Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 dicembre 2020, n. 27750

Licenziamento individuale, Risarcimento del danno,
Retribuzione globale di fatto,, Emolumenti eventuali, occasionali o
eccezionali, Esclusione, Fattispecie

 

Rilevato

 

Che la Corte di Appello di Genova, con sentenza
pubblicata in data 19.11.2015, ha accolto parzialmente il gravame interposto
dalla T.I. S.p.A., nei confronti di F.M., avverso la pronunzia del Tribunale
della stessa sede n. 1323/2014, con la quale era stata accolta la domanda del
M. – dipendente della società di livello quadro, addetto alla vendita diretta
in ambito informatico a grandi e medie imprese per l’Area di Alessandria -,
volta ad ottenere la condanna della parte datrice al pagamento della somma di
Euro 24.523,17 a titolo di retribuzione variabile, di cui Euro 18.834,84, in
relazione ai risultati ottenuti nell’anno 2011, ed Euro 5.687,87 riferibili ai
primi tre mesi del 2012, anno in cui al medesimo era stato intimato il
licenziamento, poi annullato giudizialmente in via definitiva, con conseguente
reintegrazione; che la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza
impugnata, ha condannato la società appellante al versamento, in favore del
dipendente, della somma di Euro 18.834,84, in luogo della maggior somma
riconosciuta in primo grado, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, sulle
somme annualmente rivalutate, dalla scadenza al saldo;

che per la cassazione della sentenza ricorre T.I.
S.p.A., articolando un motivo contenente più censure, cui resiste con
controricorso F.M.;

che sono state comunicate memorie nell’interesse del
lavoratore;

che il P.G. non ha formulato richieste.

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
e falsa applicazione degli artt.
18 della I. n. 300 del 1970; 2697 e 2909 c.c.; 115 c.p.c.,
e si deduce che la sentenza impugnata sarebbe <<manifestamente errata
laddove la Corte ha condannato la Società al pagamento, a favore del M., del
premio per gli incentivi alla vendita derivante dal raggiungimento degli
obiettivi per gli anni 2011 e 2012>>; che <<la sentenza della Corte di Cassazione n. 15066/2015>>,
pronunziata in relazione al licenziamento del dipendente, <<ha statuito
che nell’indennità ex art. 18
della I. n. 300 del 1970 non debbono essere computate le somme a titolo di
retribuzione variabile, …. sicché la sentenza della Corte di Appello di
Genova che ha statuito diversamente si pone in contrasto con il principio in
essa sancito e dunque con l’autorità di cosa giudicata che esso ha ormai
assunto>>; che <<nella formulazione all’epoca vigente l’art. 18 prevedeva, in caso di
reintegrazione, la condanna del datore di lavoro “al risarcimento del
danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui si sia accertato
l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla
retribuzione globale di fatto”, nella quale non possono che rientrare solo
quegli emolumenti che vengono corrisposti al lavoratore in misura certa e
determinabile.

Ed a tali condizioni non rispondono le somme
liquidate dalla Corte di Appello >; che, infine, la Corte di merito non
avrebbe <<assolutamente considerato che controparte non ha fornito la
benché minima prova in ordine all’asserito raggiungimento degli obiettivi che
avrebbero dato luogo al pagamento della retribuzione per l’anno 2011>>;

che il motivo – che presenta, altresì, evidenti
profili di inammissibilità relativamente alle censure sollevate in ordine alla
violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo quanto si dirà oltre – non è
meritevole di accoglimento; ed invero, per ciò che concerne l’asserito
contrasto del dedotto <<giudicato>> costituito dalla sentenza di
questa Suprema Corte n. 15066/2015 (avente ad
oggetto il licenziamento intimato al M. dalla società datrice nel mese di
aprile del 2012, in epoca successiva, quindi, a quella cui la Corte di merito
ha fatto riferimento per confermare la condanna della società ad erogare al
dipendente la retribuzione variabile) con la pronunzia della Corte di Appello
di Genova n. 336/2015, pubblicata il 19.11.2015, oggetto del presente giudizio,
deve rilevarsi:

che, contrariamente a ciò che la parte ricorrente
asserisce (v. pag. 4 del ricorso), i giudici di secondo grado hanno escluso che
al lavoratore spettasse il premio per gli incentivi alla vendita relativamente
ai primi tre mesi del 2012; ed infatti, la sentenza del primo giudice è stata
riformata proprio in ordine alla retribuzione variabile costituita da quel
premio per il 2012. Al riguardo, nella sentenza impugnata si legge: <<…
Non vi è dubbio che, essendosi reso impossibile l’adempimento del lavoratore>>,
relativamente al 2012, <<per fatto imputabile al datore di lavoro (il
licenziamento dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato),
sussista, in astratto, una possibile responsabilità risarcitoria>>;
<<si tratta>>, infatti, <<di azione per illecito
contrattuale, volta a rivendicare un danno da perdita della chance di
perseguire il risultato retributivo favorevole. Gli elementi di apprezzamento
disponibili non consentono però di concludere nel senso che vi fosse un’altra
probabilità di avveramento della chance predetta. Se infatti è vero che nel
2010 e nel 2011 gli obiettivi furono raggiunti, gli elementi in merito
all’attività del 2012 sono insufficienti per raggiungere una qualche fondata
conclusione…. Ragionamento che è in qualche misura insito anche nella
sentenza della Suprema Corte>> (n.
15066/2015) <<che, nel confermare l’illegittimità del licenziamento
irrogato, ha tuttavia disconosciuto, cassando in parte qua la pronucia di
questa Corte e pronunciando nel merito, che tale indennità potesse rientrare –
per il risarcimento post licenziamento – nella retribuzione globale di fatto,
proprio per l’incertezza del verificarsi dei presupposti per la sua
maturazione>> (v. pag. 5, punto 3.2, della sentenza impugnata);

che, pertanto, pur essendo possibile che i limiti
oggettivi del giudicato si estendano oltre la causa petendi ed il petitum della
domanda originaria, nel caso in cui – a seguito di domanda riconvenzionale o di
eccezione del convenuto – si introduca quale oggetto dell’accertamento
giudiziale altra situazione giuridica, eventualmente comune a più cause tra le
stesse parti, sicché la soluzione delle questioni giuridiche e di fatto che
essa pone in un giudizio faccia stato, con la forza di giudicato, anche nel
secondo giudizio, nel quale rilevi, in via di azione o di eccezione (o
riconvenzionale) la medesima situazione giuridica (v., tra le altre, Cass. n.
5245/2014), nella fattispecie ciò non si è verificato, in quanto, oltre al
fatto che, come innanzi specificato, il licenziamento è stato intimato
nell’aprile del 2012 (e che, quindi, riguarda un periodo successivo a quello
per il quale la Corte di merito ha riconosciuto al dipendente il diritto al
premio per il raggiungimento degli obiettivi), la sentenza impugnata risulta
essere in linea con quanto affermato nella sentenza di legittimità n. 15066/2015, secondo cui non rientrano nella
retribuzione globale di fatto, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo ex
art. 18 della I. n. 300 del
1970, quei compensi solo eventuali e di cui non sia certa la percezione,
nonché quelli legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione ed
aventi normalmente carattere eventuale, occasionale o eccezionale (cfr., tra le
molte, Cass. nn. 19956/2009; 2262/2007); che,
infine, come sopra anticipato, sono inammissibili le censure sollevate
relativamente agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., poiché, anche prescindendo dalla
genericità delle contestazioni circa la valutazione delle emersioni probatorie
operata dalla Corte di Appello, peraltro prive di riferimenti ad alcuna documentazione
a sostegno delle deduzioni formulate e senza che venga focalizzato il momento
di conflitto, rispetto ad esse, dell’accertamento concreto operato dalla Corte
di merito all’esito delle risultanze istruttorie (cfr., ex plurimis, Cass. n.
24374 del 2015; Cass. n. 80 del 2011), il motivo tende, all’evidenza, ad una
nuova valutazione delle prove, pacificamente estranea al giudizio di
legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n.
24148/2013; Cass. n. 14541/2014);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il
ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00,
di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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