Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 settembre 2020, n. 19245

Riconoscimento dell’esposizione all’amianto, Benefici ex art. 13 I. n. 257/1992, Prova
dell’esposizione qualificata ultradecennale

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 1149
del 2013, ha accolto l’appello proposto da V.L.F. (già dipendente di vari
cantieri navali con mansioni di addetto al montaggio e smontaggio di
carpenteria metallica in capannoni ed a bordo di navi) avverso la sentenza di
primo grado che aveva rigettato la sua domanda volta al riconoscimento
dell’esposizione all’amianto al fine di ottenere i benefici previsti dall’art. 13 I. n. 257 del 1992;

il primo giudice, posto che l’INAIL aveva
riconosciuto l’esposizione qualificata solo per l’anno 1981 nel quale il La
Felice aveva lavorato per la C., aveva rigettato la domanda non ritenendo
integrata la prova dell’esposizione qualificata ultradecennale;

ad avviso della Corte territoriale, invece, tale
prova doveva trarsi dal materiale probatorio offerto dall’istante sull’ambiente
lavorativo in cui nel tempo lo stesso aveva operato e con gli altri elementi
documentali ricavabili dalle certificazioni prodotte in giudizio e ciò pur
dovendosi escludere dal periodo utile quello compreso tra il maggio 1987 ed il
dicembre 1990, in cui il ricorrente aveva svolto attività autonoma;

in particolare, doveva riconoscersi l’effettiva
esposizione qualificata all’amianto nel periodo di dipendenza presso la C. e c.
s.p.a., come si evinceva dal certificato rilasciato dall’Ispettorato
Provinciale del lavoro, ai sensi del DM 27.10.2004,
trattandosi di impresa sottoposta a fallimento e definitivamente cessata, che
attestava l’esposizione al rischio amianto nei periodi dal 14 gennaio 1971 al
28 agosto 1976 e dal 19 settembre 1977 al 30 novembre 1980, nei quali il L.F.
aveva lavorato come carpentiere in ferro e che, sommati agli altri periodi
prestati presso la C., presso la S. s.p.a. e presso la CO.L.MO.FER s.n.c.,
integravano il decennio richiesto;

avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per
cassazione l’Inps sulla base di un motivo: violazione dell’art. 47 d.l. n. 269 del 2003
conv. in I. n. 326 del 2003 e del d.m. n. 16179
del 27 ottobre 2004, in relazione all’art. 360, n.
3 cod. proc. civ., in ragione del fatto che il giudizio positivo sulla
esposizione qualificata decennale era stato fondato sulla considerazione del
certificato rilasciato dall’Ispettorato del lavoro del 22 giugno 2013 che,
lungi dall’attestare l’esposizione qualificata, conteneva il solo curriculum
aziendale riferito alla durata del rapporto di lavoro ed alle mansioni svolte (
in ragione del disposto dell’art. 3, comma 5, d.m. di attuazione dell’art. 47 I. n. 326 del 2003,
essendo fallita la società datrice di lavoro ed essendo pure cessata
l’attività);

resiste V.L.F. con controricorso;

 

Considerato che

 

il motivo è da accogliere, anche se è necessario
procedere ad una qualificazione del vizio di violazione di legge fatto valere,
quanto alla norma di cui si assume la violazione, nel senso che ciò che in
sostanza si denuncia è la violazione dell’art. 2729
cod.civ. in tema di presunzioni; tale qualificazione è possibile in
applicazione del consolidato principio espresso da questa Corte di legittimità
(Cass. n. 21819 del 2017; n. 25044 del 2013; n. 17555 del 2013) secondo il
quale, in tema di ricorso per cassazione, l’indicazione delle norme di legge
che si assumono violate non costituisce requisito autonomo ed imprescindibile
del ricorso, ma è solo funzionale a chiarirne il contenuto e a identificare i
limiti della censura formulata, sicché la relativa omissione può comportare
l’inammissibilità della singola doglianza solo se gli argomenti addotti dal
ricorrente non consentano di individuare le norme e i principi di diritto
asseritamente trasgrediti, precludendo la delimitazione delle questioni
sollevate; il ricorrente, infatti, pur citando formalmente quale disposizione
violata quella di cui all’art. 47 I. n. 326 del
2003, ha denunciato l’erroneo svolgimento da parte della sentenza impugnata
del procedimento inferenziale secondo il quale il contenuto dell’attestato
rilasciato al L.F. dall’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Messina in data
22 giugno 2011, importerebbe, per via presuntiva, la dimostrazione
dell’effettiva esposizione qualificata all’amianto;

si tratta, dunque, della affermata violazione del
disposto dell’art. 2729 cod.civ. ed in tema di
presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre
caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza)
fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo
ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n.
3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5
dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio
della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata
esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il
profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino
ascrivibili alla fattispecie astratta;

in particolare, questa Corte di legittimità (Cass.
n. 2482 del 2019; Cass. n. 15454 del 2019) ha chiarito che l’art. 2729 c.c. ammette solo le presunzioni che
abbiano i connotati della gravità, precisione e concordanza, laddove: la
“precisione” va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il
punto di partenza dell’inferenza e postula che esso non sia vago, ma ben
determinato nella sua realtà storica; la “gravità” va ricollegata al
grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della
regola d’esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto; la
“concordanza” richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da
una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione
della sua sussistenza, dovendosi tuttavia precisare, al riguardo, che tale
ultimo requisito è prescritto esclusivamente nell’ipotesi di un eventuale, ma
non necessario, concorso di più elementi presuntivi; vale, dunque, il principio
per cui «in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma
erroneamente sotto i tre caratteri individua-tori della presunzione (gravità,
precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei
requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del
n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla
Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare
se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad
essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata
anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che
effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta» (Cass. 16
novembre 2018, n. 29635, Cass. 4 agosto 2017, n. 19485; Cass. 26 giugno 2008,
n. 17535); in particolare il giudizio sulla “gravità” e
“precisione” del ragionamento presuntivo, imposto dall’art. 2929 c.c., ha per oggetto la ricorrenza della
inferenza probabilistica impostata dal giudice del merito per desumere dal
fatto noto il fatto ignoto e si concretizza nel controllo, di stretta
legittimità, in ordine all’effettiva sussistenza, secondo parametri di elevata
probabilità logica insiti nei caratteri stessi di “gravita” e
“precisione”, della massima di esperienza su cui si è basato quel
ragionamento. Spetta infatti alla Corte di Cassazione il controllo su tale
massima di esperienza, quale parametro di legittimità che la norma pone
rispetto, in questo caso, alla valorizzazione della possibile connessione tra
determinati fatti quale requisito idoneo a fondare, ai sensi degli artt. 2729 ss c.c., la prova presuntiva; in
proposito, ritiene il collegio che desumere, senza ulteriori elementi fattuali,
che il contenuto di un certificato rilasciato dall’ispettorato del lavoro il 22
giugno 2013, attestante il servizio espletato dal L.F. presso la ditta C. e C.
s.p.a., possa far presumere che l’attività lavorativa in quella azienda abbia
comportato l’elevata probabilità della esposizione qualificata all’amianto per
un periodo ultradecennale, in quanto logicamente insostenibile, infici il primo
elemento logico del ragionamento inferenziale e, pertanto, la presunzione
costruita dal giudice del merito non rispetta il disposto dell’art. 2729 c.c.;

l’unico e decisivo ragionamento impostato dalla
Corte territoriale risulta intrinsecamente viziato in iure e ciò comporta la
cassazione della pronuncia, affinché si proceda al riesame del merito rispetto
alla effettiva esposizione qualificata all’amianto e cioè occorre procedere, ai
sensi di cui all’art. 13, comma 8,
della I. n. 257 del 1992, all’accertamento del fatto costitutivo, relativo
all’esposizione lavorativa ultradecennale ad amianto per un livello superiore a
100 fibre litro in rapporto ad un periodo lavorativo di otto ore; il giudice
del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’appello di Catania cui demanda anche la regolazione delle
spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 settembre 2020, n. 19245
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