Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 gennaio 2021, n. 1766

Rapporto di lavoro, Beneficio dello sgravio contributivo,
Fruizione, Lavoratori assunti dalle liste di mobilità

 

Rilevato in fatto

 

Che, con sentenza depositata il 24.7.2018, la Corte d’appello
di Bologna, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda
di E. s.r.l. volta a fruire del beneficio dello sgravio contributivo di cui
all’art. 8, I. n. 223/1991,
in relazione a taluni lavoratori assunti dalle liste di mobilità per esservi
stati collocati dal fallimento di K.E. s.r.l., da cui essa aveva acquistato un
ramo d’azienda a seguito di procedura di competitività;

che avverso tale pronuncia E. s.r.l. ha proposto
ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente
illustrato con memoria; che l’INPS ha resistito con controricorso;

 

Considerato in diritto

 

che, con l’unico motivo di censura, la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
2112 c.c. e 8, I. n.
223/1991, per avere la Corte di merito escluso il diritto agli sgravi
attribuendo rilievo «determinante e decisivo al fatto della sussistenza, nella
fattispecie, di un’unica azienda in senso oggettivo, prescindente dalla figura
dell’imprenditore», che sarebbe stata conseguentemente tenuta al rispetto
dell’obbligo di precedenza nell’assunzione, senza tuttavia considerare «che
l’azienda cessionaria era da anni preesistente a quella del cedente, con una
propria fisionomia e struttura distinta da quella della cedente, tanto da
configurare una realtà produttiva diversa e autonoma» (così il ricorso per
cassazione, pag. 13); che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il
principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione
di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un
problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non
nei ristretti limiti dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
(cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017 e 3340 del 2019); che, nella
specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi
chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta
violazione delle disposizioni di legge indicate nella rubrica, pretende in
realtà di criticare l’accertamento di fatto che la Corte territoriale ha compiuto
circa la sussistenza, in specie, di un’unica azienda in senso oggettivo, che
sarebbe ut talis tenuta al rispetto dell’obbligo di precedenza nelle
assunzioni;

che, anche volendo riqualificare il motivo in esame
in termini di omesso esame circa un qualche fatto decisivo per il giudizio che
è stato oggetto di discussione tra le parti (cfr. su tale possibilità Cass. nn.
4036 del 2014 e 23940 del 2017), la censura sarebbe comunque inammissibile per
difetto di specificità, operando il ricorso per cassazione rinvio a fatti non
adeguatamente precisati (quali la “preesistenza” e l’autonomia
organizzativa e produttiva” della ricorrente rispetto all’impresa cedente)
e a documenti non trascritti (eccezion fatta per alcune righe della convenzione
di cessione riportate a pagg. 4 e 5 del ricorso) e di cui non si dice in quale
parte del fascicolo processuale e/o di merito si troverebbero;

che è appena il caso di precisare che non potrebbe
all’uopo attribuirsi rilievo alla pregressa cessazione dei rapporti facenti
capo ai lavoratori successivamente riassunti, su cui pure insiste parte
ricorrente richiamando Cass. n. 2747 del 2016,
dal momento che il principio secondo cui il consolidamento del licenziamento
per mancata tempestiva impugnazione esclude il diritto del lavoratore
licenziato al trasferimento ex art. 2112 c.c.
vale esclusivamente nei rapporti tra lavoratore licenziato ed azienda
cessionaria, ma non può certo valere di per sé solo ad attribuire a quest’ultima
il diritto allo sgravio ex art.
8, I. n. 223/1991, non essendo il rapporto contributivo disponibile dalle
parti private in considerazione delle finalità pubbliche della disciplina e
delle sue refluenze sul bilancio pubblico; che il ricorso, pertanto, va
dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del
giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza; che, in considerazione
della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto
per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si
liquidano in € 2.000,00, di cui € 1.800,00 per compensi, oltre spese generali
in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

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