Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 novembre 2020, n. 24774

Conferito il ramo di azienda, Pagamento di somme a titolo di
differenze retributive, Risarcimento del danno per la perdita parziale del
trattamento pensionistico calcolato sull’imponibile retributivo effettivamente
dovuto, Successiva sottrazione di mansioni

 

Rilevato che

 

1. con la domanda di cui al ricorso di primo grado
S.R., premesso di avere prestato attività di lavoro subordinato presso l’Hotel
d’Inghilterra inizialmente gestito da T. s.p.a. e quindi da R.D. s.p.a., sorta
per scissione da T. s.p.a. ed alla quale quest’ultima aveva conferito il ramo
di azienda costituito dall’Hotel d’Inghilterra, ha adito il giudice del lavoro
chiedendo ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. la
condanna in solido delle due società al pagamento di somme a titolo di
differenze retributive per I’espletamento, sin dall’inizio del rapporto e fino
al mese di giugno 1997, di mansioni superiori a quelle corrispondenti al
livello di inquadramento e per illegittima decurtazione del superminimo nei
mesi di luglio e settembre 1992; ha chiesto, inoltre, la condanna generica
delle società al risarcimento del danno per la perdita parziale del trattamento
pensionistico calcolato sull’imponibile retributivo effettivamente dovuto, ed
al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, connessi ad abuso
del potere organizzativo (per progressiva sottrazione delle funzioni di
coordinamento e controllo) e del potere disciplinare; ha chiesto, infine, la
declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato per superamento del
periodo di comporto con le connesse conseguenze risarcitorie minime di legge
pari a cinque mensilità della retribuzione. R.D. s.p.a. unica costituita in
primo grado, ha formulato domanda riconvenzionale subordinata con la quale ha
chiesto la restituzione delle somme percepite dal lavoratore a titolo di tfr in
ipotesi di condanna dello stesso alla reintegrazione nel posto di lavoro;

2. il giudice di primo grado, secondo quanto
emergente dallo storico di lite della sentenza qui impugnata, in parziale
accoglimento della domanda, ha accertato lo svolgimento da parte del R. delle
superiori (rispetto al livello di inquadramento) mansioni di 1° Maitre sin
dall’assunzione, dichiarato la non assorbibilità del superminimo e condannato
in solido le società convenute alle connesse differenze retributive
quantificate in € 11.035,08, oltre accessori e, in via generica, al pagamento
delle differenze sul tfr ed al risarcimento dei danni ex art. 2116 cod. civ.; ha, inoltre, accertato la
illegittima successiva sottrazione di mansioni e condannato le società al
risarcimento del danno quantificato in € 12.000,00, rapportandolo
approssimativamente, per ciascun anno, ad una mensilità di retribuzione;
accertato l’esercizio abusivo del potere organizzativo e disciplinare ha
condannato le società al risarcimento del danno biologico quantificato in €
12.880,00; ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per superamento
del periodo di comporto per essere la malattia ascrivibile all’ambiente
lavorativo e condannato R.D. s.p.a. al pagamento di cinque mensilità
dell’ultima retribuzione di fatto pari a € 13.886,65;

3. la Corte di appello di Roma, in parziale riforma
della decisione, nel resto confermata, ha rideterminato in € 9.000,00 la somma
dovuta a titolo di risarcimento del danno professionale e rigettato le domande
del R. riguardanti le differenze retributive per l’espletamento sin dall’inizio
del rapporto delle superiori mansioni di 1° Maitre e per non riassorbibilità
del superminimo; ha, in conseguenza, rigettato la domanda di risarcimento del
danno per perdita parziale del trattamento pensionistico;

3.1. ha ritenuto il giudice di appello che alla
stregua della prova orale il periodo di demansionamento andava ridotto da
quattro a tre anni e, proporzionalmente, anche la somma a tale titolo liquidata
in prime cure; ha ritenuto estinti per prescrizione il credito per differenze
retributive connesse allo svolgimento delle superiori mansioni di 1° Maitre,
riguardanti il periodo anteriore al 1.6.1997, ed il credito connesso alle
decurtazioni del superminimo, con conseguente rigetto della domanda del R.
diretta ad ottenere il risarcimento del danno da perdita parziale del
trattamento pensionistico; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado;

4. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso S.R. sulla base di tre motivi; M.R. s.r.l. (già denominata R.D. s.p.a.)
e T. s.p.a. hanno resistito con controricorso e contestuale ricorso incidentale
affidato a due motivi; S.R. ha depositato controricorso avverso ricorso
incidentale;

 

Considerato che

 

Motivi di ricorso principale

1. con il primo motivo di ricorso principale S.R.
deduce violazione dell’art. 435, commi 2° e 3°,
cod. proc. civ. censurando la sentenza impugnata per omesso rilievo della
improcedibilità dell’appello connessa alla violazione del termine di dieci
giorni dal deposito del decreto di fissazione dell’udienza di discussione
prescritto per la notifica del ricorso e alla violazione del termine non minore
di venticinque giorni tra la notificazione dell’appello all’appellato e la
udienza di discussione;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce vizio di
ultrapetizione ovvero di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.. Premette di avere con
l’originario ricorso espressamente limitato la domanda di condanna al pagamento
delle differenze retributive maturate per i soli anni compresi tra il mese di
dicembre 1999 e quello di luglio 2005 in relazione ai quali non doveva
ritenersi maturata la prescrizione, interrotta con lettera del dicembre 2004;
il relativo importo secondo quanto risultante dal prospetto riassuntivo
depositato in prime cure ammontava a € 38.724,78. La sentenza impugnata era
quindi errata in quanto sul presupposto che le differenze retributive reclamate
afferivano al periodo anteriore al 1. 6.1997 aveva ritenuto il relativo credito
estinto per prescrizione laddove in prime cure non era stata mai reclamata, né
liquidata dal giudice di primo grado, alcuna differenza anteriore al dicembre
1999;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione
di legge per motivazione apparente della sentenza e incoerenza della stessa
sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e illogicità manifesta.
Censura la sentenza impugnata per avere ridotto la somma liquidata a titolo di
risarcimento del danno da 12.000,00 a 9.000,00 euro motivando che non era
possibile individuare quale primo episodio del demansionamento l’accaduto del
1.1.2000 atteso che il malore accusato dal R. dopo l’incontro con il
vicedirettore rimaneva un fatto isolato. Assume apparenza di motivazione in
considerazione del fatto che secondo quanto evincibile dal dispositivo della
sentenza di primo grado la declaratoria di illegittima sottrazione di mansioni
e dequalificazione professionale era riferita al periodo marzo 2000/ dicembre
2004 e quindi ad un periodo al quale era estraneo l’episodio richiamato;

Motivi di ricorso incidentale

4. con il primo motivo di ricorso incidentale le
società M.R. s.r.l. (già denominata R.D. s.p.a.) e T. s.p.a. deducono, ai sensi
dell’art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ.
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1203
cod. civ., degli artt. 1218, 1223 e 2697 cod. civ.
e degli artt. 115 e 116
cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata <<laddove ha
accertato un inesistente demansionamento del lavoratore, con error in
procedendo et in iudicando in relazione alla valutazione delle acquisite
emergenze istruttorie della prova orale, rilevante ex art. 360 n. 4 c.p.c.>>; sostengono, infatti,
che l’accertamento del demansionamento era frutto della malgoverno delle
emergenze istruttorie le quali

escludevano che il R., nel corso del rapporto,
avesse subito un demansionamento o una dequalificazione; tanto era a dirsi
anche in relazione al periodo successivo alla riorganizzazione della società,
riorganizzazione che costituiva espressione del legittimo ius variandi
datoriale; l’esclusione del demansionamento implicava la inconfigurabilità in
radice della pretesa risarcitoria e della stessa illegittimità del
licenziamento per superamento del periodo di comporto;

5. con il secondo motivo le società ricorrenti
deducono violazione e/o falsa applicazione degli artt.
2697 e 2729 cod. civ, nonché degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza
impugnata per avere escluso la riassorbibilità del superminimo in contrasto con
le previsioni contenute nel contratto di assunzione;

Esame dei motivi di ricorso principale

6. il primo motivo di ricorso principale è
inammissibile per difetto di specificità non avendo parte ricorrente indicato
le circostanze fattuali alla base della dedotta violazione dei termini di cui
all’art. 435, commi 2° e 3°, cod.proc.civ. Si è
limitata, infatti, ad allegare che con decreto presidenziale del 7.12.2011,
depositato in data 24.2.2012, era stata a fissata udienza di discussione per il
giorno 22.9.2014 e che il provvedimento non era stato notificato, unitamente al
ricorso in appello, nei termini di legge; per il resto ha operato un rinvio al
fascicolo di controparte. La mancata indicazione delle concrete cadenze
temporali del procedimento notificatorio del ricorso in appello e del
pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione rende la doglianza
articolata inidonea alla valida censura della decisione in quanto non consente
al giudice di legittimità la verifica di fondatezza del motivo sulla base del
solo esame del ricorso per cassazione, come, invece, prescritto (Cass. n. 13657
del 2010, Cass. n., 13046 del 2006, Cass. n. 4840 del 2006, Cass, n. 16360 del
2004, Cass. Sez. Un. n. 2602 del 2003, Cass. n. 4743 del 2001). In particolare
in ipotesi, come quella in esame, nella quale sia denunziata la violazione
della legge processuale, questa Corte ha condivisibilmente affermato che
l’ammissibilità della denunzia di error in procedendo richiede che la parte
riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi
ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non
genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare
il controllo sul corretto svolgimento dell’ “iter” processuale senza compiere
generali verifiche degli atti (Cass. n. 23834 del 2019, Cass. n. 22880 del
2017). Quanto ora osservato rende ultronea la considerazione, riferibile alla
dedotta violazione del termine di dieci giorni di cui all’art. 435, comma 2, cod. proc. civ., che, per
consolidata giurisprudenza di questa Corte, la violazione del detto termine non
produce alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perché non incide su
alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse
dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che, in forza del medesimo
art. 435, terzo e quarto comma, cod. proc. civ.,
deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di
discussione (Cass. n. 3959 del 2016; Cass.
23426 del 2013, Cass. 8685 del 2012, Cass. n.
26489 del 2010);

7. il secondo motivo di ricorso principale è
inammissibile;

7.1. la sentenza impugnata, premesso che il giudice
di primo grado aveva riconosciuto dovuta al R. la intera retribuzione spettante
per il 2° livello c.c.n.I. Turismo settore alberghiero, quale 1° Maitre, senza
decurtazione del superminimo, ha osservato che alla stregua del medesimo
ricorso introduttivo risultava che l’inquadramento nel 2° livello,
corrispondente alle mansioni di 1° Maitre, era stato riconosciuto con
decorrenza dal 1.6.1997 mentre in passato il R. era stato inquadrato dapprima
nel 4° livello, e quindi, a far data dal 1.9.1992, al 3° livello, come 2°
Maitre; rilevato che le pretese economiche collegate all’espletamento delle
superiori mansioni riguardavano, pertanto, il periodo anteriore al 1.6.1997 ha
ritenuto prescritto il relativo credito per decorso del termine quinquennale di
prescrizione interrotto solo con lettera del dicembre 2004;

7.2. il motivo in esame non è idoneo ad incrinare la
ricostruzione operata dal giudice del merito circa il contenuto delle pretese
differenze retributive con riferimento all’espletamento di mansioni superiori
di 1° Maitre in quanto omette la trascrizione del contenuto del ricorso di
primo grado nelle parti di pertinenza onde dimostrare che le differenze
retributive reclamate afferivano ad un periodo temporale più ampio, non coperto
da prescrizione, rispetto a quello considerato dalla Corte di merito; tale
carenza non è superata dalla trascrizione, nel ricorso per cassazione, del
punto “A 4” del ricorso introduttivo (v. ricorso per cassazione, pag.
13) posto che da essa non emergono con chiarezza i titoli – riferiti ai punti
A.l, A.2, e A.3 del ricorso di primo grado, secondo quanto evincibile dal brano
trascritto – delle maggiori somme reclamate; può ulteriormente rilevarsi,
quanto al periodo temporale oggetto della pretesa alle differenze retributive
connesse ad un inquadramento inferiore alle mansioni effettivamente svolte, che
la correttezza dell’arco temporale considerato dal giudice di appello risulta
confermata dal medesimo storico di lite del ricorso per cassazione (v. ricorso,
pag. 2, ultimo capoverso con proseguimento alle pag. 3) dal quale emerge che
l’inquadramento corrispondente alle mansioni in concreto espletate era stato
riconosciuto con decorrenza dal giugno 1997;

8. il terzo motivo di ricorso è infondato;

8.1. la sentenza impugnata, in parziale riforma
della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto illegittima la
dequalificazione professionale del R., dal marzo 2000 al dicembre 2004, ha
ritenuto, sulla base della prova orale, che il periodo di demansionamento
dovesse farsi decorrere dall’agosto 2001 fino all’agosto 2004, ulteriormente
precisando che non era possibile individuare quale primo episodio della
condotta datoriale quanto accaduto il 1.1.2000 << atteso che il malore
accusato dal R., dopo un incontro con il vice direttore, rimaneva un episodio
isolato>>;

8.2. le argomentazioni che sorreggono la statuizione
relativa all’accertamento del periodo di demansionamento escludono la dedotta
“apparenza di motivazione” in quanto la decisione risulta percepibile
nei suoi presupposti fattuali e giuridici avendo la sentenza impugnata dato
contezza, sulla base delle richiamate deposizioni testimoniali, del più ridotto
periodo di adibizione del R. a mansioni inferiori a quelle di inquadramento.
Tale accertamento di fatto poteva essere incrinato solo dalla deduzione, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.,
di vizio motivazionale, e, quindi, di omesso esame di un fatto storico
decisivo, oggetto di discussione fra le parti, neppure formalmente dedotto
dalle ricorrenti;

Ricorso incidentale

9. il primo motivo di ricorso incidentale è
inammissibile in quanto

in concreto inteso a sollecitare la rivisitazione
del materiale probatorio e quindi un diverso apprezzamento delle emergenze
istruttorie, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto
forma di denuncia di vizio di motivazione, alla stregua del novellato art. 360, n.5 cod.proc.civ. (applicabile, ratione
temporis, alla fattispecie qui scrutinata), come interpretato dalle Sezioni
Unite di questa Corte (v. Cass. Sez. Un. n. 8053
del 2014);

10. il secondo motivo di ricorso incidentale è
parimenti inammissibile, per difetto di interesse ad impugnare in quanto la
questione dell’assorbibilità del superminimo è superata dalla statuizione di
rigetto della domanda del lavoratore afferendo la pretesa in oggetto a un
periodo coperto da prescrizione;

11. al rigetto del ricorso principale e del ricorso
incidentale consegue la compensazione delle spese di lite;

12. sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove
dovuto, per il ricorso principale ed il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dell’art. 13 d.P.R. n. 115
del 2002 (Cass. Sez. Un. 20/09/2019, n. 23535);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara
inammissibile il ricorso incidentale. Spese compensate.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 novembre 2020, n. 24774
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