Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7408

Lavoro, Accertamento di un superiore inquadramento,
Risarcimento per danno pensionistico

 

Rilevato che

 

Il Tribunale di Pesaro rigettava la domanda,
proposta da A. S., di condanna, previo accertamento di un superiore
inquadramento, al pagamento di differenze di retribuzione e di risarcimento per
danno pensionistico;

la Corte d’appello di Ancona rigettava il gravame
del lavoratore; detta pronuncia era impugnata dal S. e, da questa Corte, con
sentenza nr. 26089 del 2017, cassata. La sentenza era nulla in quanto fondata
su una questione rilevata d’ufficio, senza rispetto del principio del
contraddittorio;

il procedimento è stato quindi riassunto avanti alla
Corte di appello di Ancona che, in diversa composizione, procedendo a nuovo
esame della fattispecie, ha respinto il gravame rilevando come le mansioni
svolte dal lavoratore non integrassero il contenuto professionale del superiore
livello richiesto; ha rigettato, di conseguenza, anche la domanda di condanna
al pagamento dell’indennità ex art. 48 del CCNL, perché prevista per il solo
personale direttivo, e dell’indennità di cassa, in difetto di prova dei
relativi presupposti; ha, infine, condannato l’appellante al pagamento delle
spese processuali, anche relativamente al giudizio di legittimità;

quest’ultima pronuncia è stata impugnata da A. S.
con ricorso per cassazione basato su cinque motivi;

ha resistito, con controricorso, la U. S.p.A.;
entrambe le parti hanno depositato memoria;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod.proc.civ., ritualmente comunicata
alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di
consiglio;

 

Considerato che

 

in via preliminare, deve essere osservato che il
ricorso da esaminarsi è quello del 9.11.2018, alla cui data il diritto di
impugnazione non era stato ancora consumato, e il termine di decadenza non era
ancora scaduto, anche tenendo conto della data della notifica della prima
impugnazione, la quale integra la conoscenza legale della sentenza da parte
dell’impugnante;

come ha già affermato da questa Corte (Cass. nr.
26618 del 2014; Cass. nr. 5053 del 2009), nel caso in cui una sentenza sia
stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, è ammissibile la
proposizione del secondo in sostituzione del primo, purché l’improcedibilità o
l’inammissibilità di quest’ultimo non sia stata ancora dichiarata, restando
escluso che la mera notificazione del primo ricorso comporti, ex se, la consumazione
del potere d’impugnazione. In relazione alla tempestività della seconda
impugnazione occorre aver riguardo – in difetto di anteriore notificazione
della sentenza – non solo al termine di sei mesi dal deposito della sentenza di
cui all’art. 327 cod.proc.civ., ma anche a
quello breve, ex art. 325 cod.proc.civ., che
decorre dalla data della notifica della prima impugnazione, la quale integra la
conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante; entrambi i termini
risultano rispettati nel caso di specie: il ricorso notificato il 9.11.2018 ha
ad oggetto la sentenza della Corte di appello di Ancona pubblicata il 31.8.2018
e segue un primo ricorso notificato il 19.9.2018;

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la
violazione dell’art. 91 cod.proc.civ., per
avere la sentenza impugnata posto a carico del ricorrente sia le spese del primo
giudizio di appello che quelle del giudizio di legittimità con cui la pronuncia
nr. 373 del 2011 era stata cassata;

con il secondo mezzo – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – viene dedotta la
violazione dell’art. 132 nr. 4 cod.proc.civ.,
dell’art. 118 disp.att.cod.proc.civ. nonché
vizio di motivazione; deduce l’odierno istante che la Corte di appello non
avrebbe motivato la condanna alle spese, limitandosi ad affermare che «le spese
seguono la soccombenza»;

i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per
riguardare entrambi la statuizione in ordine alle spese, sono infondati;

in primo luogo, deve essere precisato come la Corte
di appello abbia provveduto a liquidare esclusivamente le spese del giudizio di
appello rinnovato a seguito del rinvio di questa Corte (così testualmente nella
sentenza qui impugnata: «pone a carico dell’appellante le spese processuali del
presente grado […]») oltre che quelle del giudizio di cassazione;

soccorre il principio per cui, in tema di spese
processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per
provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al
principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto
che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve
liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in
relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un
provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero,
addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione, e,
tuttavia, complessivamente soccombente, al rimborso delle stesse in favore
della controparte (v. Cass, nr. 20289 del 2015; Cass. nr. 10245 del 2019; Cass.
nr. 15506 del 2019);

a tale principio si è conformata la Corte di appello
di Ancona, addossando alla parte ( complessivamente) soccombente il peso delle
spese processuali, ai sensi e per gli effetti dell’art.
91 cod.proc.civ.;

né tale statuizione può determinare un vulnus
rispetto ai principi espressi dalla Corte edu che si è limitata a riconoscere
il diritto della parte vittoriosa al rimborso delle spese processuali che si
affrontano quando viene presentato un ricorso ( solo) se il ricorso è
considerato fondato (cfr. Corte edu, Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino c.
Italia, § 201);

deve poi osservarsi come la giurisprudenza di questa
Corte sia ferma nel ritenere che la facoltà di disporne la compensazione tra le
parti rientri nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è
tenuto a dare ragione con un’espressa motivazione del mancato uso di tale sua
facoltà (v., in argomento, ex plurimis, Cass. nr. 11329 del 2019); ne consegue
che la pronuncia di condanna alle spese della parte soccombente, in quanto
applicazione della regola generale di cui all’art.
91 cod.proc.civ., non necessita di alcuna giustificazione e tanto meno può
essere censurata in cassazione;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotto omesso
esame di una serie di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione
tra le parti implicanti le superiori mansioni e la qualifica oggetto di
domanda;

il terzo motivo è inammissibile;

la denuncia di più fatti omessi è, all’evidenza,
estranea al paradigma dell’art. 360 nr 5
cod.proc.civ.;

non ricorre, infatti, la decisività del fatto nella
denuncia di una pluralità di fatti storici non esaminati, nessuno dei quali ex
se risolutivo, nel senso dell’idoneità a determinare il segno della decisione
(ex multis, in motivaz., Cass. nr. 13384 del 2017, § 8.1., sulla base di Cass.
nr. 21439 del 2015);

all’evidenza, le censure di cui al motivo propongono
una nuova valutazione degli elementi di giudizio, non consentita in questa sede
di legittimità;

con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ., è dedotta falsa
applicazione dell’art. 48 del CCNL di disciplina del rapporto di lavoro, per
avere la Corte di appello ritenuto che, ai fini della attribuzione della
superiore qualifica, fosse necessaria la direzione di almeno due impianti di
betonaggio;

con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ., è dedotta, invece,
falsa applicazione dell’art. 51 del CCNL e dell’art.
2104 cod.civ., per aver la Corte di appello disatteso la domanda relativa
all’indennità di cassa mentre era documentalmente provata l’attività di
incasso;

il quarto e il quinto motivo possono trattarsi
congiuntamente, presentando analoghi profili di inammissibilità;

entrambi si fondano sull’interpretazione di norme
collettive e, tuttavia, parte ricorrente non ha soddisfatto l’onere di deposito
«integrale» della copia del contratto collettivo (Cass. nr. 4350 del 2015;
Cass. nr. 21358 del 2010; Cass., sez.un., nr. 20075 del 2010) neppure con I’
indicazione della sede processuale ove detto testo (integralmente, appunto) sia
rinvenibile (Cass., sez.un., nr. 25038 del 2013);

anche le deduzioni contenute nella memoria
depositata ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2,
cod.proc.civ. non valgono a superare i rilievi esposti; deve essere
ribadito che l’onere di deposito del CCNL deve avere ad oggetto non solo
l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma
l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale
contenente tali disposizioni, non consentendosi, diversamente, di adempiere
alla funzione nomofilattica propria di questa Corte;

in conclusione, sulla base delle esposte
considerazioni, il ricorso va rigettato, con le spese liquidate, come da
dispositivo, secondo soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4500,00
per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi oltre spese generali
nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. nr. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis, se
dovuto.

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