Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 novembre 2019, n. 30421

Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, Calcolo
della pensione di vecchiaia, Contributo minimo e contributo integrativo

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’Appello di Roma, per quello che qui
ancora rileva, confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che
aveva respinto la domanda riconvenzionale con la quale la Cassa Nazionale di
Previdenza e Assistenza Forense aveva chiesto di dichiarare l’inefficacia ai
fini del calcolo della pensione di vecchiaia liquidata all’avv. A.D.N. degli
anni 2000 e 2001, per i quali il pagamento dei contributi non era stato
integrale, difettando, in particolare, il contributo minimo e una parte del
contributo integrativo, che non potevano essere recuperati in quanto
prescritti.

2. La Corte territoriale richiamava l’arresto di
questa Corte n. 5672 del 2012, che aveva
rilevato che nessuna norma della legge professionale prevede, così come invece
avviene per i lavoratori dipendenti, che l’annualità non possa essere
accreditata ove i versamenti contributivi siano inferiori al dovuto.

3. Per la cassazione della sentenza la Cassa
Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha proposto ricorso, affidato ad
un unico motivo, cui A.D.N. non ha opposto attività difensiva.

 

Considerato in diritto

 

4. A fondamento del ricorso la Cassa deduce la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 10 e 11 della I. 20.9.1980 n. 576.

Sostiene che la soluzione sposata dalla Corte
territoriale si porrebbe in contrasto con l’art. 2 richiamato, che,là ove
prevede che la pensione debba essere corrisposta a coloro che abbiano almeno
trent’anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa, farebbe
riferimento alla contribuzione integrale, comprendente sia il contributo
soggettivo ex art. 10 della I.
n. 576 del 1980, commisurato al reddito Irpef, sia il contributo
integrativo ex art. 11,
commisurato al volume d’affari ai fini IVA.

5. Sostiene che l’interpretazione adottata dal
giudice di merito violerebbe gli artt. 2, 3 e 38 della
Costituzione in quanto contrasta con i basilari canoni di ragionevolezza ed
idoneità allo scopo che devono presiedere all’interpretazione della legge in
materia di previdenza e assistenza, cioè nel caso la parità di trattamento tra
i vari avvocati iscritti alla Cassa Forense, perché questa evenienza, nel
momento in cui va a scapito della Cassa, va a scapito degli altri avvocati,
così ledendo il principio di solidarietà.

6. Aggiunge che dopo il 2005 è stata emanata una
norma che prevede l’inefficacia a fini pensionistici dell’anno oggetto di
omissione contributiva, anche parziale, contenuta nel “Regolamento per la
costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione
di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione” deliberato dal
Comitato dei delegati del 16.12.2005 e approvato con delibera interministeriale
del 24.7.2006, pubblicato in G.U. del 16.8.2006, successivamente modificato in
“Regolamento per il recupero di anni resi inefficaci a causa di parziale
versamento di contributi per i quali sia intervenga la prescrizione”
deliberato da Comitato dei delegati del 23.9.2011 e approvato con delibera
interministeriale del 27.12.2011.

7. Chiede a questa Corte, nel caso in cui ritenga
corretta l’opzione interpretativa adottata dal giudice di merito, di sollevare
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della I. n. 20.9.1980 n.
576, per violazione degli artt. 2, 3 primo comma e 38
della Costituzione.

8. Il ricorso non è fondato.

Questa Corte, nella sentenza
n. 5672 del 10/04/2012, ha chiarito che nessuna norma della previdenza
forense prevede che la parziale omissione del versamento dei contributi
determini la perdita o la riduzione dell’anzianità contributiva e
dell’effettività di iscrizione alla Cassa, giacché la normativa prevede solo il
pagamento di somme aggiuntive. L’unico aggancio normativo reperibile è quello
di cui al citato art. 2 della
I. 576 del 1980, come sostituito dall’art. 1 della I. 11 febbraio 1992, n.
141, che prevede che la pensione di vecchiaia «è pari, per ogni anno di
effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più
elevati dieci redditi professionali…». Tuttavia il termine «effettivo» non
può interpretarsi come precettivo del fatto che la contribuzione debba essere
«integrale», in quanto la comune accezione del termine non fa alcun riferimento
ad una «misura».

L’aggettivazione usata sta invece ad indicare che la
pensione si commisura sulla base della contribuzione «effettivamente» versata,
escludendo così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione,
principio che vige invece per il lavoro dipendente e che è ovviamente
inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti, in cui l’iscritto e
beneficiario delle prestazioni è anche l’unico soggetto tenuto al pagamento
della contribuzione. L’ obbligo contributivo gravante sul professionista si
compone di un contributo soggettivo (L. n. 576 del 1980, art. 10)
commisurato al reddito Irpef e determinato sulla base dì scaglioni di reddito,
con una misura minima predeterminata ed un contributo integrativo (art. 11) ossia una
maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume
annuale d’affari ai fini dell’IVA; nessuna disposizione della legge
professionale prescrive che l’annualità non possa essere accreditata, ove i
versamenti siano inferiori ad una determinata soglia, non vi è quindi la regola
del c.d. minimale per la pensionabilità, come invece previsto per i lavoratori
dipendenti (cfr. L. n. 638 del
1983, art. 7). È pur vero che con questo meccanismo si finisce con il
computare sia ai fini della anzianità contributiva prescritta, sia ai fini
della misura della pensione, anche gli anni in cui si è versato meno del dovuto
e che detto minore versamento potrebbe anche non influire sull’ammontare della
prestazione, andando così a scapito della Cassa, dal momento che allo scopo,
come si è detto; rileva la media dei 10 redditi professionali più elevati di
cui alle dichiarazioni dei redditi del quindicennio anteriore alla pensione.
Tuttavia sembra questo un effetto ineliminabile della mancanza, nell’ambito
della legge professionale, di una disposizione che ricolleghi alla parziale
omissione contributiva, l’annullamento sia di quanto versato, sia dell’intera
annualità.

Tale soluzione, cui occorre dare continuità, è stata
poi ribadita da Cass. n. 26962 del 02/12/2013
e da Cass. n. 7621 del 15/04/2015.

9. Non induce a diversa considerazione l’argomento
della Cassa per il quale, a seguire la soluzione indicata dalle pronunce
richiamate, basterebbe il versamento di un minimo contributo, perché il
professionista si veda conteggiato l’intero anno di contribuzione, con
conseguenti riflessi negativi sull’intera categoria dei professionisti
iscritti, e ciò in aperta contraddizione con la logica della previdenza
professionale, improntata a principi solidaristici. Si rileva però in primo luogo
che per quanto sopra si è detto sulle modalità di calcolo della pensione, la
minore contribuzione versata potrebbe influire sull’ammontare della
prestazione. Inoltre, si tratta di un inconveniente dovuto, come già
sottolineato nelle predette sentenze, alla mancanza, nell’ambito della legge
professionale, di una disposizione che preveda espressamente l’annullamento
della contribuzione versata e della relativa annualità in caso di parziale
omissione. Esso è comunque frutto di una patologia del sistema, superabile
attraverso l’adozione di più rigorosi controlli sulle comunicazioni e sulle
dichiarazioni inviate dagli iscritti, al fine di procedere tempestivamente a
recupero di quanto dovuto e non versato, in un’ottica di prevalenza
dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto a quella dell’esatta
corrispondenza, senza limiti di tempo, delle annualità oggetto di contribuzione
rispetto a quelle computabili ai fini pensionistici, che pertanto non appare
collidere con il principio di uguaglianza, né ledere il principio di
solidarietà che impronta il sistema previdenziale.

10. Non vi è luogo ad esaminare gli effetti del
«Regolamento per la costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di
parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione»
deliberato dal Comitato dei delegati del 16.12.2005 e approvato con delibera
interministeriale del 24.7.2006, non risultandone l’applicabilità alla
fattispecie ratione temporis, considerato che le previsioni di detto
Regolamento non possono che applicarsi alle pensioni liquidate successivamente
alla sua entrata in vigore e, nel caso, si legge a pg. 5 del ricorso che la
pensione di vecchiaia è stata erogata al ricorrente dal 1.4.2004.

11. Segue coerente il rigetto del ricorso.

12. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in
assenza di attività difensiva della parte intimata.

13. L’esito del giudizio determina la sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30
maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13, ove dovuto.

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