Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 febbraio 2020, n. 3078

Licenziamento disciplinare, Violazione del dovere di fedeltà
del lavoratore subordinato, Tentativo di procurarsi informazioni commerciali
riservate da fornire a terzi, Compromissione del legame fiduciario con il
datore di lavoro, Ricorso inammissibile in Cassazione, Presunto errore
interpretativo di diritto fondato su una ricostruzione fattuale diversa da
quella posta a fondamento della decisione

 

Rilevato che

 

1. La 3A -A.A.A.- Società Cooperativa Agricola pa-
con comunicazione anticipata in data 25 giugno 2013, successivamente inviata il
16 luglio 2013 e ricevuta il successivo 17 luglio, intimava licenziamento
disciplinare al dipendente D.F., per avere stampato, il 24 maggio 2013 alle ore
16:50 presso la filiale M., in cui prestava servizio, utilizzando il computer
del collega F.G., il file denominato “Copia di Listino F.V.M.R.”
contenente informazioni riservate.

2. Impugnato il recesso, l’adito Tribunale di
Oristano, con ordinanza del 23.4.2015, rigettava la domanda del ricorrente.

3. Lo stesso Tribunale, proposta opposizione ex lege n. 92 del 2012, revocava l’ordinanza e, in
accoglimento della richiesta subordinata, annullava il licenziamento ed ordinava
la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente.

4. La Corte di appello di Cagliari, con la sentenza
n. 215 del 2018, accoglieva il reclamo formulato dalla società e, in totale
riforma della sentenza impugnata, confermava l’intimato licenziamento,
condannando il soccombente reclamato al pagamento delle spese di giudizio.

5. A fondamento della decisione, i giudici di
seconde cure rilevavano che la sussistenza di diversi indizi portavano a
ritenere con certezza la commissione del fatto contestato da parte del D.:
fatto che costituiva una gravissima violazione del dovere di fedeltà nel
contratto di lavoro subordinato, atteso che l’incolpato, approfittando
dell’assenza del collega F., aveva effettuato l’accesso al suo computer
(peraltro lasciato, imprudentemente, acceso e senza alcun sistema di protezione
in atto, avendo il F. evidentemente disattivato, o comunque non attivato, il
salvaschermo prima di lasciare l’Ufficio) all’evidente fine di procurarsi
informazioni commerciali riservate da fornire a terzi, compromettendo
irreversibilmente il legame fiduciario con il datore di lavoro; sottolineavano,
inoltre, che la fattispecie era inquadrabile nelle ipotesi tipizzate dalla
contrattazione collettiva e che il licenziamento era stato intimato per giusta causa,
in diretta applicazione della norma codicistica e supportato dalla stessa.

6. Avverso tale decisione proponeva ricorso per
cassazione D.F. affidato a quindici motivi, cui resisteva con controricorso la
3A – A.A.A.- Società Cooperativa Agricola pa.

7. Il ricorrente ha depositato memoria

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente eccepisce la
nullità della sentenza o del procedimento ex art.
360 n. 4 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 329 co. 2 c.p.c., perché la Corte di merito
aveva ritenuto la sussistenza della condotta addebitata attraverso una
valutazione analitica degli indizi, senza il necessario giudizio di gravità,
precisione e concordanza degli stessi.

3. Con il secondo motivo si rileva, sempre, la
nullità della sentenza o del procedimento ex art.
360 n. 4 c.p.c., per violazione o falsa applicazione degli artt. 342 e dell’art.
434 c.p.c., perché il reclamo avrebbe dovuto essere dichiarato
inammissibile per la mancanza di indicazioni degli elementi richiesti dall’art. 434 c.p.c. e, pertanto, per la mancata
specificazione delle circostanze dalle quali derivava la violazione di legge e
della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la
nullità della sentenza o del procedimento, ex art.
360 n. 4 c.p.c.: la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 co. 1 n. 4 c.p.c., per omessa motivazione
nonché la violazione o falsa applicazione dell’art.
111 Cost. perché, nonostante la prolissità della pronuncia, mancava la
motivazione sul punto, ritenuto certo, che l’ordine di stampa era partito da
una determinata macchina fisica e, cioè, da quello specifico computer che si
trovava all’interno della stanza di un altro dipendente della filiale, vale a
dire tale F.

5. Con il quarto motivo si rappresenta la nullità
della sentenza o del procedimento ex art. 360 n. 4
c.p.c. nonché la violazione degli artt. 115
e 116 c.p.c., sotto il profilo della mancata o
inadeguata valutazione delle prove, in punto di provenienza dell’ordine di
stampa.

6. Con il quinto motivo il ricorrente si duole della
nullità della sentenza o del procedimento ex art.
360 n. 4 c.p.c., nonché la violazione degli artt.
115 e 116 c.p.c., sotto il profilo del
mancato apprezzamento del fatto pacifico in causa, costituito dalla
circostanza, non contestata, della interscambiabilità delle postazioni dei
computer tra i dipendenti.

7. Con il sesto motivo si lamenta l’omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c.,
rappresentato dalla circostanza che non vi era alcuna prova che il D. si
trovasse nella stanza del F., momentaneamente non presente, nell’ora ipotizzata
dell’invio per la stampa del documento, e che avesse dato l’ordine di stampa al
computer presente nella stanza del citato F.

8. Con il settimo motivo si ritiene la nullità della
sentenza e del procedimento ex art. 360 n. 4 c.p.c.,
la violazione o falsa applicazione dell’art. 329
co. 2 c.p.c., con riferimento alla parte della decisione in cui si è
considerato di individuare l’ora esatta di stampa, in un contesto in cui
mancava invece l’ora di invio dell’ordine di stampa ed era riscontrabile un
ritardo della stampa rispetto all’invio del relativo ordine; aspetti che, tra
l’altro, non erano stati oggetto di impugnazione.

9. Con l’ottavo motivo il ricorrente denunzia la
nullità della sentenza o del procedimento, ex art.
360 n. 4 c.p.c., nonché la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
sotto il profilo della mancata o inadeguata valutazione delle prove in riferimento
all’ora di invio dell’ordine di stampa.

10. Con il nono motivo si denunzia l’omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra
le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c., ancora in
rapporto all’accertamento dell’orario di invio della stampa, con riferimento al
mancato ed immotivato esame delle risultanze della relazione del ctu.

11. Con il decimo motivo il ricorrente denunzia la
violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cc,
ex art. 360 n. 3 c.p.c., nonché la violazione o
falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360
n. 3 c.p.c., con riferimento agli artt. 5 della legge n. 604 del
1966 e 2697 e 2727
c.c. nonché gli artt. 7
e 18 della legge n. 300 del
1970 perché la Corte di merito, nell’accertamento del fatto secondario
dell’ora di invio della stampa, aveva operato una valutazione basata su
presunzioni e fondata su indizi i quali difettavano dei requisiti di legge
della gravità, precisione e concordanza.

12. Con l’undicesimo motivo si censura l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione fra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c.,
in ordine alla conoscenza, in capo al ricorrente, dell’esistenza del documento
“Copia di listino F.V.M.R.”: circostanza che avrebbe escluso,
conseguentemente, la possibilità per il D. di reperirlo in mezzo al normale
accumulo dei documenti nella memoria di un computer aziendale e, vieppiù, la
possibilità di riconoscere una qualche forma di premeditazione nel
comportamento e l’intento di agevolare la concorrenza.

13. Con il dodicesimo motivo il ricorrente sostiene
la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729
cc, ex art. 360 n. 3 c.p.c., con
riferimento al requisito della concordanza degli indizi e con riferimento alla
prova circa la libera accessibilità del computer in uso al F., nonché la violazione
o falsa applicazione di norme di diritto ex art.
360 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 2105,
2106, 2118, 2119 cc, agli artt. 5 legge n. 604 del 1966
e 2697 e 2727 c.c.
nonché agli artt. 7 e 18 legge n. 300 del 1970, per
avere applicato la Corte di merito malamente il procedimento ex art. 2729 c.c. omettendo di verificare gli indizi
sotto il profilo della concordanza e della complessiva conciliabilità di tutte
le istanze di prova.

14. Con il tredicesimo motivo si denunzia la
violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.,
sotto il profilo della valutazione complessiva della concordanza degli indizi,
ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., nonché la
violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 2105, 2106, 2118, 2119 c.c.,
agli artt. 5 legge n. 604 del
1966 e 2697, 2727
e 2729 c.c. nonché agli artt. 7 e 18 della legge n. 300 del 1970,
per errata valutazione del materiale indiziario, ritenuto idoneo a dimostrare
la responsabilità del D., con riguardo ad altri elementi che ne avrebbero
compromesso la ritenuta gravità, precisione e concordanza.

15. Con il quattordicesimo motivo si eccepisce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del CCNL Dipendenti
Cooperative e Consorzi Agricoli, ex art. 360 n.
3 c.p.c., nonché la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e
1365 c.c., ex art.
360 n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento agli artt. 2105, 2106, 2118, 2119 c.c.,
agli artt. 5 della legge n. 604
del 1966 e 2697, 2727
e 2729 c.c., nonché agli artt. 7 e 18 legge n. 300 del 1970, per
avere errato la Corte di merito nel disattendere gli orientamenti della Suprema
Corte sull’art. 18 della legge
n. 300 del 1970 e sulla interpretazione dei contratti collettivi, con
riferimento alla tipizzazione dei fatti legittimanti le sanzioni espulsive: in
particolare si duole il ricorrente che i giudici di seconde cure avevano
ritenuto il concetto di giusta causa avulso dai limiti della contrattazione
collettiva e, comunque, avevano assimilato il fatto alle precisioni della
contrattazione stessa senza una specifica valutazione e analisi dei fatti
tipizzati e senza indicazione del CCNL da essi applicato.

16. Con il quindicesimo motivo il ricorrente lamenta
la nullità della sentenza o del procedimento ex art.
360 n. 4 c.p.c.: la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 co. 1 n. 4 c.p.c.; l’omessa motivazione e
la violazione dell’art. 111 Cost., allorquando
la Corte di merito ha ritenuto, con motivazione meramente apparente, che il
fatto oggetto di contestazione disciplinare fosse inquadrabile nelle ipotesi
della contrattazione collettiva, in assenza della chiara manifestazione di una
espressione di giudizio che, nel caso de quo, era da reputarsi incerta e
dubitativa nei risultati raggiunti.

17. Il ricorso non è fondato.

18. I primi tredici motivi, da trattarsi
congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono inammissibili.

19. E’ opportuno premettere, in ordine alla
denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che in tema di ricorso per cassazione,
una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta
dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero
abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento
critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass.
27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).

20. In relazione, poi, al vizio denunciato nei
termini di cui all’art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ., poi, va rilevato che esso, come appunto riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso
rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo
comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui
esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui
esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto
sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori
non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora
il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte
le risultanze probatorie» (Cass. S.U. n. 8053/2014).

21. Relativamente, inoltre, ai vizi denunciati, ex artt. 112 e 132 n. 4
c.p.c., va osservato che essi sussistono solo quando la pronuncia riveli
una obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il
giudice alla formazione del proprio convincimento, senza alcuna esplicitazione
al riguardo né disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo
seguito (cfr. in termini Cass. 21.12.2010 n. 25866).

22. Con riguardo, infine, alla denunciata erronea
applicazione degli artt. 2727 e ss. cod. civ. e
dell’art. 2697 c.c. in ordine alla prova dei
fatti costitutivi del diritto, l’odierno ricorrente, sotto l’apparente veste
dell’error in iudicando, tende a contestare la ricostruzione della vicenda
accreditata dalla sentenza impugnata. In proposito, giova ribadire che il vizio
di falsa applicazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta
recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità,
sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n.
26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’, dunque, inammissibile una doglianza
che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo
di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento
della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle
risultanze di causa.

23. In conclusione, quindi, tutte le censure di cui
ai citati motivi sono inammissibili convergendo esse, nei rispettivi profili
formulati, nella contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento
in fatto della Corte territoriale che, con motivazione congrua e senza alcuna
omissione di fatti storici, ha proceduto ad una ricostruzione dei fatti,
insindacabile in sede di legittimità perché si risolverebbe in una revisione
inammissibile del merito della controversia.

24. Il quattordicesimo ed il quindicesimo motivo,
anche essi da scrutinarsi congiuntamente per ragioni di connessione, sono
infondati.

25. In tema di licenziamento per giusta causa, non è
vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva,
rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta
nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi
concreti, di natura oggettiva e soggettiva della fattispecie, ma la scala
valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui
occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 cod. civ. (Cass. n. 28492 del 2018; Cass. n. 13865 del 2019; Cass. n. 14063 del 2019).

26. L’unica eccezione è rappresentata dal fatto di
non potere estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi
soggettivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti
(cfr. ex aliis Cass. n. 11027/2017; Cass. n. 9223/2015; Cass.
n. 13353/2011; Cass. n. 19053/1995; Cass. n. 1173/1996), nel senso che
condotte pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta
causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge non possono rientrare
nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse,
prevedendo per esse, con clausola migliorativa per il lavoratore, sanzioni meramente
conservative.

27. La Corte territoriale, nel caso in esame, con
motivazione adeguata e congrua, ha rilevato che il licenziamento era stato
intimato per giusta causa e ha ritenuto integrato tale elemento argomentando,
in aggiunta, che tale giudizio era “anche” sostenuto dalla
contrattazione collettiva.

28. Il fulcro della decisione, sul punto,
riguardava, pertanto, la rilevata sussistenza della giusta causa in
applicazione della norma codicistica, tale da determinare una gravissima
violazione del dovere di fedeltà nel contratto di lavoro subordinato, per cui i
giudici di seconde cure, non incorrendo nelle denunziate violazioni di legge,
si sono attenuti correttamente ai principi di legittimità sopra esposti.

29. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve,
pertanto, essere rigettato.

30. Al rigetto del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si
liquidano come da dispositivo.

31. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in complessivi euro 7.000,00 per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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