Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 maggio 2020, n. 8794

Conclusione di numerosi contratti di lavoro a tempo parziale,
Superamento del limite percentuale previsto dal CCNL Edilizia artigianato,
Retribuzione virtuale, Minimale contributivo

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Mantova ha accolto parzialmente
la domanda di accertamento negativo proposta da S.A., titolare di una impresa
edile, nei confronti dell’INPS e dell’INAIL in relazione alle pretese degli
Enti suddetti contenute nel verbale ispettivo Inps del 21 ottobre 2011 e nel
correlato verbale di accertamento Inail n. 26616162, limitatamente all’addebito
concernente la conclusione di numerosi contratti di lavoro a tempo parziale,
superiore al limite percentuale previsto dal CCNL del settore edilizia
artigianato del 23 luglio 2008, ed ha respinto la domanda con riferimento
all’obbligo del ricorrente di versare la contribuzione virtuale di cui all’art.
29 d.l. n. 244/1999 (ndr art.
29 d.l. n. 244/1995) anche nei periodi di CIG parzialmente o integralmente
non concessi dall’INPS, nonostante la domanda del datore di lavoro.

2. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza n.
291/2014, ha respinto sia l’appello proposto dall’INPS che quello proposto
dall’INAIL avverso tale sentenza, condividendo l’assunto del primo giudice in
ordine alla questione della applicabilità dell’obbligo contributivo previsto
dall’art. 29 d.l. n. 244 del
1995 sulla retribuzione < virtuale> prevista per i lavoratori a tempo
pieno anche nei confronti dei dipendenti assunti con contratto part time in
violazione delle limitazioni percentuali.

3. La Corte territoriale ha precisato che la legge n. 341 del 1995 ha previsto per coloro che
svolgono attività edile una retribuzione minima imponibile nei confronti del
personale dipendente, rapportata ad un numero di ore settimanali non inferiore
al normale orario di lavoro settimanale stabilito dal ccnl a livello nazionale
e dai contratti integrativi (art.
29 I. cit.) e che le ipotesi di esclusione di tale base contributiva erano
state ampliate per effetto del decreto ministeriale del 16 dicembre 1996. A
decorrere dal primo giugno 2008 era accaduto che l’INPS, in occasione
dell’entrata in vigore del c.c.n.l del settore industria e modificando il
precedente orientamento, aveva ritenuto che i contratti part time stipulati in
eccedenza rispetto al limite del 3% sui contratti a tempo pieno previsto dall’art. 97 cit. ccnl, fossero soggetti alla regola
della retribuzione virtuale.

Tale orientamento, ad avviso della Corte
territoriale, era però errato in quanto non teneva conto della natura meramente
negoziale del contenuto della citata disposizione del ccnl, di per sé inidonea
ad integrare il tessuto normativo sul quale si fonda l’obbligo contributivo
pubblico senza che si potesse intendere conseguito, dalla mera inosservanza della
percentuale fissata, un effetto di conversione del singolo contratto part time
in uno a tempo pieno.

4. L’appello incidentale, proposto da S.A. in
ragione del rigetto del capo di ricorso relativo alla soggezione all’obbligo
contributivo previsto sulla retribuzione virtuale anche per i periodi di CIG
non autorizzati, è stato dichiarato inammissibile perché autonomo rispetto a
quelli principali e tardivo. Peraltro, per completezza, tale appello è stato
pure dichiarato infondato.

5. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione
l’INAIL sulla base di un unico articolato motivo, illustrato da memoria.

L’INPS ha depositato procura in calce, S.A. è
rimasto intimato.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo di ricorso l’INAIL deduce la
violazione dell’art. 29 d.l. n.
244 del 1995 conv. in I. n. 341 del 1995 e
dell’art. 97 del ccnl delle imprese artigiane stipulato in data 23 luglio 2008
e falsa applicazione dell’art. 61 comma 3 dell’art. 8 e 9 d.lgs. n. 61 del 2000,
violazione dell’art. 1 d.l. n.
338 del 1989, per avere la Corte di merito ritenuto che la violazione del limite
massimo previsto dal contratto collettivo per il ricorso al part-time, non
riverberandosi in alcuna ipotesi di nullità dei relativi contratti, non potesse
far sì che i premi dovuti Stano”) rapportati alla corrispondente
disciplina della retribuzione imponibile: ad avviso dell’Istituto ricorrente,
infatti, la causa petendi della propria pretesa risiederebbe esclusivamente
nella corretta interpretazione del combinato disposto dell’art. 29, d.l. n. 244/1995,
cit., e della norma contrattuale collettiva che fa divieto alle imprese di
assumere operai a tempo parziale per una percentuale superiore al 3% del totale
dei lavoratori occupati a tempo indeterminato, senza che all’uopo assuma
rilievo la validità o meno dei contratti part-time stipulati dall’azienda.

2. Il motivo è fondato.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte consolidatasi dopo Cass. S.U. n. 11199 del
2002, l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei
contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo del c.d.
“minimale contributivo”, ossia all’importo di quella retribuzione che
ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in applicazione
dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più
rappresentative su base nazionale.

3. Tale regola è espressione del principio di
autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, in
virtù del quale l’obbligo contributivo ben può essere parametrato ad un importo
superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro, e
– com’è stato recentemente ribadito (cfr. Cass. n.
15120 del 2019) – la sua operatività concerne non soltanto l’ammontare
della retribuzione c.d. contributiva, ma altresì l’orario di lavoro da prendere
a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla
contrattazione collettiva (o dal contratto individuale, se superiore): è infatti
evidente che, se ai lavoratori venissero retribuite meno ore di quelle previste
dal normale orario di lavoro e la contribuzione dovuta venisse modulata su tale
minore retribuzione, non vi potrebbe essere il rispetto del minimale
contributivo nei termini dianzi ricordati e ne verrebbe vulnerata la stessa
idoneità del prelievo a soddisfare le esigenze previdenziali e assistenziali
per le quali è stato istituito (v. in tal senso Corte
cost. n. 342 del 1992).

4. E’ in questo quadro generale che va collocata la
disposizione di cui all’art.
29, d.l. n. 244/1995, cit., secondo il quale, per quanto qui rileva, i
datori di lavoro esercenti attività edile «sono tenuti ad assolvere la
contribuzione previdenziale ed assistenziale su di una retribuzione commisurata
ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro
stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni
sindacali più rappresentative su base nazionale e dai contratti integrativi
territoriali di attuazione, con esclusione delle assenze per malattia,
infortuni, scioperi, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa con
intervento della cassa integrazione guadagni, di altri eventi indennizzati e
degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante
accantonamento presso le casse edili», nonché di altri «individuati con decreto
del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro
del tesoro, sentite le organizzazioni sindacali predette».

5. Come è stato tempestivamente chiarito da Cass. n. 5233 del 2007, che ha precisato la
portata delle affermazioni precedentemente rese al riguardo da Cass. n. 1301 del 2006, la previsione dell’art. 29, cit., che incide
sulla misura della retribuzione-parametro a fini contributivi, non costituisce,
analogamente ai minimali previsti da altre disposizioni di legge (tra i quali
quello di cui all’art. 1, d.l.
n. 338/1989, conv. con I. n. 389/1989), una
vera e propria fonte di obbligazione retributiva autonoma, sia pure ai soli
fini previdenziali, ma incide esclusivamente sulla misura della retribuzione
che il lavoratore riceve (o comunque avrebbe diritto di ricevere) in dipendenza
del rapporto di lavoro, per verificarne, agli stessi fini, il rispetto del minimale
di retribuzione (e quindi di contribuzione) imponibile.

6. In altri termini, la retribuzione che il
lavoratore riceve o comunque ha diritto di ricevere in dipendenza del rapporto
di lavoro costituisce pur sempre il presupposto indefettibile per conformarne,
se necessario, la misura ai minimali, e l’effetto della disposizione
legislativa consiste precisamente nell’elevarla, se inferiore, fino al
raggiungimento del minimale contributivo, sia pure ai soli fini previdenziali.
Prova ne sia che il minimale contributivo di cui all’art. 29, d.l. n. 244/1995,
cit., non trova applicazione soltanto nelle ipotesi in cui non sia dovuta, in
dipendenza del rapporto di lavoro, né alcuna prestazione lavorativa, né alcuna
retribuzione corrispettivo, ossia nei casi di sospensione del sinallagma
funzionale del contratto di lavoro: e ciò sia che si versi nelle ipotesi
tipiche di cui all’art. 29,
cit. (e cioè di assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o
riduzione dell’attività lavorativa con intervento della cassa integrazione
guadagni, nonché per altri eventi indennizzati ed eventi per i quali il
trattamento economico è assolto mediante accantonamento presso le casse edili,
oltre quelle poi previste dal d.m. 16.12.1996),
sia che occorra qualcuna di quelle ulteriori e innominate ipotesi di
sospensione “necessitata” ascrivibili all’interpretazione estensiva
che della disposizione cit. ha dato questa Corte, al fine di evitare disparità
di trattamento tra imprese edili soggette o meno all’intervento della cassa
integrazione guadagni (così Cass. n. 5233 del 2007,
già cit., cui hanno dato continuità, tra le tante, Cass.
nn. 9805 del 2011 e 11337 del 2018),
purché le une o le altre siano state previamente comunicate agli enti
previdenziali, ai fini degli opportuni controlli.

7. Così ricostruita la fattispecie normativa, ne
deriva che è necessario scindere quoad effectum le due ipotesi che essa
implicitamente prevede: da un lato, l’ipotesi di sospensione dell’attività, in
relazione alla quale, se non vi è permanenza dell’obbligo della
retribuzione-corrispettivo, non vi è nemmeno obbligo di pagamento del minimale;
dall’altro, l’ipotesi di riduzione dell’attività, nella quale, sussistendo una
retribuzione, seppure parziale, esprime tutto il suo vigore la regola del
minimale e della tassatività delle ipotesi di esclusione (così, testualmente, Cass. n. 5233 del 2007, più volte cit.).

8. Ciò posto, reputa il Collegio che la vicenda in
esame, in cui si controverte della legittimità della pretesa dell’INAIL di
parametrare sulla retribuzione imponibile per l’orario normale contrattuale i
premi dovuti sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori assunti a part-time
in eccedenza rispetto al limite del 3% previsto dal contratto collettivo
applicabile, debba essere ricondotta alla seconda delle due ipotesi dianzi
esposte.

9. Nel sistema del minimale contributivo che si è
fin qui delineato, la funzione cui la cennata disposizione contrattuale
collettiva assolve non è, a ben vedere, quella di porre limiti all’autonomia
negoziale delle parti private, ma piuttosto quella di individuare il
complessivo valore economico delle retribuzioni imponibili di una data impresa,
commisurando (anche) quelle eccedenti il divieto di assumere a part-time oltre
il limite del 3% della forza- lavoro occupata al valore della retribuzione
dovuta per l’orario normale di lavoro: è infatti evidente che, facendo divieto
alle imprese di assumere operai a tempo parziale per una percentuale superiore
al 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato, il contratto
collettivo individua ad un tempo nella retribuzione dovuta per l’orario normale
di lavoro la misura del compenso spettante ai lavoratori assunti a part-time
oltre tale limite e dunque incrementa pro tanto il valore complessivo delle
retribuzioni imponibili ai fini del calcolo del minimale contributivo, che –
come s’è già detto – è calcolo che prescinde dalla circostanza che esse siano
effettivamente corrisposte ai lavoratori occupati.

10. Sotto questo profilo, risulta affatto inconferente
il richiamo operato nella sentenza impugnata alla giurisprudenza di questa
Corte in tema di part-time irregolare, secondo il quale solo in caso di
contratto di part-time nullo, ma che abbia avuto nondimeno esecuzione, dovrebbe
applicarsi il regime ordinario di contribuzione che prevede anche i minimali
giornalieri di retribuzione imponibile ai fini contributivi (così Cass. S.U. n. 12269 del 2004), giacché la
commisurazione dell’imponibile contributivo alla retribuzione normale non
deriva qui da (né necessita di) una fattispecie di nullità del contratto di
lavoro part-time stipulato inter partes, ma costituisce semplicemente la
conseguenza della previsione contrattuale collettiva circa il valore economico
complessivo delle retribuzioni imponibili dell’impresa edile, che – a termini
dell’art. 29, d.l. n. 244/1995
– può essere suscettibile di abbattimento solo nei casi di (legittima)
sospensione e non già in quelli di riduzione dell’attività lavorativa, in cui,
permanendo il sinallagma funzionale del rapporto e sussistendo una
retribuzione, sia pur parziale, la regola del minimale e della tassatività
delle ipotesi di esclusione riprende appieno il suo vigore.

11. Argomentare diversamente, invero, equivarrebbe
non soltanto a misconoscere la portata del principio di autonomia del rapporto
contributivo rispetto all’obbligazione retributiva (che, come si è dianzi
ricordato, concerne non soltanto l’ammontare della retribuzione c.d.
contributiva, ma altresì l’orario di lavoro da prendere a parametro, che
dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva
o quello superiore previsto dal contratto individuale), ma soprattutto a
scambiare per un’ipotesi di sospensione del sinallagma funzionale del contratto
quella che, a tutti gli effetti, è soltanto un’ipotesi di riduzione
dell’attività lavorativa normalmente dovuta per contratto, la quale – giusta la
previsione dell’art. 29, d.l.
n. 244/1995, cit. – in tanto può modificare la misura delle obbligazioni
contributive dell’impresa in quanto sia contenuta nel limite previsto dalla
contrattazione collettiva.

12. Pertanto, non essendosi i giudici di merito
attenuti all’anzidetto principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e
la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Milano che provvederà
anche sulle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano cui demanda anche la regolazione
delle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 maggio 2020, n. 8794
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