Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 gennaio 2020, n. 1

Trasferimento gruppo di lavoratori iscritti allo stesso
sindacato, Natura discriminatoria, Nozione di discriminazione diretta e
indiretta, D.Lgs. n. 216/2003, Convinzioni
personali, Discriminazione per motivi sindacali, Divieto di atti o
comportamenti idonei a realizzare una diversità di trattamento o un pregiudizio
in ragione dell’affiliazione o della partecipazione del lavoratore ad attività
sindacali, Onere probatorio

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del
21.11.2014, respingeva il gravame proposto da S.L.A.I. Cobas – Sindacato
Lavoratori Autorganizzati Intercategoriale – avverso la decisione del Tribunale
di Nola che aveva respinto il ricorso in opposizione avanzato dal Sindacato,
confermando l’affermata carenza di legittimazione attiva della OO.SS., per non
sussistere il requisito della nazionalità: era evidenziata la mancata prova
dello svolgimento di una effettiva attività sindacale connotata dal carattere
nazionale in quanto la documentazione in atti era riferita a fatti risalenti
nel tempo e ad azioni a carattere meramente localistico.

2. La Corte disattendeva la decisione impugnata
quanto al ritenuto difetto di legittimazione attiva del sindacato, ritenendo
che il requisito della rappresentatività richiesto dall’art. 28 St. Lav. fosse meno
impegnativo di quello della maggiore rappresentatività richiesto per la costituzione
di r.s.a. e che nella specie lo SLAI Cobas aveva posto in essere attività di
sicuro rilievo nazionale.

3. Quanto alla condotta della società F.G.
Automobiles s.p.a., consistita nell’avere trasferito, dallo stabilimento di
Pomigliano d’Arco al costituendo Polo Logistico di Nola (World Class Logistic,
sito a 20 Km di distanza dal primo), 316 lavoratori, di cui 77 iscritti allo
Slai Cobas o selezionati tra gli invalidi, la Corte di Napoli ne escludeva la
asserita natura discriminatoria e/o illecita, ritenendo che il dato numerico,
per quanto suggestivo, non fosse attendibile, poiché difettava di ogni termine
di comparazione in riferimento alla consistenza ed entità dell’intero organico
dello stabilimento di Pomigliano all’epoca del trasferimento, sia con
riferimento ai lavoratori con patologie invalidanti, che con riferimento al
numero delle altre sigle sindacali operanti, alla consistenza delle stesse e
dei lavoratori trasferiti.

4. Riteneva che la prova dell’intento
discriminatorio non poteva ridursi alla deduzione della mancata rilevazione di
elementi idonei ad individuare il nesso di causalità tra le circostanze
pretermesse e l’asserito intento di rappresaglia e che a livello di presunzioni
le risultanze processuali acquisite difettavano dei requisiti della gravità,
precisione e concordanza. In particolare, il solo dato numerico cedeva rispetto
alle prospettate esigenze tecnico organizzative poste a base del trasferimento,
che aveva riguardato tutte le sigle sindacali.

5. Secondo il giudice del gravame, le ragioni del
disposto trasferimento collettivo, lungi dal costituire il frutto di un intento
antisindacale, corrispondevano ad una esigenza comprovata di razionalizzazione
del processo industriale e di ottimizzazione dell’organizzazione aziendale. Peraltro,
la scelta era stata ispirata ad un criterio “produttivistico”,
essendo stato richiesto ai singoli capi UTE quali lavoratori fossero da
assegnare all’Area Logistica ed essendo stati questi indicati in base a skill
professionali ed attitudinali, il che non consentiva al giudice di valutare il
merito della scelta effettuata, residuando lo spazio solo per verificare
l’effettività delle ragioni addotte a sostegno dell’esercizio dello ius
variandi.

6. Né poteva, secondo la Corte, rilevare che nel
nuovo Polo Logistico di Nola i lavoratori per oltre sei anni non avessero
prestato attività, essendo ciò dipeso da altri fattori ed essendosi verificata
analoga situazione anche nello stabilimento di Pomigliano. Il trasferimento non
aveva neanche impedito ai lavoratori trasferiti di svolgere attività sindacale,
potendo gli stessi svolgere le prerogative sindacali attraverso la messa a
disposizione di navette per consentirne lo spostamento e per la partecipazione
alle assemblee, con godimento di tutti i diritti di elettorato attivo e
passivo, senza che nessun discredito o all’immagine fosse derivato sotto ogni
profilo all’O.S. ricorrente.

7. La Corte partenopea aggiungeva che tali
circostanze, allegate dalla società, non erano state oggetto di specifica
contestazione da parte del sindacato ricorrente, non potendo pertanto ritenersi
provata la natura discriminatoria o illecita della condotta datoriale e non
avendo nessun lavoratore impugnato il trasferimento, ulteriore circostanza,
questa, a conforto della validità della ricostruzione effettuata.

8. Veniva, poi, escluso che fosse stato violato
l’obbligo, previsto dall’art. 16, comma IV, del CCNL di categoria, di
informazione e consultazione attraverso apposita procedura, essendo
dall’istruttoria risultato che gli oneri relativi erano stati assolti, con
conseguente esclusione della dedotta antisindacalità della condotta.

9. Di tale decisione domanda la cassazione lo SLAI
COBAS, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso,
la F.G. Automobiles s.p.a., che propone ricorso incidentale, affidato ad unico
motivo.

10. Nella adunanza camerale del 21.2.2019, sulle
conclusioni scritte del P.M., la causa è stata rinviata per la trattazione in
pubblica udienza.

11. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai
sensi dell’art. 378 c.p.c.

12. Il ricorrente principale ha depositato atto di
nomina di nuovo difensore, avv. A.F., in aggiunta all’avv. G.M..

 

Ragioni della decisione

 

Va preliminarmente rilevata l’invalidità della nomina
del nuovo difensore del Sindacato, avv. A.F., ai sensi dell’art. 83 cpc nel testo vigente ratione temporis in
relazione a giudizio instaurato prima della legge
69/2009. Ed invero, nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 cod. proc. civ., secondo il quale la
procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi
dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi
instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 della I. n. 69 del 2009
(4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati – come nella specie –
anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in
calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento
mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, secondo comma (cfr., tra le altre, Cass.
9.2.2015 n. 2460 ed, in termini, Cass. 26.3.2010 n. 7241)

 

RICORSO PRINCIPALE:

1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2103,
1324, 1343, 1418 c.c., dell’art. 15 I. 300/70, degli artt. 4 e 6 d. Igs. 216/2003 e n. 215 del 2003, nonché dell’art. 28 I. 300/70 e lamenta
omesso esame di fatto decisivo ai fini della decisione del giudizio, in
relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. (riferito
alla deduzione di esame apparente e/o perplesso e/o incomprensibile), rilevando
di avere precisato nell’iniziale ricorso la consistenza numerica dei dipendenti
dello stabilimento di Pomigliano e di avere indicato che dei 21 componenti del
direttivo provinciale di Napoli presenti in quello stabilimento 17 erano stati
trasferiti al Polo Logistico di Nola, circostanze di fatto che consentivano di
verificare che l’80% degli iscritti al sindacato ricorrente aveva avuto tale
diversa destinazione. Ritiene che pertanto i trasferimenti, per i connotati che
esprimono, rientrino nelle tipologie di illiceità di cui agli articoli
menzionati nel motivo di ricorso per cassazione essendo la condotta posta in essere
dalla società connotata da plurioffensività e che per l’accertamento della
fattispecie discriminatoria ritorsiva e/o illecita occorra valutare anche il
motivo che ha determinato il comportamento datoriale. Richiama le norme dello
Statuto e dei dd.Igs. 215 e 216/2003, riferite alle condotte datoriali
discriminatorie e ritorsive, attuative delle direttiva
CEE 2000/78 in materia di contrasto delle discriminazioni sul lavoro,
modificate, da ultimo, con d. Igs. 150/2011,
non applicabile ratione temporis. Sostiene che gli elementi di carattere
statistico, nella specie non contestati, siano stati minimizzati dalla Corte
del merito, laddove ogni onere probatorio, in base al particolare regime dello
stesso, a partire dalla entrata in vigore del d.
Igs. 215/03, incombeva alla società, che non l’aveva assolto.

2. Con il secondo motivo, lo SLAI Cobas ascrive alla
decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28 I. 300 del 1970,
nonché omesso esame nei termini indicati nel precedente, evidenziando che la
sentenza ha affermato che nessun danno per l’organizzazione sindacale
ricorrente si è verificato con i trasferimenti effettuati, perché la società
aveva allegato una serie di circostanze che denotavano la partecipazione degli
iscritti alle prerogative sindacali, non contestate dal sindacato ricorrente.
Assume che tali circostanze avrebbero un valore del tutto marginale e non
significativo e che, diversamente da quanto argomentato dalla Corte d’appello,
la esistenza della connotazione plurioffensiva dell’impugnata condotta di
F.C.A. Italy non poteva essere negata, avendo l’organizzazione sindacale
ricorrente perso la gran parte dei suoi iscritti aderenti ed attivisti nello
stabilimento di Pomigliano, con totale vulnerazione della possibilità stessa di
esercitare l’attività sindacale in fabbrica e rilevante discredito e danno per
l’immagine stessa del sindacato, nonché in termini di pregiudizio nei riguardi
della missione istituzionale e statutaria del sindacato in relazione
all’operazione aziendale tesa ad estromettere gli invalidi ed i lavoratori con
RCL.

 

RICORSO INCIDENTALE:

3. Con il ricorso incidentale, la società si duole
della violazione e falsa applicazione dell’art. 28 St. Lav., contestando
i principi applicati in ordine alla rappresentatività della sigla sindacale ai
fini della legittimazione attiva all’azione ai sensi dell’art. 28.

4. Deve esaminarsi il ricorso incidentale per
evidenti ragioni di priorità logico giuridica.

5. Va esclusa la fondatezza dei rilievi formulati
dalla società al riguardo, alla luce di consolidato orientamento
giurisprudenziale di legittimità affermativo della legittimazione della Slai
Cobas (cfr., tra le altre, con specifico riferimento a SLAI COBAS ed alla
legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 28 St. Lav.: Cass. 2.8.2017 n. 19272, Cass. 20.4.2012 n 6206, Cass. 17.2.2012 n. 2314, Cass. 16787/11, Cass.
16383/06).

6. E’ stato precisato (cfr. Cass. n. 5209/10 cit; Cass.
n. 13240/09), che non devono confondersi i requisiti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 19,
per la costituzione di rappresentanze sindacali, titolari dei diritti di cui al
titolo 3, con la legittimazione prevista ai fini dell’art. 28 della stessa legge.
Mentre l’art. 19 richiede
la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali (o anche provinciali o
aziendali, purché applicati in azienda), oppure, a seguito dell’intervento
additivo della Corte Costituzionale con sentenza
n. 231/13, la partecipazione del sindacato alla negoziazione relativa agli
stessi contratti, quali rappresentanti del lavoratori, l’art. 28 richiede, invece,
solo che l’associazione sia nazionale.

6.1. Anche il requisito della nazionalità è stato
oggetto di numerose pronunce di questa Corte che, pur statuendo che esso non
può desumersi da dati meramente formali e da una dimensione statica, puramente
organizzativa e strutturale, dell’associazione, essendo necessaria anche
un’azione diffusa a livello nazionale, nondimeno hanno puntualizzato che non
necessariamente essa deve coincidere con la stipula di contratti collettivi di
livello nazionale

6.2. Ciò che rileva è la diffusione del sindacato
sul territorio nazionale, a tal fine essendo necessario e sufficiente lo
svolgimento di un’effettiva azione sindacale non su tutto, ma su gran parte del
territorio nazionale, senza che in proposito sia indispensabile che
l’associazione faccia parte di una confederazione, né che sia maggiormente
rappresentativa (così Cass. S.U. 21.12.2005 n.
28269).

6.3. Le S.U. di questa Corte hanno ribadito che, in
presenza di tale requisito, devono intendersi legittimate anche le associazioni
sindacali intercategoriali per le quali, peraltro, i limiti minimi di presenza
sul territorio nazionale devono ritenersi più elevati di quelli di una
associazione di categoria.

6.4. La Corte partenopea ha fatto corretta
applicazione dei principi sopra richiamati in quanto ha ritenuto sussistente il
requisito della “nazionalità” del sindacato istante sulla scorta non
del dato della stipula di contratti collettivi a livello nazionale, valorizzato
dalla società, ma di una serie di elementi, quali la costituzione di comitati
provinciali del Sindacato Cobas in 57 province e 13 regioni, sedi delle più
rilevanti realtà di fabbrica, significativa per riguardare circa la metà del
territorio nazionale, e la diffusione non a carattere meramente locale, lo
svolgimento di attività di rilievo nazionale come la presentazione del
referendum popolare sull’art.
19 I. 300/70, in linea con gli scopi statutari dell’associazione, la
richiesta di ripristino degli automatismi della contingenza ed ulteriori
iniziative afferenti a problematiche di politica sindacale rilevanti sotto
l’aspetto contenutistico del requisito della “nazionalità”.

7. Passando all’esame del ricorso principale, va
precisato che il procedimento ex art. 28 S. L. è riservato ai
casi in cui venga in questione la tutela dell’interesse collettivo del
sindacato al libero esercizio delle sue prerogative, interesse che è distinto
ed autonomo rispetto a quello dei singoli lavoratori. L’art. 5, comma 2, del d. Igs. 216/2003
prevede l’azione delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle
organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso qualora si
intenda far valere una discriminazione collettiva a danno di un gruppo di
lavoratori identificati dall’appartenenza sindacale e, dunque, non individuati
nominativamente in modo diretto e immediato quali persone lese dalla
discriminazione (cfr. Cass. 20.7. 2018 n. 19443). Nonostante i punti di
contatto, entrambe collettive ed entrambe poste a tutela di un interesse
collettivo, le due azioni processuali sono diverse e la scelta della FIOM di
fare rientrare l’appartenenza sindacale nel motivo delle convinzioni personali
ha avuto l’effetto di rendere in parte fungibili le due azioni.

8. Nella specie il profilo dedotto, che asseritamente
incide in termini negativi sull’interesse del sindacato al libero esercizio
delle sue prerogative è quello della discriminatorietà della condotta,
consistita nel trasferimento al Polo Logistico di Nola di un numero
percentualmente elevato di lavoratori dello stabilimento di Pomigliano d’Arco
iscritti al sindacato Sali Cobas.

9. Va premesso che, la nozione di discriminazione
sia diretta che indiretta è stabilita dall’art. 2 del d. Igs. 216/2003, che definisce
la prima come riferita alle ipotesi in cui” per religione, per convinzioni
personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è
trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata
un’altra in una situazione analoga” e la seconda con riferimento ai casi
in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un
comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano
una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di
handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in
una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.

9.1. Con riguardo alla possibilità di includere
nell’espressione “convinzioni personali” di cui all’art. 1 d. Igs. 216/2003, secondo lo
spirito della direttiva 2000/78, di cui il
decreto legislativo costituisce attuazione, (in particolare l’art. 4 d.lgs.216/03, prevedente il
principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di
convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si
applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è
suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall’articolo 4, con specifico
riferimento tra l’atro, alla lett. a) all’accesso all’occupazione e al lavoro,
sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di
assunzione) tale Direttiva stabilisce un quadro generale per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, individuando
il campo di applicazione del provvedimento, le azioni e le misure specifiche
dirette ad evitare le discriminazioni sul luogo di lavoro.

9.2. Essa trova fondamento nell’art. 13 del trattato
di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione Europea, i trattati che
istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi che, nella versione
pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. C 340 del 10 novembre 1997 testualmente
recita “Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e,
nell’ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio,
deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione
del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere
le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione
o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. ”

La contiguità dei due termini, religione e
convinzioni personali, separati dalle altre definizioni da una virgola, pone in
rilievo l’affinità dei due concetti, senza tuttavia confonderli.

9.3. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea (c.d. Carta di Nizza) all’art. 21 ribadisce il divieto di qualsiasi
forma di discriminazione.

La versione ufficiale dell’art. 21 testualmente
recita: “Non discriminazione

1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione
fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine
etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le
convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza
ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le
tendenze sessuali”.

L’elenco dei possibili motivi di discriminazione
contenuti nell’art. 21, tra cui le convinzioni personali, le opinioni politiche
o di qualsiasi altra natura, non è esauriente, ma costituisce solo un tentativo
di esemplificazione espresso dalla formula ” in particolare”.

9.4. Accedendosi ad una interpretazione delle norme
coerente con la ratio della norma comunitaria letta alla luce dei principi
fondamentali del Trattato, nel caso specifico può senz’altro ritenersi che la direttiva 2000/78/CE, tutelando le convinzioni
personali avverso le discriminazioni, abbia dato ingresso nell’ordinamento
comunitario al formale riconoscimento (seppure nel solo ambito della
regolazione dei rapporti di lavoro) della libertà ideologica il cui ampio
contenuto materiale può essere stabilito anche facendo riferimento all’art. 6 del TUE e, quindi, alla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infatti, se il legislatore
comunitario avesse voluto comprendere nelle convinzioni personali solo quelle
assimilabili al carattere religioso, non avrebbe avuto alcun bisogno di
differenziare le ipotesi di discriminazione per motivi religiosi da quelle per
convinzioni per motivi diversi.

Il contenuto dell’espressione “convinzioni
personali” richiamato dall’art.
4 d.lgs. 216/03 non può perciò che essere interpretato nel contesto del
sistema normativo speciale in cui è inserito, restando del tutto irrilevante
che in altri testi normativi l’espressione “convinzioni personali”
possa essere utilizzata come alternativa al concetto di opinioni politiche o
sindacali. Sicuramente l’affiliazione sindacale rappresenta la professione
pragmatica di una ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da
specifici motivi di appartenenza ad un organismo socialmente e politicamente
qualificato a rappresentare opinioni, idee, credenze suscettibili di tutela in
quanto oggetto di possibili atti discriminatori vietati.

9.5. Nella giurisprudenza di questa Corte non si
rinvengono precedenti specifici, tuttavia in alcune pronunce di legittimità,
sia pure in fattispecie aventi diverso oggetto, incidenter tantum,
l’espressione convinzioni personali è stata qualificata come professione di
un’ideologia di altra natura rispetto a quella religiosa (in tal senso Cass.
10179/04 e, da ultimo, Cass. 3821/2011, che
definisce la discriminazione per convinzioni personali come quella fondata su
ragioni di appartenenza ad un determinato credo ideologico).

9.6. Pertanto, nell’ambito della categoria generale
delle convinzioni personali, caratterizzata dall’eterogeneità delle ipotesi di
discriminazione ideologica estesa alla sfera dei rapporti sociali, può essere
ricompresa, diversamente da quanto sostiene la società, anche la
discriminazione per motivi sindacali, con il conseguente divieto di atti o comportamenti
idonei a realizzare una diversità di trattamento o un pregiudizio in ragione
dell’affiliazione o della partecipazione del lavoratore ad attività sindacali.

10. Passando ad esaminare il nucleo delle doglianze
espresse nel primo motivo del ricorso principale, che va individuato nei
profili probatori e specificamente attiene al piano della ripartizione dei
relativi oneri, va rilevato che il giudice del gravame ha escluso i caratteri
di gravità precisione e concordanza degli indizi ritenendo applicabile un
procedimento logico-conoscitivo di tipo presuntivo o indiziario ed attribuendo
scarsa significatività al dato numerico offerto. A sostegno del proprio
ragionamento ha richiamato principi desunti da pronunce della Corte di
legittimità in tema di licenziamenti discriminatori o illeciti e, in linea con
le affermazioni nelle stesse contenute, ha affermato che “la prova
dell’intento discriminatorio cede a carico di colui che lo denunzia”, pur
precisando che l’onere può essere assolto attraverso il ricorso ad elementi
presuntivi. Ha ritenuto il dato numerico di per sé generico e non probante in
quanto non contestualizzato in termini di raffronto con dati comparativi
riferiti alla consistenza ed entità dell’intero organico dello stabilimento,
alla percentuale di trasferimenti di lavoratori appartenenti ad altre sigle
sindacali, e ne ha sostenuto la cedevolezza rispetto alle circostanze allegate
dalla società, che aveva fatto riferimento a decisioni organizzative non
sindacabili, alla scelta dei lavoratori da trasferire da parte dei capi
dell’UTE in base a validi elementi selettivi ispirati a criteri
produttivistici.

10.1. Nell’ambito del giudizio antidiscriminatorio
l’attore ha soltanto l’onere di fornire elementi di fatto, anche di carattere
statistico, idonei a far presumere l’esistenza di una discriminazione, ma non è
affatto previsto che i dati statistici debbano assurgere ad autonoma fonte di
prova; conseguentemente, qualora il dato statistico fornito dal ricorrente
indichi una condizione di svantaggio per un gruppo di lavoratori, è onere del
datore di lavoro dimostrare che le scelte sono state invece effettuate secondo
criteri oggettivi e non discriminatori (cfr. art. 8 Direttiva 2000/78/CE
e Par 15 dei “considerando”).

10.2. Quanto all’agevolazione probatoria in favore
del soggetto che lamenta la discriminazione è stato evidenziato (cfr. Cass. 27.9.2018 n. 23338, Cass. 12.10.2018 n.
25543) che le direttive in materia (n. 2000/78,
così come le nn. 2006/54 e 2000/43), come interpretate della Corte di
Giustizia, ed i decreti legislativi di recepimento impongono l’introduzione di
un meccanismo di agevolazione probatoria o alleggerimento del carico probatorio
gravante sull’attore “prevedendo che questi alleghi e dimostri circostanze
di fatto dalle quali possa desumersi per inferenza che la discriminazione abbia
avuto luogo, per far scattare l’onere per il datore di lavoro di dimostrare
l’insussistenza della discriminazione”, (cfr. Cass.
n. 14206 del 2013, in materia di discriminazione di genere), con
l’ulteriore precisazione che “nulla … autorizza a ritenere il suddetto
regime probatorio applicabile solo all’azione speciale e, del resto, una
interpretazione in senso così limitativo confliggerebbe con i principi posti
dal legislatore comunitario”. L’agevolazione probatoria in tanto può realizzarsi
in quanto l’inversione dell’onere venga a situarsi in un punto del ragionamento
presuntivo anteriore rispetto alla sua completa realizzazione secondo i canoni
di cui all’art. 2729 c.c., finendosi altrimenti
per porre a carico di chi agisce l’onere di una prova piena del fatto
discriminatorio, ancorché raggiunta per via presuntiva. Il lavoratore deve
provare il fattore di rischio, il trattamento che assume come meno favorevole
rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori
del fattore di rischio, deducendo una correlazione significativa fra questi
elementi che rende plausibile la discriminazione; il datore di lavoro deve
dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione,
gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso, in
quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi
parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio,
che si fosse trovato nella stessa posizione, (cfr. Cass.
n. 14206/13 coerente con le indicazioni espresse dalla Corte di Giustizia 17.7.08, C303/06 Colemann, 10.7.08 C-54/07 Feryn, 16.7.15 C- 83/14 Chez).

10.3. Quali che siano i termini in cui si declina la
prova semipiena di cui è onerato il ricorrente, se prova di una porzione di
fattispecie, o prova di probabilità “attenuata” del nesso causale,
ciò che è significativo è che al raggiungimento della stessa si sposta sul
convenuto (resistente) il rischio della mancata controprova dell’insussistenza
del nesso di causalità tra la disparità ed il fattore (in aggiunta al rischio
delle mancata prova della sussistenza di fatti impeditivi, come da regime
ordinario). Se quest’ultimo onere non è assolto, la regola di giudizio
applicabile determinerà l’accoglimento del ricorso, benché gli elementi di
fatto dedotti dal ricorrente lascino un margine di incertezza circa la sussistenza
di tutti i fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria. Ciò consente di
ritenere, quindi, che, nel regime speciale applicabile nei giudizi
antidiscriminatori, si configuri un’inversione, seppure parziale, dell’onere
probatorio. Si ritiene che si configuri una “presunzione” di
discriminazione indiretta qualora sia accertato che l’applicazione del criterio
astrattamente neutro pregiudichi in percentuale molto più elevata i soggetti
portatori in fattore di rischio rispetto ai non portatori. Solo laddove questo
fatto sia accertato, spetta al datore di lavoro dimostrare il contrario (cfr.
CGUE C226-98 Jorgensen, in materia di discriminazione per sesso). Laddove si
afferma che il datore debba provare “il contrario”, ci si riferisce
sia alla prova contraria della sussistenza dei fatti costitutivi (ad esempio,
la disparità di trattamento non è collegata al criterio o l’impatto
pregiudizievole del criterio è smentito sulla base di altri dati statistici, da
cui risulti “meno che particolare”), sia alla prova dei fatti
impeditivi, di cui il datore è gravato in base alle regole generali. La prova
della sussistenza di cause di giustificazione non può qualificarsi come prova
contraria dell’insussistenza di un fatto costitutivo della fattispecie: non
smentisce l’impatto pregiudizievole del criterio, lo scrimina.

10.4. Un’automatica applicazione del meccanismo di
cui all’art. 2729 c.c. non è, per quanto detto,
conforme alla normativa europea e la lettura della norma di cui all’art. 4 del d. Igs. 216/2003 (a cui,
peraltro, ha fatto seguito l’introduzione dell’art. 28 del d. Igs n. 150/2011,
preceduta dall’apertura di una procedura di infrazione nei confronti
dell’Italia da parte della Commissione europea per mancata osservanza dei
criteri dettati in materia dalla direttiva) deve essere quella che non si
tratta di una vera e propria inversione dell’onere probatorio, bensì di
un’agevolazione in favore del soggetto che lamenti la discriminazione e che
potrebbe trovarsi in una situazione di difficoltà a dimostrare l’esistenza
degli atti discriminatori, soprattutto nei casi di coinvolgimento di una
pluralità di lavoratori.

10.5. Parzialmente diverso (rispetto all’art. 4, comma 4, d. Igs. 216/2003)
è il tenore del comma 4 dell’art.
28 d. Igs. n. 150/2011 (pacificamente non applicabile nella specie ratione
temporis), secondo cui “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto,
desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere
l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto
l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione. I dati di carattere
statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi
contributivi, all’assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti,
alla professione in carriera e ai licenziamenti dell’azienda interessata”.
Tuttavia, dovendo escludersi che le due norme costituiscano un inutile doppione
della regola generale prevista dall’art. 2729, co.
2, c.c., il loro confronto è tale da indurre a ritenere la mancanza del requisito
di “gravità”, sul piano dell’assolvimento dell’onere della prova che
richiede per il ricorrente il conseguimento di un grado di certezza inferiore
rispetto a quello consueto.

10.6. Sulla base di tali premesse deve ritenersi
erronea la sentenza impugnata laddove ha addossato l’onere probatorio definito
attraverso il richiamo integrale ai canoni dell’art.
2729 c.c. al sindacato, senza tener conto del descritto criterio di
agevolazione che si esprime in una diversa ripartizione degli oneri di
allegazione e soprattutto della relativa prova.

10.7. In particolare, deve dissentirsi dalle
affermazioni della Corte partenopea in quanto, rispetto al dato, rilevante ed
incontrastato, secondo cui i trasferimenti hanno interessato il 6% degli
addetti allo stabilimento, per quel che riguarda gli iscritti al sindacato
ricorrente ne sono stati fatti oggetto in misura dell’80%. E rispetto a tale
inconfutabile dato non può ritenersi correttamente valutata la l’assenza di
discriminatorietà, la cui dimostrazione è stata considerata fornita con
riferimento al criterio della valutazione dei criteri di scelta da parte dei
capi dell’UTE con richiamo ad un “criterio produttivistico”,
terminologicamente privo di precisa valenza e significato ai fini considerati,
di fronte al dato statistico fornito ex adverso. Né risulta appagante e
dirimente la generica valutazione compiuta con riguardo alla circostanza,
rilevante sul piano del controllo di effettività delle ragioni tecniche
organizzative e produttive richiamate a fondamento della scelta
imprenditoriale, della inattività dei lavoratori trasferiti presso il polo
logistico di Nola.

10.8. Va poi, rilevato, in adesione a quanto già
osservato da questa Corte, che la definizione della condotta antisindacale di
cui all’art. 28 dello
Statuto dei lavoratori non è analitica ma teleologica, poiché individua il
comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali, bensì alla
sua idoneità a ledere i “beni” protetti. Ne consegue che il
comportamento che leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono
portatrici le organizzazioni sindacali integra gli estremi della condotta
antisindacale di cui all’art.
28 dello Statuto dei lavoratori, senza che sia necessario – né, comunque,
sufficiente – uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro,
poiché l’esigenza di una tutela della libertà sindacale può sorgere anche in
relazione a un’errata valutazione del datore di lavoro circa la portata della
sua condotta, così come l’intento lesivo del datore di lavoro non può di per sé
far considerare antisindacale una condotta che non abbia rilievo
obbiettivamente tale da limitare la libertà sindacale (cfr. Cass. 17.6.2014 n. 13726).

11. Quanto al secondo motivo del ricorso principale,
è evidente il suo assorbimento per effetto dell’accoglimento del primo, che
impone, a seguito della cassazione della decisione in parte qua, la revisione
dell’esame da parte del giudice del rinvio designato in motivazione, sulla base
di corretta applicazione del regime probatorio.

12. Tale giudice provvederà anche alla
determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

13. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n.
115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale,
a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13;

 

P.Q.M.

 

accoglie il primo motivo del ricorso principale,
assorbito il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la decisione
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di
Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla
liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato
D.P.R.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 gennaio 2020, n. 1
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