Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 giugno 2020, n. 10866

Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense, Pensione
di vecchiaia, Trattamento inferiore a quello spettante, Mancata inclusione
nella base di calcolo dei contributi versati ex art. 10, co. 1, lett. b), L. n.
576/1980, Riliquidazione della pensione, Non sussiste, Carattere
solidaristico del medesimo contributo

 

Fatti di causa

 

1. L’avv. G.F. conveniva davanti al Tribunale del
lavoro di Napoli la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense (d’ora
in avanti Cassa) deducendo che: in seguito all’ammissione al pensionamento di
vecchiaia in data 1.1.2005 aveva fruito di un trattamento inferiore a quello
spettategli; la pensione era stata, infatti, calcolata dalla Cassa non
includendo nella base di calcolo anche i contributi versati ai sensi dell’art. 10 comma primo lett. b) I.
n. 576 del 1980 e, per tale ragione, ne chiedeva la condanna, previa
riliquidazione della pensione, al pagamento delle differenze pensionistiche
spettanti sui ratei già erogati. In subordine, chiedeva la restituzione della
predetta contribuzione versata.

2. Nella resistenza della convenuta il Tribunale, in
accoglimento del ricorso, accertava che la pensione di vecchiaia del ricorrente
doveva essere determinata prendendo a base di calcolo anche la contribuzione di
cui all’art. 10, primo comma
lett. b) I. n. 576 del 1980, in ragione del fatto che il Regolamento della
Cassa era stato modificato con provvedimento del 31.12.2009 e condannava la
Cassa al pagamento dei ratei e degli arretrati nella misura richiesta.

3. Proposto gravame da parte della Cassa, la Corte
d’appello di Napoli riformava la sentenza di primo grado e rigettava la domanda
osservando che la modifica regolamentare intervenuta nel 2009, relativa al
sistema di liquidazione della pensione, non era applicabile ratione temporis
alla pensione dell’avvocato F., pensione contributiva disciplinata dal
Regolamento del 23 luglio 2004, in applicazione dei principi introdotti dalla legge n. 335 del 1995; da ciò desumeva la
legittimità dell’esclusione dalla base di calcolo della pensione del contributo
soggettivo del 3% sul reddito prodotto, dato il carattere solidaristico del
medesimo contributo. La Corte territoriale rigettava, infine, l’appello
incidentale condizionato proposto dall’avvocato F., alla luce della giurisprudenza
di legittimità che aveva confermato la conformità a legge dell’art. 4, comma 1,
del Regolamento della Cassa che aveva determinato la sostanziale abrogazione
dell’obbligo di restituire i contributi legittimamente versati di cui all’art. 21 I. n. 576 del 1980.

4. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione
l’avvocato G.F. sulla base di quattro motivi poi ulteriormente illustrati da
memoria.

La Cassa resiste con controricorso pure illustrato
da memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione a tutti i
principi fondamentali introdotti con la riforma del sistema previdenziale di
cui alla legge n. 335/1995, quali i principi di
proporzionalità, corrispettività e reciprocità, nonché in relazione all’art. 2 Cost. ed agli artt. 10,11,21 I. n 576 del 1980. In
particolare, il ricorrente rileva che la sentenza impugnata ha impostato il
proprio ragionamento sulla errata considerazione che l’esclusione dal calcolo
della pensione contributiva liquidata al F. dell’intera contribuzione versata
al 3% sarebbe conforme ai principi espressi dalla legge
n. 335 del 1995 ed anche a quello di corrispettività, poiché il rispetto di
tale principio andrebbe valutato quanto all’an della pensione e non al quantum.
Ciò sarebbe dimostrato, secondo la sentenza impugnata, dal fatto che l’art. 4
del Regolamento, come modificato con delibera del 23 luglio 2004, aveva
consentito il riconoscimento della pensione de qua con soli 19 anni di
contribuzione versata. Tale ragionamento, a parere del ricorrente, sarebbe
viziato in quanto in palese violazione della regola, propria di ogni sistema
pensionistico di tipo contributivo, secondo la quale va rispettata una rigorosa
proporzionalità tra tributi versati e prestazioni previdenziali, al contrario
di ciò che avviene nei sistemi di tipo remunerativo. La fragilità
dell’argomento, ad avviso del ricorrente, emergerebbe anche dalla motivazione addotta
al fine di rigettare l’appello incidentale condizionato, motivazione che si
incentra sul richiamo alla sentenza della Corte di
cassazione n. 12209 del 2011 con l’affermazione dell’esistenza di un
principio di reciprocità tra prestazione e controprestazione.

2. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame
di un fatto decisivo per il giudizio e violazione e falsa applicazione di norme
di diritto in relazione a tutti i principi di cui alla legge n. 335 del 1995 nonché in relazione agli articoli 2, 3, 4, 35, 36 e 38 della Carta
Fondamentale. Il ricorrente torna ad evidenziare la incoerenza con il
sistema pensionistico proprio della Cassa forense della tesi sostenuta dalla
sentenza impugnata. La illegittimità della sentenza, ad avviso del ricorrente,
emergerebbe con evidenza considerando che, seguendo l’interpretazione scelta
dalla Corte territoriale, l’importo della pensione del F. sarebbe stato di soli
euro 746,86 a fronte di contributi versati per euro 290.187,52, dato del tutto
ignorato.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 10,11 e 21 I. n. 576 del 1980,
laddove la sentenza impugnata ha confermato il carattere solidaristico della
quota contributiva del 3%, sostenendo che la specifica esclusione dell’utilizzo
a fini pensionistici di tale contribuzione attua i principi di cui alla legge n. 335 del 1995. Ad avviso del ricorrente,
tale ragionamento sarebbe del tutto contrario ai principi ispiratori del
sistema come confermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 5098 del
2003) che aveva negato natura solidaristica ai contributi al 3%.

4. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 21 I.
n. 576 del 1980 e dell’art.
3, comma 12, I. n. 335 del 1995, con riguardo al rigetto dell’appello
incidentale condizionato, proposto al fine di ottenere se non il ricalcolo
della pensione almeno la restituzione della contribuzione al tre per cento
versata, in quanto dalle norme sopra indicate non potrebbe trarsi la
conclusione che il sistema conosca ed ammetta ipotesi di versamento
contributivo a fondo perduto. Infatti, ad avviso del ricorrente, come già
chiarito da Cass. n. 5098 del 2003, seppure la soppressione della previsione
del rimborso della contribuzione non utilizzabile a fini pensionistici è
certamente correlata al sopravvenuto riconoscimento di un diritto a pensione
con requisiti più accessibili, deve ritenersi che tale nuovo sistema sia
espressione di un principio di maggior favore che non può comportare
l’esclusione del rimborso del contributo al tre per cento, prima garantito
dall’art. 21 della I. n. 576
del 1980.

5. I primi quattro motivi, da trattarsi
congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. E’ opportuno ricordare che
il ricorrente è titolare di pensione contributiva ex art. 4 Regolamento
generale della Cassa come modificato con delibera del 23 luglio 2004. Tale
prestazione deriva dalla contestuale previsione che i contributi versati alla
Cassa non sono più restituibili agli iscritti ed ai loro aventi causa, ad
eccezione di quelli relativi ad anni non riconosciuti validi ai fini del
pensionamento per mancanza del requisito della continuità dell’esercizio
professionale (art. 22 della
legge n. 576/80). La disposizione regolamentare ha sostituito l’istituto
del rimborso dei contributi, di cui all’art. 21 della legge n. 576/80,
con la pensione contributiva sempre che l’iscritto non si sia avvalso degli
istituti della ricongiunzione o della totalizzazione presso altri enti
previdenziali, né intenda proseguire nei versamenti alla Cassa al fine di
conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, calcolata con il sistema
retributivo ordinario.

6. Le modalità di calcolo contributivo sono quelle
previste nel sistema generale (INPS), dalla legge
335/95. I contributi soggettivi che confluiscono nel montante da utilizzare
per il calcolo sono solo quelli versati entro il “tetto” reddituale
sottoposto all’aliquota del 10% (sono cioè esclusi, come nel regime ordinario,i
contributi versati, a titolo di solidarietà, con l’aliquota del 3%) nonché le
somme versate a titolo di riscatto o ricongiunzione. Nel sistema di calcolo
contributivo incide l’età del soggetto alla data in cui viene richiesta la
pensione (irrilevante invece nel calcolo retributivo).

7. Ciò in quanto il sistema contributivo,
attribuendo rilievo alla residua aspettativa di vita del pensionando, prevede
un aumento dei coefficienti di calcolo proporzionali all’età del soggetto
richiedente.

8. Il ricorrente denuncia l’illegittimità del
sistema delineato dal Regolamento in esame che ritiene in contrasto sia con il
sistema previdenziale delineato dalla legge n. 335
del 1995 che con le previsioni specifiche della legge
n. 576 del 1980.

9. Questa Corte, a proposito della efficacia
dell’attività regolamentare della Cassa Forense all’interno del sistema delle
fonti, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2,
comma 1, e della L. n. 335 del
1995, art. 3, comma 12, si è pronunciata in diverse occasioni (Cass. n. 24202 del 16 novembre 2009; Cass. 12209/2011; Cass. 19981/2017; Cass. 4980/2018) con orientamento, cui si intende
dare continuità, che previa ricognizione del quadro normativo come interpretato
dalla precedente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ritiene che:
a) il nuovo ente, sorto per effetto del D.Lgs. 30
giugno 1994, n. 509 in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, non fruisce
di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantiene
la funzione di ente senza scopo di lucro cui continuano a fare capo i rapporti
attivi e passivi ed il patrimonio del precedente ente previdenziale; b) tale
ente ha assunto la personalità giuridica di diritto privato con il mantenimento
dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi
di amministrazione (oggi più penetranti per effetto della L. n. 111 del 2011, art. 14) in
aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei conti ed a
quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 56:
dunque è rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività
istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dall’ente originario, non
incidendo su di esso la modifica degli strumenti di gestione legati alla
differente qualificazione giuridica e permanendo l’obbligatorietà della
contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine
previdenziale come affermato da Corte
costituzionale n. 248 del 18 luglio 1997, oltre che del principio di
autofinanziamento (vedi Corte cost. n. 340 del 24
luglio 2000); c) il riconoscimento, operato dalla legge in favore del nuovo
soggetto, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile
che, comunque, non esclude l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio
(vd. Corte cost. n. 15/1999), ha realizzato una
sostanziale delegificazione attraverso la quale, nel rispetto dei limiti
imposti dalla stessa legge, è concesso alla Cassa di regolamentare le
prestazioni a proprio carico regolamentare le prestazioni a proprio carico
anche derogando a disposizioni di leggi precedenti, secondo paradigmi
sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore
della contrattazione collettiva (vd. Cass. n. 29829 del 19 dicembre 2008;
15135/2014).

10. L’operatività di tale delegificazione
all’interno del sistema delle fonti, deve aggiungersi, è stata confermata dalla
Corte costituzionale con l’ordinanza n. 254/2016
in relazione alla questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo
all’art. 3 Cost., tra l’altro, del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509,
art. 1, comma 4, art. 2,
comma 2, e art. 3, comma 2,
in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art.
1, comma 32, e della L. 8 agosto 1995, n. 335,
art. 3, comma 12, in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della
Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense
19 settembre 2008. La citata ordinanza, dopo aver richiamato la giurisprudenza
di questa Corte di cassazione relativa alla “sostanziale
delegificazione” della materia, ha ribadito che la giurisdizione del
giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 134
Cost., non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti
di “delegificazione” (Corte cost. n. 427 del 2000) e, proprio con
riferimento alle fonti di valore regolamentare, adottate in sede di
“delegificazione”, la garanzia costituzionale va ricercata, a seconda
dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge
abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia ad essa
riconducibile, per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali o per
aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono;
o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri
spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed
esclusivo del regolamento stesso (Corte cost. n. 427 del 2000).

11. La peculiare delegificazione appena descritta,
dunque, realizza la scelta legislativa di riconoscere l’autonomia regolamentare
della Cassa nella materia indicata nella L. n. 335 del 1995, art. 3,
comma 12, e l’effettivo esercizio del relativo potere, attraverso l’adozione
dell’art. 4 del Regolamento generale che ha esteso il divieto di rimborso dei
contributi, principio generale dell’intero sistema previdenziale (Corte cost. n. 404/2000), ha necessariamente
prodotto l’effetto abrogativo delle precedenti disposizioni contenute nella L. n. 576 del 1980, art. 21.
Ciò a prescindere dalla esistenza di una esplicita indicazione da parte della
legge di delegificazione, posto che l’effetto abrogativo deriva comunque dalla
forza normativa della legge che dispone la delegificazione e la determinazione
del testo abrogato va fatta sulla base dell’interpretazione delle disposizioni
in essa contenute.

12. Nella fattispecie in esame, in particolare, la
materia oggetto di delegificazione è stata ravvisata dalla citata sentenza di
questa Corte di cassazione n. 24202/2009 nella
previsione della L. n. 335 del
1995, art. 3, comma 12, nella formulazione originaria di attribuzione del
potere di adottare provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di
riparametrazione del coefficiente di rendimento o di ogni altro criterio di
determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del prò
rata. E’ questa la base giuridica ed il parametro di legittimità dell’art. 4
del Regolamento della Cassa nel testo risultante dalle delibere approvate con D.M. 24 giugno 2004, e D.M. 16 maggio 2005.

13. L’effetto abrogativo, peraltro, non dipende
neanche dal rispetto delle forme previste dalla L. n. 400 del 1988, art. 17,
comma 2, poiché tale testo, seppure nelle intenzioni ispirato a costituire
modello generale di riferimento dell’affidamento alla fonte secondaria di
materia prima regolate dalla legge, si è in concreto accompagnato a numerose
statuizioni di legge per specifiche materie che o rinviano a questa
disposizione con delle varianti, oppure stabiliscono autonome procedure più o
meno simili (ad es. L. 24
dicembre 1993, n. 537, art. 2, commi 7 e 9).

14. La delegificazione in oggetto risulta
legittimamente adottata in assenza di una riserva assoluta di legge in materia
di regolamentazione da parte della Cassa degli obblighi contributivi e di
rimborso dei contributi versati, né si ravvisa alcuna violazione delle finalità
indicate dalla legge di delegificazione.

15. Risponde, inoltre, a canone di razionalità il
disposto dell’art. 4 del Regolamento della Cassa sopra indicato, nella parte in
cui lo stesso ha previsto la facoltà per l’ente di optare per il sistema
pensionistico contributivo a condizione di maggior favore per gli interessati
stabilendo, al contempo, il divieto di rimborso della contribuzione
legittimamente versata.

16. La tesi del ricorrente muove dall’erroneo
presupposto che sia operante una sorta di necessaria corrispettività tra
contribuzione versata e divieto di rimborso dei contributi legittimamente
versati, per cui non rispetterebbe tale relazione il trattamento contributivo
commisurato ai soli contributi versati al 10%. Tale presupposto non esiste,
anzi alla luce di Corte costituzionale n. 404/2000,
si deve rammentare che “l’istituto della restituzione dei contributi
costituisce un tratto peculiare della previdenza dei liberi professionisti…,
che non trova corrispondenza nel regime dell’assicurazione generale
obbligatoria (salvo talune limitatissime eccezioni…., nel quale vige
l’opposto principio dell’acquisizione, alla gestione previdenziale di
appartenenza, dei contributi debitamente versati, nonostante che gli stessi non
siano utili per l’insorgenza di alcun trattamento pensionistico. Il previsto
rimborso da parte di alcune casse professionali dei contributi versati non
vale, peraltro, a far venire meno quel principio solidaristico che, nel
rappresentare l’impronta caratteristica della previdenza obbligatoria generale,
tende, come più volte evidenziato dalla Corte (tra le altre, vedi sentenze n.
450 del 1993 e n. 390 del 1995), ad ispirare ormai anche la previdenza dei
liberi professionisti, almeno secondo il modello in essa più diffuso, nel quale
detto principio, sia pure con valenza endocategoriale, normalmente concorre,
combinandosi con quello di corrispettività tra contribuzione e prestazioni, a
garantire, a tutti i membri della categoria, una prestazione minima”. E
ciò in quanto, secondo la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale
citata, l’istituto del rimborso contributivo “non implica necessariamente
la corrispettività tra contributi e pensioni, ma soltanto una particolare
configurazione dei doveri di solidarietà comunque posti a carico di tutti gli
iscritti” (vedi sentenze n. 133 e n. 132 del 1984). Prevale l’esigenza di
tutela dei livelli di finanziamento del sistema previdenziale della categoria
professionale e la tutela degli equilibri finanziari del medesimo; non può non
restare affidato alle valutazioni discrezionali del legislatore di stabilire in
quale misura l’interesse dei singoli alla restituzione dei contributi sia
suscettibile di contemperamento con il principio di solidarietà (vedi sentenza
n. 450 del 1993, già cit.).

17. Da ultimo, e per le medesime considerazioni
sopra riportate in relazione alla legittimità dell’art. 4 del Regolamento cit.,
va disatteso anche il quarto motivo, che riprende la domanda subordinata di
rimborso della contribuzione al tre per cento, quale trattamento di maggior
favore, rivendicando l’applicazione dell’art. 21 della L. n. 576 del 1980,
ormai abrogato.

18. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese
di lite seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00
per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre spese generali nella
misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis,
ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 giugno 2020, n. 10866
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