Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2020, n. 21899

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, lnterposizione illecita di manodopera, Appalti cd.
“endoaziendali”, Attività strettamente attinenti al complessivo
ciclo produttivo del committente, Divieto di mettere a disposizione del
committente una prestazione lavorativa, Soli compiti di gestione
amministrativa del rapporto in capo all’appaltatore

 

Rilevato che

 

1. Con distinti ricorsi, proposti innanzi al Tribunale
di Latina, poi riuniti, F.F., D.M., D.P., M.B. (cui sono succeduti gli eredi
M.M., M.M., M.F. e S.L.), M.C. e M.G. chiedevano che fosse dichiarata la
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la
MOF – spa, stante l’interposizione illecita di manodopera tra la citata società
e la C.B.S.

2. L’adito giudice, con la pronuncia n. 627 del
2009, dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato tra il F., D., D. e M. e la MOF spa dalle date di prima
assunzione sino al 23.11.2004 (data del licenziamento collettivo); dichiarava
illegittime le interruzioni del rapporto di lavoro disposte nei loro confronti
medio tempore; dichiarava il diritto dei predetti ricorrenti a percepire le
ordinarie retribuzioni per tutti detti periodi di lavoro e conseguentemente
condannava la MOF spa ai relativi pagamenti; rigettava, infine, le domande
proposte da M.G. e M.C..

3. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n.
4266 del 2014, sui gravami presentati sia da MOF spa che da F.F., D.M., D.P. e
dagli eredi di M.B., in parziale riforma della impugnata pronuncia, rigettava
anche le domande dei lavoratori accolte in primo grado e compensava le spese
del doppio grado.

4. In sintesi, i giudici di secondo grado rilevavano
che i lavoratori non avevano provato la dedotta ingerenza della società MOF spa
nello svolgimento dei rapporti di lavoro, non emergendo con la sufficiente
univocità e concludenza circostanze idonee alla integrazione della fattispecie
interpositiva vietata.

5. Avverso la decisione di secondo grado proponevano
ricorso per cassazione D.M., F.F., D.P., M.M., M.M., M.F. e S.L., quali eredi
di M.B., affidato a due motivi, cui resisteva con controricorso la MOF – spa,
illustrato con memoria.

6. Il PG non rassegnava conclusioni scritte.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano, ai
sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., la
violazione e falsa applicazione della legge n. 1369
del 1960 nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, rilevando
che la sentenza gravata aveva richiamato considerazioni teoriche sulla
disciplina della interposizione vietata ex art. 1 legge n. 1369 del 1960,
applicabile ratione temporis ai rapporti di lavoro, ma nella ricostruzione del
concreto svolgimento del rapporto di lavoro (pag. 8 e pag. 9), conteneva sia
errori di diritto che la omissione della disamina delle risultanze istruttorie
(testimoniali e documentali) che avrebbero comportato il diverso esito del
giudizio. Riportano, quindi, tutti gli aspetti della vicenda e gli esiti della
istruttoria svolta sottolineando, in punto di diritto, che: a) l’illecito
appalto di manodopera è ravvisabile anche ove le prestazioni lavorative si
riferiscono alle ordinarie attività dell’impresa appaltante; b) il divieto di
intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro è configurabile
anche nei casi in cui l’appaltatore sia un imprenditore autentico; c) negli
appalti endo- aziendali, l’indagine deve essere diretta ad accertare se si
tratti di una attività in grado di fornire un autonomo risultato produttivo.

3. Con il secondo motivo -proposto testualmente al
fine di non determinare “acquiescenza alla sentenza” di primo grado
che, accertata la illecita interposizione di manodopera, aveva poi limitato la
dichiarazione di sussistenza del rapporto di lavoro e il diritto a percepire le
retribuzioni sino al 23.11.2004- si censura, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione degli artt. 1325 e 1346 cc
nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte
di merito, senza alcuna motivazione, respinto l’appello proposto da essi
lavoratori nei confronti della statuizione della pronuncia di primo grado
secondo cui il licenziamento collettivo del 23.11.2004, loro intimato nelle
more dalla MOF spa, avrebbe estinto il rapporto.

4. Il primo motivo è infondato.

5. Questa Corte ha ripetutamente affermato che, con
riferimento agli appalti cd. “endoaziendali”, i quali sono
caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività
strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, il
divieto di cui all’art 1 della
legge n. 1369 del 1960 (applicabile ratione temporis) opera tutte le volte
in cui l’appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione
lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore stesso i soli compiti di gestione
amministrativa del rapporto, ma senza che da parte sua ci sia una reale
organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo
autonomo (Cass. n. 16788 del 2006; Cass. n.
9264 del 2008, Cass. n. 5648 del 2009).

6. E’ stato anche precisato (Cass. n. 11678 del 2006 e, in una fattispecie
similare a quella per cui si procede, Cass. n. 8653 del 2012) che il divieto di
appalto di mere prestazioni di lavoro opera per le società cooperative di
produzione e lavoro senza limitazioni derivanti da tipo di rapporto che lega il
prestatore alla società, rapporto che può essere societario (nel caso di
prestazioni rientranti nell’oggetto sociale), ovvero di lavoro subordinato
(nell’ipotesi di prestazioni diverse da quelle specificate in precedenza), non
potendosi escludere che anche nei confronti del socio possa configurarsi il
contratto di appalto di mere prestazioni di lavoro vietate dalla legge,
allorquando ricorra il presupposto sostanziale rappresentato dalla diretta
dipendenza dei prestatori d’opera (pure se, appunto, soci della cooperativa)
dall’appaltante, in posizione di fatto comparabile con quelle degli altri
lavoratori direttamente assunti da costui, in modo che il medesimo ne divenga
l’effettivo referente.

7. Le dedotte violazioni di legge, prospettate ai
sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., sono pertanto
insussistenti essendosi la Corte di merito adeguata ai principi sopra esposti
allorché, nella gravata pronuncia (pag. 6), ha precisato che, per
l’integrazione della fattispecie interpositoria vietata occorreva il completo
utilizzo di mezzi strumentali dell’appaltante ai fini della configurabilità
della fattispecie tipica ex art.
1 co. 3 legge n. 1369 del 1960 (sebbene non invocata nei gradi di merito
dagli originari ricorrenti) e una ingerenza qualificata nell’esecuzione della
prestazione lavorativa da parte dell’appaltante tale da ricondurre ad esso la
effettiva gestione di mere prestazioni lavorative semplicemente messegli a
disposizione, la loro concreta organizzazione nell’ambito produttivo e, con
esse, la reale titolarità del rapporto, residuando all’appaltatore
eventualmente la gestione di aspetti meramente formali-amministrativi del
rapporto di lavoro.

8. In punto di diritto, pertanto, le statuizioni
della Corte territoriale resistono alle censure mosse.

9. In punto di fatto, poi, con riferimento alle
doglianze prospettate ai sensi dell’art. 360 co. 1
n. 5 c.p.c. nuova formulazione applicabile ratione temporis essendo stata
la sentenza gravata pubblicata dopo il 9.2012 (art. 54 co. 3 D.l. n. 83 del 2012
conv. nella legge n. 134 del 2012), va rilevata
la loro inammissibilità atteso che le stesse si risolvono nella contestazione
della valutazione probatoria e dell’accertamento dei fatti della Corte
territoriale e non già in una omissione di esami di fatti storici decisivi, che
siano stati oggetto di discussione tra le parti, nel senso che, se fossero
stati esaminati, sarebbero stati idonei a determinare un esito diverso della
controversia (per tutte cfr. Cass. n. 8053 del
2014).

10. E’ opportuno, al riguardo, ricordare che
l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso
esame di un fatto decisivo, se il fatto storico (come nel caso di specie) sia
stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non
abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 19881 del 2014).

11. La Corte di appello ha rilevato, con congrua
motivazione, che sia le previsioni contrattuali sia le insufficienti risultanze
istruttorie escludevano che la MOF spa si fosse significativamente ingerita, in
concreto e sul piano della realtà di fatto, nello svolgimento dei rapporti, non
emergendo con univocità e concludenza circostanze idonee alla integrazione
della fattispecie interpositoria vietata.

12. L’articolazione delle censure si limitano, sotto
il profilo sopra denunciato, a richiedere un mero ed inammissibile riesame
delle circostanze di causa, ampiamente esaminate dai giudici di seconde cure.

13. Il secondo motivo è, invece, inammissibile per
carenza di interesse perché, esclusa la possibilità di ritenere instaurato in
capo alla MOF spa un rapporto di lavoro di natura subordinata con i lavoratori
non essendo stata, appunto, riconosciuta una illecita interposizione di
manodopera (oggetto del primo motivo del presente ricorso), le questioni patrimoniali
connesse al licenziamento collettivo del 23.11.2004 e finalizzate ad ottenere
le retribuzioni fino a tale data, non assumono alcun rilievo in relazione alla
posizione degli odierni ricorrenti in quanto è venuto meno il presupposto
essenziale che le legittimava, costituito dalla sussistenza di un rapporto di
lavoro con la MOF spa.

14. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve
essere rigettato.

15. Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

16. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2020, n. 21899
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: