Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 febbraio 2021, n. 2289

Demansionamento, Sospensione lavorativa per cassa
integrazione, Risarcimento del danno, Violazione delle regole di
consultazione con le RSA o OO.SS, Successivo accordo, Esclusione dalla
rotazione, Mansioni non fungibili, Potere di scelta dei lavoratori da porre
in CIG

 

Fatti di causa

 

Rilevato che:

1. E. s.p.a. in amm.str. impugna il decreto Trib.
Arezzo 21.1.2015, in R.G. 3154/2012 che, in parziale accoglimento
dell’opposizione svolta ex art.
98 l.f. da M.G. avverso il decreto del giudice delegato
dell’amministrazione straordinaria, ha ammesso al passivo il credito di questi
per 54.053,83 euro in prededuzione, a titolo risarcitorio per effetto di
sospensione lavorativa per cassa integrazione, disposta in violazione delle
regole di procedura;

2. il tribunale ha premesso che: a) con l’originaria
domanda di insinuazione tardiva M., già preposto alla gestione del settore
sicurezza, aveva chiesto riconoscersi, a titolo di risarcimento del danno, la
illegittimità del demansionamento subito dall’amministrazione straordinaria,
oltre che della sospensione dal lavoro e collocazione in CIG il 25.1.2010 e poi
in CIGS il 1.8.2010, in occasione del rientro in servizio il 25.10.2010; b) il
giudice delegato aveva respinto la domanda perché sovrapposta ad altra e
comunque infondata;

3. il tribunale ha ritenuto, per quanto ancora qui
d’interesse: a) circa la sospensione dal lavoro, contrassegnata la relativa
procedura, attuata dagli organi concorsuali, in violazione delle regole di
consultazione con le RSA o OO.SS., non essendo stata mandata la comunicazione
ex art. 1 co.7 legge n. 223 del
1991; b) l’omissione era ingiustificatamente contestata siccome eccepita in
via tardiva dal ricorrente (la deduzione apparteneva già alla verifica del
passivo), sanata grazie al successivo accordo con le rappresentanze sindacali e
la collocazione in CIGS dei lavoratori (invece del tutto generico proprio sul
punto della rotazione e delle scelte), non sollevabile dal singolo lavoratore
(invece interessato a rilevarla), superata quanto ai criteri di scelta di
rotazione dal sopravvenire del d.P.R. n. 218 del
2000 (che atteneva solo alla fase amministrativa di concessione
dell’integrazione); c) l’esclusione di M. dalla rotazione sull’assunto che le
sue mansioni erano non fungibili rispetto a quelle di altri lavoratori appare
ulteriormente non motivata dai commissari, senza evidenza di collegamento con
il più generico criterio di entrambi gli accordi con i sindacati; d) il credito
doveva pertanto esser ammesso nella misura pari alla differenza stipendiale
rispetto a quanto percepito durante i due periodi di cassa integrazione, in
prededuzione poiché credito sorto in corso di procedura;

4. il ricorso è su quattro motivi, cui resiste M.
con controricorso; le parti hanno entrambe depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la violazione
degli artt. 95, 98 – 99 l.f. avendo
erroneamente il tribunale trascurato la tardività con cui il vizio della
procedura di coinvolgimento sindacale era stato sollevato dal creditore, posto
che anche la menzione di tale omissione, per la prima volta nell’ambito delle
osservazioni al progetto di stato passivo, non poteva valere a porre a
fondamento del credito una circostanza che non appariva esplicitata in modo
chiaro e netto, né tempestivo; la reale violazione sollevata in prima battuta
(8.5.2012) non era, appunto, il mancato invio alle OO.SS, bensì la
censurabilità del generico richiamo ad esigenze tecnico-organizzative ovvero ai
criteri di rotazione, mentre con le sole osservazioni successive (18.6.2012) M.
rappresentava che non era rinvenibile la comunicazione di apertura del
procedimento inviata alle OO.SS., così introducendo una circostanza nuova;

2. con il secondo motivo si deduce la violazione
degli artt. 1175, 1375
e 2697 c.c., laddove il tribunale ha omesso di
pronunciarsi sull’eccezione di genericità delle asserzioni del ricorrente in
punto di illegittima sospensione lavorativa per CIGS, non avendo egli allegato
la discriminazione subita criteri alternativi che si dovevano applicare;

3. con il terzo motivo si fa valere la violazione
dell’art. 1 co.7 legge n. 223
del 1991 e dell’art. 5
legge n. 164 del 1975, contestandosi il riconoscimento in capo al
lavoratore di una legittimazione ad agire per far valere un vizio di una
procedura collettiva, senza considerare il valore sanante ex tunc dell’accordo
poi raggiunto con le OO.SS. e la erronea attribuzione all’accordo stesso di una
natura generica, posto che vi era stata conferma di legittimità dello stesso Ministero
sui criteri di rotazione, improntati a sufficientemente specifiche esigenze
tecniche ed organizzative; con il quarto motivo s’invoca la violazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991,
avendo erroneamente il decreto trascurato che le esigenze tecniche ed
organizzative ben giustificavano la procedura anche in relazione ad un singolo
settore, come nel caso, tanto più che M. non era l’unico ad essere stato
collocato in CIGS;

4. il primo motivo è infondato, poiché – come
trascritto in controricorso – la evidenziazione di “un elemento
potenzialmente dirimente della vicenda”, manifestamente riferito al
difetto di comunicazione di apertura del procedimento alle OO.SS., era stato
introdotto dal creditore in sede di “osservazioni”, ai sensi dell’art.95 l.f. ratione temporis
vigente (richiamabile per compatibilità secondo gli artt. 22 e 53 d.lgs. n. 270 del 1999),
prima che il giudice si pronunciasse sull’insinuazione tardiva, non potendosi
dunque, già per questa via, porre una questione di novità del fatto costitutivo
inserita nel processo solo con l’opposizione alla stato passivo;

5. non è invero smentito che tale attività difensiva
si sia svolta nel rispetto della regola per cui i creditori, i titolari di
diritti sui beni ed il fallito possono esaminare il progetto e presentare
osservazioni scritte e documenti integrativi fino all’udienza; va dunque notato
che avendo il ricorrente prospettato un credito risarcitorio fondato sulla
illegittimità della sospensione lavorativa connessa alla sua messa in cassa
integrazione e sospensione, anche quella circostanza integrava la più complessa
fattispecie posta alla base del diritto avanzato, in un contesto enunciativo
della causa petendi ancora suscettibile di perfezionarsi, appunto, fino
all’udienza e nel solco della domanda già proposta, senza alcuna preclusione,
poiché ancora interno alla medesima fase di accertamento sommario avanti al
giudice delegato; tanto più che, si ripete, questa Corte è ferma nel negare che
la mancanza di osservazioni implichi preclusioni per il giudizio impugnatorio
successivo, secondo i limiti già chiariti da Cass.
5659/2012, ove si è detto che «la mancata presentazione da parte del
creditore di osservazioni al progetto di stato passivo depositato dal curatore
non comporta acquiescenza alla proposta e conseguente decadenza dalla
possibilità di proporre opposizione; infatti, non può trovare applicazione il
disposto dell’art. 329 cod. proc. civ. rispetto
ad un provvedimento giudiziale non ancora emesso, inoltre … i creditori
“possano” esaminare il progetto, senza chiusura a loro carico un
onere di replica alle difese e alle eccezioni del curatore entro la prima
udienza fissata per l’esame dello stato passivo; deve, pertanto, escludersi che
il termine predetto sia deputato alla definitiva e non più emendabile
individuazione delle questioni controverse riguardanti la domanda di
ammissione» (conf. Cass. 20583/2013, 19937/2017);

6. il secondo motivo è inammissibile; con esso,
invero, si fa valere, nella sostanza impropriamente ricorrendo alla violazione
di regole attenenti alla prova, una denuncia di omessa pronuncia, né si riporta
in modo specifico come la citata doglianza sia stata introdotta avanti al
giudice dell’opposizione e ivi ritualmente manifestata; appare comunque
assorbente che la contestazione del lavoratore, anche se solo appuntata nei
confronti del limite interno della procedura di messa in cassa integrazione,
cioè la coerenza fra la scelta aziendale e le finalità di sostegno dell’istituto,
una volta condivisa su questo punto dall’accertamento giudiziale, preclude
un’ulteriore verifica di legittimità dell’atto; l’altro criterio, la non
discriminazione, rileva infatti, ed all’opposto, come requisito che si aggiunge
al canone di completezza dell’atto medesimo, cioè si traduce in onere della
prova (negativo) a carico del lavoratore ove il primo criterio sia stato
assolto, per cui, quando faccia difetto il primo, comunque se ne è acclarata la
illegittimità; sul punto, la pronuncia del tribunale è univoca nell’annettere
carattere generico alle formule di accordo cui si sono richiamati i commissari
per la selezione di M., immotivatamente avviato alla sospensione dal lavoro; va
così ribadito che «il potere di scelta dei lavoratori da porre in cassa
integrazione guadagni, riservato al datore di lavoro, non è incondizionato ma è
sottoposto al limite (di carattere interno) derivante dalla necessaria
sussistenza del rapporto di coerenza fra le scelte effettuate e le finalità
specifiche cui è preordinata la cassa e dall’obbligo di osservare i doveri di
correttezza e buona fede imposti dagli articoli
1175 e 1375 cod. civ., nonché all’ulteriore
limite (di carattere esterno) derivante dal divieto di discriminazioni fra i
lavoratori per motivi sindacali’, di età, di sesso, di invalidità o di presunta
ridotta capacità lavorativa. Incombe pertanto sul datore di lavoro l’onere di
provare il nesso di causalità tra la sospensione del singolo lavoratore e le
ragioni per le quali la legge gli riconosce il potere di sospensione» (Cass. 8998/2003; 20267/2011);

7. il terzo e quarto motivo, di cui è possibile la
trattazione congiunta per l’evidente connessione, sono infondati; l’art. 1 co.7 legge n.223 del 1991
– abrogato dall’art. 46, co. 1,
lett. m), d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148, a decorrere dal 24 settembre
2015 – statuiva, con pacifica rilevanza per la fattispecie, che i criteri di
individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità della rotazione
prevista nel comma 8 devono formare oggetto delle comunicazioni e dell’esame
congiunto previsti dall’articolo
5 della legge 20 maggio 1975, n. 164; parimenti il comma 8 precisava che se
l’impresa ritiene, per ragioni di ordine tecnico-organizzativo connesse al
mantenimento dei normali livelli di efficienza, di non adottare meccanismi di
rotazione tra i lavoratori che espletano le medesime mansioni e sono occupati
nell’unità produttiva interessata dalle sospensioni, deve indicarne i motivi
nel programma di cui al comma 2; a sua volta, l’art. 5 co. 1 legge n. 164 del 1975
(in materia di consultazione sindacale), abrogato con lo stesso atto del
precedente, prescriveva che nei casi di eventi oggettivamente non evitabili che
rendano non differibile la contrazione o la sospensione dell’attività
produttiva, l’imprenditore è tenuto a comunicare alle rappresentanze sindacali
aziendali o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria
dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia, la durata
prevedibile della contrazione o sospensione e il numero dei lavoratori
interessati; la prima questione, concernente la legittimazione a far valere la
eventuale omissione del citato invio – circostanza acclarata – risulta
affrontata affermativamente sin da Cass.
26587/2011, secondo cui in caso di intervento straordinario di integrazione
salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione,
riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza
di personale, «il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è
illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo
della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle
organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri,
eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che
debbono essere sospesi, così da permettere la verifica della corrispondenza
della scelta ai criteri stessi, in base al combinato disposto degli artt. 1, comma 7, della legge 23
luglio 1991 n. 223, e 5,
commi 4 e 5, della legge 20 maggio 1975 n. 164. Ne consegue che tale
illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al
giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della
retribuzione piena e non integrata»; e così Cass. 6761/2020 ha da ultimo
ribadito che proprio l’art. 1,
co.7 legge n. 223 del 1991 nel prevedere a carico del datore di lavoro un
obbligo di comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali e provinciali
dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché delle
modalità della rotazione (ovvero dei criteri alternativi), «appresta una
garanzia di natura procedimentale ed opera su un duplice piano di tutela –
delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali – assolvendo alla
funzione di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i
criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di assicurare al lavoratore,
potenzialmente interessato alla sospensione, la previa individuazione dei
criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del
datore di lavoro»;

8. quanto alla pretesa efficacia sanante degli
accordi comunque intervenuti con le OO.SS, parimenti consolidato è l’indirizzo
per cui, sin da Cass. 7459/2012, essa è
esclusa «dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali,
trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a
conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare»; tant’è che perfino –
si è detto con Cass. 193/2016 – «la comunicazione dell’apertura della procedura
di trattamento di integrazione salariale tanto generica da non consentire alle
organizzazioni sindacali di partecipare al confronto adeguatamente informate ed
ai lavoratori di avere contezza delle posizioni aziendali non può essere sanata
da successivi accordi sindacali sui criteri di scelta o dall’attestazione
ministeriale di regolarità dell’esame congiunto» (conf. 7459/2012);

9. la natura non specifica dell’accordo, per come
ricostruita dal giudice di merito, appare statuizione a sua volta coerente con
il principio per cui «la verifica dell’adeguatezza della comunicazione ex art. 1, comma 7, della I. n. 223 del
1991 – sotto il profilo della specificità dei criteri di individuazione dei
lavoratori da spostare e delle modalità della rotazione – deve essere condotta
con valutazione in astratto ed “ex ante”, e non in concreto ed
“ex post”, dovendo assolvere alla funzione di porre le associazioni
sindacali in condizione di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da
sospendere e di assicurare al lavoratore la previa individuazione di tali
criteri e la verificabilità dell’esercizio del potere del datore di lavoro.
(Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la sentenza impugnata che
aveva considerato generici i criteri riferiti alla “professionalità”,
“fungibilità ” e “poliprofessionalità ” dei lavoratori, in
assenza di parametri concreti ai quali ancorare la relativa verifica» (Cass. 25737/2018; conf. Cass. 10485/2019, 3487/2020);

10. va infine rilevato che, a valle della
qualificazione siccome generica della locuzione impiegata dalla società –
laddove ha indicato in esigenze tecnico-organizzative non altrimenti, come
visto, specificate le ragioni di sospensione di M. – appare inammissibile
l’ultimo profilo sollevato, per la parte in cui la censura riferisce tale
collocazione siccome non propria del solo ricorrente bensì condivisa con altri
lavoratori; si tratta di circostanza non risultante dal decreto, rispetto alla
quale nemmeno emerge la sicura appartenenza al contraddittorio processuale,
discendendone così la apparente novità, e dunque l’inammissibilità anche per
come posta, stante l’invocata violazione dell’art.360
co. 1 n.3 c.p.c.;

il ricorso va dunque rigettato; le spese seguono la
regola della soccombenza e si liquidano come da dispositivo; sussistono i
presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass.
s.u. 4315/2020).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento, liquidate in euro 7.000, oltre a 200
euro per esborsi e al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%,
nonché accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, co. 1 – quater, d.P.R. 115/02,
come modificato dalla I. 228/12, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del co. 1 – bis dello stesso art. 13.

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