Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 luglio 2020, n. 14082

Società appaltatrice, Responsabilità civile per infortunio,
Danni da perdita della capacità lavorativa specifica, Predisposizione delle
cautele necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità dei
lavoratori, Ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro
– Evento riferibile a colpa, Violazione di obblighi di comportamento,
concretamente individuati, Norme di legge, di regolamento o contrattuali
ovvero suggeriti dalla tecnica e dall’esperienza

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 27 ottobre 2015, la Corte
d’appello di Milano ha respinto l’impugnazione proposta dalla C.I.T. s.a.s.
avverso la sentenza del locale Tribunale che ne aveva ritenuta la civile responsabilità
per l’infortunio occorso il 21 giugno 2005 a N.A., condannandola, in solido con
B. S.p.a. e R. s.r.l. al pagamento dei danni non patrimoniale e da perdita
della capacità lavorativa specifica respingendo, altresì, la domanda di manleva
avanzata dalla C.I.T. nei confronti di M. Assicurazioni S.p.A.

1.1. In particolare, il giudice di secondo grado ha
ritenuto che la responsabilità di C.I.T. s.a.s. oltre che degli altri soggetti
in relazione ai quali era stato compiuto l’accertamento dal primo giudice,
discendesse dal fatto che la stessa società era stata appaltatrice delle opere
di manutenzione straordinaria – consistenti nell’ampliamento e nel
potenziamento di impianti e macchine industriali – e subappaltate alla R.
s.r.l. presso lo stabilimento B. S.p.A. in Norvegia nel quale era avvenuto
l’infortunio; segnatamente, ivi, attraversando una buca di due metri di
lunghezza e altri due di larghezza, creata per raggiungere i locali interrati
mediante una semplice scala a pioli, il dipendente A. era caduto procurandosi
le gravi lesioni subite.

La Corte ha poi negato che l’utilizzazione della
scala stessa potesse configurare un concorso di colpa del danneggiato, dovendo
escludersi in tale comportamento quei tratti di anomalia ed imprevedibilità
necessari per il concorso medesimo.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso,
assistito da memoria, la C.I.T. s.a.s., affidandolo a quattro motivi.

2.1. Resiste, con controricorso, U. Assicurazioni
S.p.A., A. Europe LTD ha soltanto presentato memoria, mentre N.A., B. S.p.a.,
M.M.R. e L.R. quali eredi di M.R., socio della R. s.r.l., sono rimasti
intimati.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione dell’art. 2087 cod. civ. allegandosi
il carattere esorbitante della condotta del lavoratore in quanto idonea ad
escludere il nesso di causalità.

1.1. Con il secondo motivo si deduce la violazione
degli artt. 1362 e 1363
cod. civ. in ordine alla operatività della polizza assicurativa e delle
clausole ad essa connesse, con il terzo motivo, la violazione dell’art. 1367 cod. civ. per aver la Corte adottato una
interpretazione della condizione particolare sub O) di polizza atta a privarla
di effetti, mentre, infine, con il quarto motivo si denunzia la violazione
dell’art. 1370 cod. civ., in punto di clausola
ambigua da interpretarsi a sfavore del predisponente e, quindi, della società
assicuratrice.

2. Il primo motivo non può trovare accoglimento.

Va premesso, al riguardo, che, secondo quanto
previsto dall’art. 2087 del codice civile, il
datore di lavoro, nell’esercizio dell’impresa, deve adottare tutte le cautele
necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità dei lavoratori. A
tal fine, egli deve tenere conto sia della particolarità del lavoro che
dell’esperienza e della tecnica.

La norma in questione si pone come principio generale,
che trova una migliore esplicazione nella normativa speciale in materia di
prevenzione e assicurazione degli infortuni sul lavoro, ma i cui confini sono
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro;
essa ha valore integrativo rispetto a tale legislazione e costituisce una norma
di chiusura del sistema antinfortunistico.

L’art. 2087 cod. civ.
impone all’imprenditore, in ragione della sua posizione di garante
dell’incolumità fisica del lavoratore, di adottare tutte le misure atte a
salvaguardare chi presta la propria attività lavorativa alle sue dipendenze.

Come noto, le misure da adottare vanno distinte tra
:1) quelle tassativamente imposte dalla legge; 2) quelle generiche dettate
dalla comune prudenza; 3) quelle ulteriori che in concreto si rendano
necessarie.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità
(cfr., fra le più recenti, Cass. n. 26495 del
19/10/2018) la norma in esame non contempla una ipotesi di responsabilità
oggettiva a carico del datore di lavoro, con la conseguenza di ritenerlo
responsabile ogni volta che il lavoratore abbia subito un danno nell’esecuzione
della prestazione lavorativa, occorrendo sempre che l’evento sia riferibile a
sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento, concretamente
individuati, imposti da norme di legge e di regolamento o contrattuali ovvero
suggeriti dalla tecnica e dall’esperienza (ex plurimis, Cass. n. 3785 del 2009; Cass. n. 6018 del 2000, Cass. n. 1579 del 2000).

D’altro canto, ai fini dell’accertamento della
responsabilità datoriale, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a
causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare
l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro,
nonché il nesso tra l’uno e l’altro, mentre grava sul datore di lavoro – una
volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – l’onere di
provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver
adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno
medesimo (ex plurimis, Cass. n. 24742 del 2018;
Cass. n. 14865 del 2017; Cass. n. 2038 del
2013; Cass. n. 3788 del 2009; Cass. n. 12467 del 2003; di recente, in
motivazione, Cass. n. 12808 del 2018).

2.1. E’ evidente, quindi, in base alla
giurisprudenza di questa Corte, che il mero fatto di lesioni riportate dal
dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non
determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro,
occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di lavoro (cfr.,
tra le altre, Cass. n. 2038 del 2013).

La responsabilità del datore di lavoro, quindi, va
collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di
legge ma anche suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa
dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare
l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro,
nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la
prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di
avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno
e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali
obblighi.

Nondimeno, va rilevato che (V. sul punto, Cass. n. 3786 del 2009 e Cass. n. 13956 del 2012, pur non configurando la
responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 cod.
civ. un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essa, tuttavia, non è circoscritta
alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e
collaudate, sanzionando anche, alla luce delle garanzie costituzionali del
lavoratore, l’omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a
preservare l’integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto
conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di
indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico
(si veda, altresì, Cass. n. 24742 del 2018).

Va infine osservato che il datore di lavoro è
responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia se ometta di adottare
le idonee misure protettive, sia se non accerti e vigili che di queste misure
venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente (Cass. n. 5695 del 2015;
Cass. n. 27127 del 2013; Cass. n. 9661 del 2012; Cass. n. 5493 del 2006).

3. Orbene, nel caso di specie, la Corte, ampiamente
motivando sul punto, ha accertato che il lavoratore era intento a coadiuvare i
propri colleghi nel montaggio di un quadro elettrico, realizzando staffe di
metallo e saldature di particolari canaline, operazione in rapporto funzionale
con l’attività di controllo della temperatura e del flusso dell’acqua di
raffreddamento quale attività rientrante nella manutenzione meccanica oggetto
di subappalto in capo alla società B.

Essa ha, quindi, ritenuto che la responsabilità di
tutti i soggetti coinvolti, a partire dalla C.I.T. derivasse dal fatto che
quest’ultima fosse appaltatrice delle opere di manutenzione straordinaria
appaltate alla R. s.r.l. e subappaltate alla B.

3.1. Ha poi accertato, sul punto che in questa sede
segnatamente rileva, che la circostanza che ai medesimi locali in cui doveva
svolgersi attività lavorativa si potesse accedere mediante scale di marmo, non
fosse idonea ad esonerare da responsabilità la società, non potendosi escludere
che per comodità il personale scendesse nello scantinato dalla bocca di lupo
come effettivamente di frequente accadeva secondo le dichiarazioni del teste
P.; ne è conseguita, secondo la Corte, la responsabilità del datore di lavoro
che avrebbe dovuto imporre che per elementare regola di prudenza non potesse
essere utilizzato uno strumento pericolosamente instabile, come una scala a
pioli, fosse stata o meno data in dotazione, né l’utilizzazione della scala
stessa, secondo il Collegio, poteva comportare un concorso di colpa
dell’infortunato, non presentando nel caso concreto, come accertato in
giudizio, quei tratti di anomalia ed imprevedibilità richiesti per tale
concorso.

A conferma di ciò, il giudice di secondo grado ha
rilevato che dopo l’infortunio subito dall’A., l’anomalo ingresso non era mai
stato chiuso, bensì dotato di una scala fissa in legno con corrimano, a
dimostrazione della necessità di un accesso per quella via allo scantinato ove
si effettuavano i lavori.

3. Ritiene il Collegio che tale motivazione consenta
di reputare congruamente applicati i principi dettati in sede di legittimità in
tema di obblighi di protezione gravanti sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ.

Invero, l’unica verifica che può essere effettuata
in questa sede induce ad affermare che la valutazione, eminentemente fattuale,
della Corte territoriale circa la ricostruzione dell’accaduto, appare condotta
secondo i canoni che presiedono alle cautele ed alla responsabilità del datore
di lavoro per l’incolumità del lavoratore, come ricostruiti in sede di
legittimità.

In particolare, dalle argomentazioni del Collegio
deve escludersi che, in base ad una valutazione fattuale, del tutto sottratta
al sindacato di legittimità, il comportamento del dipendente avesse assunto
quei tratti di esorbitanza configurabili in termini di anomalia imprevedibile
idonea ad interrompere il nesso di causalità fra l’ambiente nocivo,
adeguatamente dimostrato nella specie alla luce della utilizzazione della scala
a pioli nel lungo pertugio, ed il danno riportato.

4. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, da
esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono infondati e, pertanto,
non possono essere accolti.

Occorre premettere, al riguardo, che
l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità
solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la
quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito
abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del
testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più
interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto
l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del
fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n.
11254 del 10/05/2018).

D’altro canto, l’art.
1362 c.c., allorché nel comma 1 prescrive all’interprete di indagare quale
sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale
delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario,
intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni
usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia
divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa
interpretazione non è ammissibile (Cfr., fra le più recenti, Cass. n. 21576 del
21/08/2019).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, con
valutazione conforme ai criteri ermeneutici che presiedono all’interpretazione
della clausole negoziali, ha confermato la decisione di primo grado secondo cui
doveva essere esclusa l’operatività della garanzia assicurativa di M.
Assicurazioni S.p.A., reputandosi non coperti dalla polizza i danni riportati
dai dipendenti dei subappaltatori in quanto non rientranti nella definizione di
terzi ai sensi dell’art. 2 lett. D) delle condizioni generali – clausola che
esclude dal novero dei terzi i subappaltatori e loro dipendenti nonché tutti
coloro che, indipendentemente dalla natura del loro rapporto con l’assicurato,
subiscono il danno in conseguenza della loro partecipazione manuale
all’attività a cui si riferisce l’assicurazione – sul presupposto che R.
s.r.l., fosse un subappaltatore di C.I.T. s.a.s. e l’A. dipendente di
quest’ultima.

La Corte ha altresì confermato la conclusione del
Tribunale nell’escludere l’applicazione della condizione particolare di cui
alla lettera O), secondo cui, in deroga al disposto del citato articolo 2 lett.
d) delle condizioni generali, non sono considerati terzi i titolari e
dipendenti di ditte che occasionalmente partecipino all’attività formante
oggetto dell’assicurazione.

Secondo la Corte quindi la deroga all’esclusione
della copertura assicurativa per i terzi richiamata dalla difesa della C.I.T.,
si riferisce a chi partecipi occasionalmente all’attività di impresa,
circostanza esclusa nella fattispecie in esame, ove si è ritenuto accertato un
rapporto di subappalto per la manutenzione straordinaria di impianti, per
definizione incompatibile con la partecipazione occasionale all’attività
imprenditoriale della società appaltatrice, ed in concreto svoltasi con
caratteristiche atte ad escluderne qualsivoglia occasionalità della
partecipazione di R. s.r.l. e del suo dipendente A. all’attività oggetto del
contratto di assicurazione.

4. Come è evidente, tale valutazione, del tutto
immune da vizi logici e non implausibile conformemente alla giurisprudenza di
questa Corte, non può che dirsi sottratta al sindacato di legittimità, né
sussiste alcuna ambiguità nella interpretazione della clausola contrattuale
(con connessa violazione dell’art. 1370 cod. civ.),
invece perfettamente chiara nel suo contenuto – ambiguità che condurrebbe,
secondo la tesi di parte ricorrente, ad optare per una interpretazione
favorevole a se stessa vertendosi in tema di regolamento contrattuale
predisposto dalla società assicuratrice.

4.1. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il
ricorso deve essere respinto.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo in favore dell’unica parte ritualmente costituita.

6. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore della parte costituita, delle spese di lite, che
liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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