La platea dei dipendenti da espellere può essere circoscritta al reparto o settore soppresso solo in ragione di oggettive esigenze aziendali. Il relativo accordo sindacale deve contenere criteri di scelta rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità

Nota a Cass. ord. 7 gennaio 2020, n. 118

Francesco Belmonte

In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora la ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una determinata unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati dal provvedimento espulsivo può essere limitata agli addetti a quel reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali (provate dal datore di lavoro) in relazione al progetto di riorganizzazione dell’impresa. In caso contrario, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare la comparazione dei licenziandi con gli addetti agli altri reparti in funzione. Tale obbligo non è superabile neppure in presenza di un accordo sindacale che limiti l’ambito di scelta al reparto soppresso.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione (7 gennaio 2020, n. 118), in relazione alla legittimità del licenziamento collettivo intimato ad un dipendente in conseguenza della soppressione del settore in cui era impiegato.

Nel caso di specie, la società aveva risolto il rapporto di lavoro in ragione di un accordo sindacale in cui era stato indicato, tra i profili eccedentari, il dipendente in questione, quale unico addetto al reparto anticementante che l’azienda aveva deciso di sopprimere.

Tuttavia, come correttamente evidenziato dai giudici di merito, l’accordo citato non poteva ritenersi valido, in quanto l’impresa era tenuta ad effettuare, prima di intimare il recesso, la comparazione del dipendente con gli altri lavoratori addetti ai reparti attivi.

Difatti, il licenziando possedeva molteplici professionalità (“autista addetto al magazzino, con specifica professionalità per utilizzo di carrello elevatore, operaio addetto a composizione cariche e tempre spina, come risultante dal libretto di lavoro in atti”), equivalenti a quelle possedute dai colleghi.

Tali argomentazioni sono condivise dalla Cassazione, la quale si sofferma, tra l’altro, ad analizzare la natura dell’accordo sindacale predetto, rammentando che tra imprenditore e sindacati può intercorrere, in base a quanto sancito dall’art. 5, L. 23 luglio 1991, n. 223, “un accordo inteso a disciplinare l’esercizio del poter di collocare in mobilità i lavoratori in esubero, stabilendo criteri di scelta anche difformi da quelli legali, purché rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità, proprio perché l’accordo adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge (v. Corte Cost. n. 268/1994; Cass. n. 4186/2013 e Cass. n. 9866/2007)”

Ciononostante, nella fattispecie in questione, “l’accordo raggiunto non ha rispettato i principi di razionalità e di non discriminazione” perché non ha tenuto conto, nel prevedere il licenziamento dell’unico addetto al reparto da sopprimere delle professionalità da quest’ultimo possedute e delle posizioni lavorative che egli avrebbe potuto occupare proprio in ragione di dette competenze acquisite durante il rapporto lavorativo.

Licenziamento collettivo, scelta dei licenziandi e accordo sindacale
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