Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 ottobre 2020, n. 21888

Licenziamento disciplinare, Scarsa diligenza e perdurante
inosservanza degli obblighi e dei doveri di servizio nello svolgimento della
sua attività, Accertamenti espletati dal datore di lavoro a difesa dei propri
interessi, Scopo di tutela del patrimonio aziendale e di vigilanza
dell’attività lavorativa, Potere dell’imprenditore di ricorrere alla
collaborazione di soggetti esterni o di personale addetto alla vigilanza
dell’attività lavorativa

 

Fatti di causa

 

1. P.I. spa, con atto del 21.10.2015 in relazione
alla contestazione dell’11.9.2015, ha intimato a C.S., dipendente della società
e dal febbraio 2013 titolare, con mansioni di portalettere presso il CPD di San
Benedetto del Tronto della zona di recapito n. 28, il licenziamento
disciplinare per scarsa diligenza e per una perdurante inosservanza degli
obblighi e dei doveri di servizio nello svolgimento della sua attività.

2. Impugnato il provvedimento di recesso, il
Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 6.12.2016 ha rigettato il ricorso
ritenendo: a) la legittimità del licenziamento in ordine alle dedotte
violazioni di cui all’art. 7
della legge n. 300 del 1970, b) l’integrale conferma, daII’istruttoria
espletata e dai documenti in atti, dell’oggetto delle contestazioni addebitate
al dipendente; c) la proporzionalità ai fatti della sanzione applicata; d)
l’assenza di profili costituenti condotte discriminatorie in danno del lavoratore.

3. A seguito di opposizione ex art. 1 commi 51 e ss legge n. 92 del
2012, proposta da C.S., lo stesso Tribunale, con la pronuncia n. 4381 del
2018, ha reputato corretta la valutazione delle emergenze probatorie effettuata
in fase sommaria; legittimo il recesso perché i fatti addebitati avevano
dimostrato un pervicace ritardo nella esecuzione della prestazione e delle
direttive ricevute da parte del dipendente, manifestatosi attraverso la
consegna della corrispondenza a macchia di leopardo senza alcuna plausibile
giustificazione, causando notevoli disservizi; insussistente l’asserita
violazione degli artt. 3 e 4
della legge n. 300 del 1970 che si riferivano pacificamente a controlli
affidati a personale esterno; proporzionata la sanzione ex art. 54 co. 5 lett. c) del CCNL 2001,
avuto riguardo all’intenzionalità della condotta posta in essere dal ricorrente
nell’esercizio e con abuso delle proprie funzioni, oltre che per precedenti
disciplinari specifici.

4. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n.
3624 del 2018, ha rigettato il reclamo presentato ai sensi dell’art. 1 co. 58 legge n. 92 del 2012
confermando la gravata decisione.

5. Avverso la sentenza di seconde cure ha proposto
ricorso per cassazione C.S. affidato a due motivi, cui ha resistito con
controricorso P.I. spa.

6. Le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 20.5. 1970
n. 300, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3
cpc, per avere errato la Corte territoriale nel ritenere che restava
esclusa la violazione degli artt.
3 e 4 citati nel caso in cui i controlli e le verifiche erano svolti da
personale dipendente della società datrice di lavoro, riferendosi essi
pacificamente a controlli effettuati da personale esterno. Deduce che il
controllo, in nessun caso, poteva riguardare l’adempimento o l’inadempimento
della obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera e
che il controllo, per essere legittimo, doveva limitarsi agli atti illeciti del
lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione. Il
controllo sulla vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata
direttamente al datore di lavoro ai suoi collaboratori, era invece sottoposto
alla duplice condizione che fossero resi noti i nomi di chi eseguiva i
controlli e che questi ultimi non avvenissero mai a distanza, come invece era
accaduto nel caso in esame.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione del D.lgs. n.
151 del 2015 art. 4, in relazione all’art. 360
co. 1 n. 3 cpc, perché, in ogni caso, pur superando le censure di cui al
primo motivo, andava ritenuto che, essendo stato intimato il licenziamento in
questione il 21.10.2015, si applicava la disciplina introdotta dal D.lgs. n. 151 del 2015 art. 4,
che era entrato in vigore il 24 settembre 2015 per cui la possibilità di
controllo a distanza della attività dei lavoratori poteva avvenire
“esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza
del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”, con i limiti ivi
previsti, con la conseguenza che i controlli espletati da P.I. non rientravano
nelle suddette ipotesi essendo finalizzati solo a verificare il corretto espletamento
del servizio di consegna della posta nell’ambito del turno di lavoro del
dipendente. Conclude, quindi, il ricorrente evidenziando che, in considerazione
della inutilizzabilità del materiale raccolto dal datore di lavoro, gli
addebiti contestati dovevano ritenersi sforniti di prova e, come tali,
insussistenti, con conseguente riconoscimento della tutela ex art. 18 co. 4 legge n. 300 del
1970.

4. Il primo motivo è infondato.

5. E’ opportuno premettere che, come correttamente
rilevato, la fattispecie in esame è regolata dall’art. 3 della legge n. 300 del 1970
(“I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla
vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori
interessati”) e non dall’art.
4 della stessa legge che disciplina, invece, la materia dei controlli
attraverso l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature (Cass. n. 7933 del 1998; Cass. n. 1263 del 1982).

6. Infatti, nella vicenda che qui interessa, il
controllo sull’attività del C. è avvenuta attraverso l’organizzazione
gerarchica della società (superiore gerarchico del lavoratore e componente
dell’Ufficio Ispettivo, tali L. e C.).

7. Le argomentazioni della Corte territoriale,
pertanto, che ha ritenuto legittimi gli accertamenti espletati, sono conformi
ai principi di legittimità, più volte affermati, secondo i quali, in ordine
alla portata degli artt. 2 e 3
della legge n. 300 del 1970 che delimitano a tutela della libertà e dignità
del lavoratore, in coerenza con le disposizioni e i principi costituzionali, la
sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei
propri interessi, e cioè per scopo di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza
dell’attività lavorativa (art.
3), è stato precisato che essi non precludono il potere dell’imprenditore
di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come una agenzia investigativa)
diversi dalle guardie giurate per la tutela del patrimonio aziendale né di
controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e, quindi, di accertare
mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt.
2086 e 2104 cc direttamente o mediante la
propria organizzazione gerarchica (Cass. n. 15094
del 2018).

8. In quest’ultimo caso, è stato ripetutamente
statuito che la disposizione di cui all’art. 3 della legge n. 300 del 1970
-secondo la quale i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto
alla vigilanza dell’attività lavorativa devono essere comunicati ai lavoratori
interessati – non ha fatto venire meno il potere dell’imprenditore di controllare
direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è
conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono
tenuti e, quindi, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti
medesimi, già commesse o in corso di esecuzione: ciò indipendentemente dalle
modalità con le quali sia stato compiuto il controllo il quale, attesa la
particolare posizione di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire
anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona
fede nell’esecuzione dei rapporti, soprattutto quando siffatta modalità trovi
giustificazione nella pregressa condotta non palesemente inadempiente dei
dipendenti (Cass. n. 829 del 1992; Cass. n.
7889 del 1996; Cass n. 3039 del 2002).

9. Pertanto, senz’altro condivisibile si appalesa
l’assunto di parte datoriale circa la liceità del ricorso al sopra indicato
controllo dell’attività lavorativa del C. al fine di verificare il corretto
adempimento delle prestazioni lavorative cui lo stesso era tenuto.

10. Il secondo motivo è inammissibile perché, come
detto, tale tipologia di controlli esula dal divieto di cui all’art. 4 della legge n. 300 del 1970
riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza
e non applicabile analogicamente siccome penalmente sanzionato (Cass. n. 5599
del 1990; Cass. n. 8998 del 2001).

11. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.

12. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

13. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02,
nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228,
deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

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