell’art. 16 bis
del d.l. n. 245 del 2012, nonché vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto ritualmente instaurato il
procedimento c.d. Fornero nonostante la tardività sia della costituzione della
società nell’ambito della fase sommaria avanti al Tribunale sia della notifica
del decreto di fissazione dell’udienza in sede di reclamo, nonché la
costituzione cartacea – e non telematica – in sede di opposizione.

5. Con i successivi tre motivi la ricorrente
denunzia violazione degli artt.
4, 5 e 24 della legge n.
223 del 1991 nonché vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere regolarmente inviata
all’unico RSA in carica (nonostante sua successiva regolare partecipazione a
tutti gli incontri previsti nell’ambito della procedura di mobilità) la
comunicazione di avvio della procedura, posto che dall’allegato 4 prodotto
dalla società risulta solamente la consegna a mano a tale rappresentante
sindacale dell’atto di avvio ma manca prova della notifica di detto atto. In ordine
alla completezza della comunicazione di avvio della procedura, la società si è
limitata ad una riduzione di 5 unità lavorative senza alcuna indicazione delle
qualifiche e dei livelli professionali del personale eccedente nonché del
personale abitualmente impiegato, omettendo i motivi tecnici organizzativi
della riduzione del personale, i tempi di attuazione del programma, la
correlazione causale tra motivi e posti di lavoro in esubero, le misure
alternative ed i motivi dell’impossibilità della loro adozione, i criteri di
scelta dei lavoratori. La società non ha, inoltre, provato la corretta
applicazione dei criteri di scelta dettati dall’art. 5 della legge n. 223 del 1991,
limitandosi a richiamare apoditticamente e genericamente la comunicazione
inviata ai rappresentanti sindacali, e attribuendo, fra l’altro, un errato
punteggio alla C. avendo preso a riferimento l’anno 1997 quale data di
assunzione e non l’anno 1994 (in considerazione di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato durato da luglio a dicembre 1994 e da una successiva
assunzione, a tempo determinato, nel maggio 1996 trasformata in rapporto a
tempo indeterminato nell’ottobre 1997).

6. Con il settimo ed ultimo motivo la ricorrente
denunzia violazione dell’art. 6, comma 5 bis,
della legge n. 236 del 1993 nonché vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte territoriale, omesso qualsiasi statuizione in ordine al
principio di discriminazione, da rispettarsi nel corso delle procedure di
mobilità, violato dalla società che ha provveduto a licenziare, nel reparto di
Geriatria a lungo degenza, una percentuale di lavoratrici (50%) superiore
rispetto alla percentuale (36%) imposta in relazione alla compagine, femminile
e maschile, dell’organico, ossia avendo licenziato 2 lavoratrici a fronte del
totale del personale di sesso femminile pari a 4 (D.G., P., T., C.) su un
personale complessivo, maschile e femminile, pari a 11.

7. I primi tre motivi di ricorso sono infondati.

7.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il
giudizio introdotto dalla cd. legge Fornero è un nuovo rito speciale
finalizzato all’accelerazione dei tempi del processo, che si caratterizza per
l’articolazione del giudizio di primo grado in due fasi: una a cognizione
semplificata (o sommaria) e l’altra, di opposizione, a cognizione piena nello
stesso grado. Mentre la prima fase è connotata, ancorché il ricorso debba avere
i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., dalla
mancanza di formalità, in assenza del rigido meccanismo di decadenze e
preclusioni stabilito dagli artt. 414 e 416 cod.proc.civ. e con un’istruttoria
semplificata, limitata agli “atti di istruzione indispensabili”, la
seconda fase è invece introdotta con un ricorso in opposizione e ispirata in
linea di massima al modello ordinario, a cognizione piena con tutti gli
“atti di istruzione ammissibili e rilevanti”. Sicché, dopo una fase
iniziale concentrata e deformalizzata – mirata a riconoscere, sussistendone i
presupposti, al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata e ad
assegnargli un vantaggio processuale (da parte ricorrente a parte eventualmente
opposta), ove il fondamento della sua domanda risulti prima facie sussistere
alla luce dei soli “atti di istruzione indispensabili” – il
procedimento si riespande, nella fase di opposizione, alla dimensione ordinaria
di cognizione piena con accesso per le parti a tutti gli “atti di
istruzione ammissibili e rilevanti” (cfr. Cass. n. 27655 del 2017 e da
ultimo Cass. n. 19579 del 2019).

7.2. Questa Corte ha, inoltre, affermato –
nell’alveo dei principi innanzi esposti – che nel rito cd. Fornero, il giudizio
di primo grado, pur unitario, si articola in due fasi procedimentali e
l’introduzione della fase di opposizione richiede un’autonoma costituzione
delle parti, come è dimostrato dal fatto che l’art. 1, commi 51 e 53, della I. n. 92
del 2012 preveda a loro carico gli stessi incombenti che caratterizzano
l’introduzione del giudizio nel rito del lavoro; ne consegue che il ricorso in
opposizione può essere depositato in forma cartacea, non ricorrendo i
presupposti per l’applicazione dell’art. 16-bis del d.l. n. 179 del 2012
(conv., con modif., in I. n. 221 del 2012),
secondo cui il deposito degli atti processuali delle parti precedentemente
costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche (Cass. n. 2930 del
2019).

7.3. Infine, con riguardo al prospettato vizio della
notificazione del reclamo (relativo all’effettuazione della stessa senza il
rispetto dei termini previsti dall’art.
1, comma 52, della legge n. 92 del 2012: notifica del reclamo effettuata
oltre il termine stabilito nel decreto di fissazione dell’udienza, con
violazione del termine minimo a difesa di 30 giorni) il ricorrente invoca la
violazione di un paradigma legale non attinente alla fase procedimentale
oggetto della censura (reclamo), chiedendo l’applicazione di una regola
procedimentale dettata per la (precedente) fase dell’opposizione.

Con riguardo alla norma invocata dal ricorrente,
questa Corte ha affermato che in sede di notificazione del ricorso in
opposizione, ex art. 1, comma 51,
legge n. 92 del 2012, il mancato rispetto del termine a difesa non dà luogo
ad inesistenza della notificazione, ma solo alla nullità della stessa, che la
rende suscettibile di sanatoria o mediante la costituzione della parte
appellata o mediante la sua rinnovazione ex art.
291 c.p.c. (Cass. n. 16154 del 2015, Cass. n. 27395 del 2016).

Il vizio è dunque riconducibile all’istituto della
nullità (in ragione dell’insegnamento di Cass.,Sezioni Unite, n. 14916 del
2016: l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è
configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti
processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza
materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere
un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere
riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra
ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità), che,
comunque, risulta sanata dal raggiungimento dello scopo, essendosi – la C. –
costituita regolarmente a seguito di rinnovo della notifica del reclamo. Né è
stata prospettata alcuna specifica e circostanziata compromissione del proprio
diritto di difesa.

Le Sezioni Unite, hanno, altresì, precisato, per
completezza, che il detto effetto sanante ex tunc prodotto dalla costituzione
del convenuto – la quale non è mai tardiva, poiché la nullità della
notificazione impedisce la decorrenza del termine, opera anche nel caso in cui
la costituzione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullità.

Va, altresì, rammentato che – con riguardo a
disposizione normativa diversa da quella invocata dal ricorrente, ossia all’art. 435, comma 3, cod.proc.civ. che regola la
proposizione dell’appello nel rito del lavoro – questa Corte ha ripetutamente
affermato che la violazione del termine non minore di 25 giorni che deve
intercorrere tra la data di notifica dell’atto di appello e quella dell’udienza
di discussione, non comporta l’improcedibilità dell’impugnazione, bensì la
nullità di quest’ultima, sanabile “ex tunc” senza che sia necessario
giustificare il ritardo, essendo possibile avvalersi della spontanea
costituzione dell’appellato o della rinnovazione disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c. (cfr. da ultimo Cass., ord., n. 22166 del 2018).

8. I motivi dal quarto al sesto sono inammissibili.

In linea generale, va osservato che, nonostante il
formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nella prima parte
dell’intestazione del motivo di ricorso, tutte le censure si risolvono nella
denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione
del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il
ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non
conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della
vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza
giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del
merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una
autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti
il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura
delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito
(vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio
2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37;
Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio
2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

La sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012)
ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con
modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134).

L’intervento di modifica, come recentemente
interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza
n. 8053/2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di
controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va
circoscritto al “minimo costituzionale”, ossia al controllo sulla
esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e
sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e
dell’illogicità manifesta)”.

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la
motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a
giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o
contraddittori.

La Corte distrettuale ha rinvenuto “la rituale
comunicazione di avvio della procedura di riduzione del personale … alle
Rappresentanze Sindacali Aziendali, all’unico Rappresentante Sindacale
Aziendale (in carica) nonché alle istituzioni previste dalla norma. Dagli atti
di causa emerge, a riprova del regolare avvio della procedura, che le stesse
parti sindacali in riscontro hanno richiesto, in data 16/6/2015, il rituale
esame congiunto e che in data 23/6/2015 si è tenuto effettivamente l’esame
congiunto; alla suddetta riunione, tra gli altri, ha partecipato anche il
Rappresentante Sindacale Aziendale. È comprovato, pertanto, che la società ha
fornito le informative previste dalla legge ai soggetti legalmente deputati a
rappresentare i lavoratori”.

La Corte ha, poi, rilevato che “quanto alla
dedotta violazione dei criteri di scelta ai sensi degli artt. 5 e 24 della L. n. 223/1991,
rileva il collegio che dagli allegati alla comunicazione ex art. 4, comma 9, L. n. 223/1991
emerge sia la legenda esplicativa dei criteri sia le graduatorie con
l’assegnazione di punteggi analitici a ciascun lavoratore. Non sussiste la
lamentata genericità dell’indicazione dei criteri di scelta. … Nella tabella
si stabiliscono i punti attribuibili a ciascun lavoratore per l’anzianità di
servizio e per il carico familiare, stabilendo anche i criteri di scelta in
caso di parità di punteggio. Vi è poi l’elenco dei lavoratori in separata
tabella con i punteggi acquisiti da ogni dipendente”.

Infine, con riguardo al punteggio attribuito alla
C., la Corte ha sottolineato che “correttamente la società ha tenuto conto
dell’anzianità di servizio calcolando come data di assunzione il 1.10.1997. Ed
invero, prima del 1997, la ricorrente ha lavorato presso la casa di cura con
contratto a tempo determinato e, pertanto, dell’anzianità maturata in tale
veste correttamente la D. non ha tenuto conto”.

Non risulta, in violazione del principio di
specificità dei motivi di ricorso per cassazione, trascritto nel ricorso il
contenuto dell’accordo stipulato in sede di procedura di mobilità, con
particolare riguardo al criterio dell’anzianità di servizio, né sono stati
forniti al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione
e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto
il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio
dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11
aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n.
22726).

9. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile.

Della questione non vi è traccia nella sentenza
impugnata, né la ricorrente indica in alcun modo se, con quale atto e in che
termini la questione stessa sia stata eventualmente riproposta in sede di
reclamo.

In tema questa Corte ha ripetutamente affermato che
“nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di
nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini
ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a meno che tali
questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e
rituale contestazione nel giudizio di appello” (v. Cass. n. 9812 del 2002,
Cass. n. 13819 del 1999). Nel contempo è stato anche precisato che “nel
caso in cui una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento
di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il
ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine
di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha
l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di
merito, indicando altresì in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto,
così da permettere alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la
veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione
stessa” (v. Cass. nn. 12571 e 1435 del 2013; Cass. n. 20518 del 2008;
Cass. n. 2331 del 2003, Cass. n. 9336 del 2001).

Peraltro per superare la presunzione di rinuncia e,
quindi, la decadenza ex art. 346 cod.proc.civ.,
è necessario che “la parte vittoriosa in primo grado, che abbia però visto
respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi
difensivi” manifesti “in maniera esplicita e precisa la propria
volontà di riproporre la domanda o le eccezioni respinte” (v. fra le altre
Cass. n. 14267 del 1999, Cass. n. 13401 del 2004).

Orbene nel caso in esame la ricorrente lamenta in
questa sede il mancato esame del motivo di impugnazione del licenziamento per
violazione del divieto di discriminazione posto dall’art. 6, comma 5bis, della legge n. 236 del 1993,
richiamando genericamente sia atti dalla stessa redatta (il ricorso
introduttivo della fase sommaria e le memorie di costituzione redatte in sede
di opposizione e di reclamo) sia atti redatti dalla controparte (la memoria di
costituzione in sede sommaria, il ricorso in opposizione e il reclamo), in
particolare senza alcuna trascrizione (nemmeno un accenno) della narrativa
della memoria depositata in sede di reclamo e, dunque, nulla specifica in
ordine ad una chiara e precisa riproposizione della relativa questione in
appello (rectius reclamo).

10. Alla luce delle considerazioni esposte il
ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza
dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

8. Occorre dare atto della sussistenza dei
presupposti processuali di cui all’art.
13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro
200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre alle
spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello – ove dovuto – per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 novembre 2019, n. 29427
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