Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 marzo 2021, n. 11452

Amministratore unico, Responsabile del reato di lesioni
colpose gravi ai danni del lavoratore, Prescrizione, Accertamento autonomo
della responsabilità della persona giuridica nel cui interesse o vantaggio fu
commesso l’illecito, Imprescindibile la verifica, quantomeno incidentale,
della sussistenza del fatto-reato, Condotta espressione della politica
aziendale della società o quanto meno derivante da una colpa di organizzazione

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza in
data 18 giugno 2019, confermava la condanna resa dal Tribunale di Modena nei
confronti di C.D., amministratore unico della ditta F.C.C. s.r.I., quale
responsabile del reato di lesioni colpose gravi ai danni del lavoratore D.D.,
il quale, nel corso di lavori di rifacimento della copertura del tetto della
stazione ferroviaria di San Felice sul Panaro, appaltati da R.I., privo di
cintura di sicurezza o di qualsivoglia sistema di trattenuta, era precipitato
all’interno dell’edificio da un’altezza di circa cinque metri, attraverso un
varco che si era improvvisamente aperto per il cedimento strutturale della
soletta. La Corte di Appello escludeva nei confronti della F.C.C. s.r.l. la
sanzione interdittiva del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione
ex art. 9, comma 2,
d.lgs.n.231/2001, confermando quella pecuniaria irrogata in prime cure.

2. La Corte territoriale, condividendo quanto già ritenuto
dal Tribunale, osservava che il lavoro che si stava eseguendo non era limitato
al controllo delle grondaie – attività per la quale era stato disposto un
presidio di sicurezza costituito da un trabattello al quale il lavoratore si
poteva agganciare mediante il moschettone della cintura di sicurezza – bensì
quello di risistemare il tetto per eliminare una perdita d’acqua, tanto che
alcune tegole erano già state rimosse e trovate a terra, come accertato dal
tecnico della ASL intervenuto sul luogo dell’incidente dopo venti/trenta
minuti. Nonostante l’altezza del tetto fosse di circa cinque metri non era
stato predisposto alcun utile parapetto intorno all’edificio, come richiesto
dalla normativa antinfortunistica, né gli operai erano stati dotati di idonea
cintura di sicurezza da poter essere agganciata a punti “sicuri” del
tetto medesimo, non essendo stata rinvenuta sul luogo della caduta alcuna
cintura. Quanto al POS, reputava generiche le prescrizioni in esso contenute in
tema di rischio di caduta dall’alto di persone, poiché in tale documento si
faceva riferimento all’uso di scale e trabattelli ma non si menzionavano in
alcun modo parapetti che circondassero gli edifici per salire sul tetto che
doveva essere ristrutturato. Ancora, affermava la Corte territoriale che la
posizione di S.A., responsabile della sicurezza, non poteva escludere quella
del datore di lavoro, garante della incolumità fisica dei prestatori di lavoro
e tenuto in ogni caso a vigilare sull’operato del responsabile per la sicurezza
e dei preposti. Di qui la prova delle omissioni contestate all’imputato, a cui
era stato mosso un addebito di colpa generica e la specifica violazione dell’art. 2087 cod.civ. e 148 del d.lgs.n.81/2008. Con
riguardo al trattamento sanzionatorio, la Corte confermava infine il giudizio
di equivalenza delle attenuanti generiche concesse dal Tribunale, negando un
bilanciamento in termini di prevalenza, in considerazione del grado della colpa
e della gravità delle lesioni cagionate, guarite oltre i quaranta giorni.

3. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato,
tramite il difensore di fiducia, articolando quattro distinti motivi.

Con il primo motivo deduce violazione dell’art.157 cod.pen. La Corte, nell’affermare che il
rinvio all’udienza del 25/5/2016 era stato disposto per adesione dei difensori
all’astensione di categoria, non aveva tenuto conto del fatto che in ogni caso
in quella udienza sarebbe stato disposto un rinvio per omessa citazione dei
testi, e dunque non potevano essere sospesi i termini di prescrizione
prevalendo le esigenze istruttorie.

Con il secondo motivo lamenta vizio della
motivazione per avere la Corte territoriale escluso un comportamento abnorme
del lavoratore, al quale era stato impartito il solo ordine di ripulitura della
grondaia e non anche quello di ispezione e riparazione del tetto.

Con il terzo motivo prospetta ancora vizio
motivazionale perché le funzioni di responsabile della sicurezza erano state
delegate al geom. S.A., come risultato dal POS acquisito agli atti.

Infine, con il quarto motivo, ritiene la motivazione
viziata in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche
con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, nonostante il corretto
comportamento processuale e l’avvenuto risarcimento del danno.

4. Ha proposto ricorso altresì la F.C.C. s.r.I.,
articolando un unico motivo, ampiamente sviluppato, con il quale deduce
mancanza ed illogicità della motivazione con riferimento all’art.25 septies, comma 1, d.lgs.231/01
in relazione al delitto di lesioni colpose. La Corte, richiamando la sentenza
di primo grado, ha omesso di motivare e di far comprendere il percorso logico
per cui è stato ritenuto interesse o vantaggio della Società, costituito dal
risparmio dei costi di esercizio dell’impresa consistiti nella mancata spesa
per allestire i ponteggi necessari. Si tratta di una motivazione illogica perché
contrasta con la deposizione dell’ispettore della ASL, il quale aveva riferito
che la ditta era in regola con la normativa antinfortunistica, tanto che non
era stata elevata alcuna contravvenzione. Trattandosi poi di comportamento
abnorme ed imprevedibile del lavoratore, anche la responsabilità della ditta
doveva essere esclusa.

5. Il Procuratore Generale in sede con requisitoria
scritta ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
essere il reato estinto per prescrizione.

 

Considerato in diritto

 

1. Il reato di lesioni colpose gravi ascritto a C.D.
è estinto per prescrizione.

Il ricorso infatti non presenta di inammissibilità
né sussistono le condizioni per pronunciare sentenza di assoluzione a norma
dell’art.129, comma 2, cod. proc. pen.,
ravvisabili soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere
l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la
sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non
contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo
appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi,
che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi
necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009,
Tettamanti, Rv. 24427501).

2. Ai soli fini della pronuncia sull’illecito
contestato alla F.C.C. s.r.l. va comunque confermata, in via incidentale, la
sussistenza del reato.

Sul punto, questa Corte Suprema ha infatti affermato
che in presenza della declaratoria di prescrizione del reato-presupposto della
responsabilità amministrativa della persona giuridica, ai sensi dell’art.8 d.lgs.231/2001, il giudice
deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità della persona
giuridica nel cui interesse o vantaggio fu commesso l’illecito non potendo però
prescindersi da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del
fatto-reato (Sez.4, n.2248 del 18/4/2018, Rv.273399); e che, peraltro, la
differenziazione del regime di prescrizione del reato e dell’illecito
amministrativo fondante la responsabilità delle persone giuridiche non può
essere ritenuta irragionevole poiché si tratta di due ipotesi di responsabilità
aventi natura diversa che giustifica il differente trattamento (Sez.6, n.28299
del 10/11/2015, dep.07/07/2016, Rv.267048).

Ed allora, con riferimento al secondo ed al terzo
motivo di ricorso dell’imputato (essendo il primo ed il quarto superati dalla
pronuncia di prescrizione), si osserva che la Corte territoriale ha risposto in
maniera diffusa e corretta al motivo di appello con il quale era stata dedotta
l’abnormità del comportamento del lavoratore, rimarcando che dalla compiuta istruttoria
(ben riportata a pag.6 della sentenza nelle sue linee essenziali) era emersa
sia la totale assenza di presidi di sicurezza sia il fatto che l’attività di
rimozione delle tegole dal tetto era già in corso nel cantiere, come attività
dunque “concertata” e non frutto di una “iniziativa
personale” del solo lavoratore infortunato D.D..

Del pari immune da censure l’argomentazione
sviluppata dalla Corte di merito relativamente alla responsabilità del datore
di lavoro nonostante la nomina di un responsabile per la sicurezza – la cui
posizione comunque non è mai stata vagliata ed approfondita – sul rilievo
dell’assenza di una delega e della assoluta genericità del Piano Operativo di
Sicurezza dell’epoca, così valutato dell’ispettore dell’Ausl in sede di sopralluogo
dopo l’incidente.

3. Ciò premesso, il ricorso della Società va
rigettato, siccome infondato.

Come è noto, il decreto
legislativo n.231/01 ha introdotto una nuova forma di responsabilità
(definita espressamente “amministrativa da reato”), rappresentata da
una fattispecie complessa in virtù della quale per configurare la
responsabilità dell’ente è necessario non solo il compimento di un fatto-reato
(tra quelli previsti ed elencati nella Sezione III), commesso da coloro che
rivestono (in fatto o di diritto) una posizione apicale o persone sottoposte
alla direzione e vigilanza degli organi della società, ma anche che tale
condotta sia espressione della politica aziendale della società o quanto meno
derivante da una colpa di organizzazione.

Nello specifico, poiché il reato di lesioni colpose
è stato commesso dal datore di lavoro, soggetto in posizione apicale, che non
ha certo agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, l’ente deve
rispondere dell’illecito salvo che, a mente dell’art.6 del citato d.lgs., non
fornisca la prova di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della
commissione del reato, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a
prevenire reati della specie di quello verificatosi.

La sussistenza dell’interesse (dal punto di vista
soggettivo) o del vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo) è
sufficiente all’integrazione della responsabilità, in caso di violazione della
legislazione speciale in materia di sicurezza del lavoro ovvero del generale
obbligo di tutela degli ambienti di lavoro sancito dall’art.2087 cod.civ.

Nel caso in esame è stata contestata e correttamente
ritenuta la violazione di entrambe le normative prevenzionali.

4. La Corte di Bologna, nel ravvisare l’interesse
dell’ente alla violazione delle misure di prevenzione, consistito nel risparmio
dei costi di impresa corrispondente alla mancata spesa per il montaggio e
l’impiego del materiale per realizzare il ponteggio necessario per lo
svolgimento del lavoro in quota, ha richiamato, facendola propria, la
motivazione offerta sul punto dal Tribunale di Modena.

Il primo giudice aveva evidenziato, quanto
all’interesse, che la condotta negligente del rappresentante legale della
società cui era conseguita la carenza nell’adozione di cautele
antinfortunistiche non era una semplice sottovalutazione del rischio, quanto
piuttosto una consapevole scelta volta al risparmio dei costi e dei tempi di
lavoro, e, quanto al vantaggio, che la F.C.C. s.r.I., già coinvolta in episodi
analoghi, era “del tutto disattenta” alla materia della sicurezza,
così che l’infortunio occorso al D.D. era da porsi in relazione alla precisa
scelta aziendale di contenimento della spesa e di massimizzazione del profitto.

Opportuno il riferimento alla sentenza
“Thyssenkrupp” (S.U.n.38343/2014), ove si è affermato che
“l’idea di profitto deve essere conformata di guisa che sia coerente con
le caratteristiche della fattispecie cui si riferisce…e si collega con
naturalezza ad una situazione in cui l’ente trae da tale violazione un
vantaggio che si concreta, tipicamente, nella mancata adozione di qualche
oneroso accorgimento di natura cautelare, o nello svolgimento di un’attività in
una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di
quanto dovuto.

Qui si concreta il vantaggio che costituisce il
nucleo essenziale dell’idea normativa di profitto”. Si è ancora precisato
che “ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non
volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha
consapevolmente agito allo scopo di conseguire una utilità per la persona
giuridica: ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche
risulti essere l’esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una
cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta
finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa. Pur non volendo il
verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha
consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un
interesse dell’ente (facendo ottenere alla società un risparmio sui costi in
materia di prevenzione). Ricorre il requisito del vantaggio quando la persona
fisica agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento
morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme
prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica di impresa disattenta
alla materia della sicurezza del lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed
un contenimento della spesa, con conseguente massimizzazione del profitto. Il
criterio del vantaggio, così inteso, appare indubbiamente quello più idoneo a fungere
da collegamento tra l’ente e l’illecito commesso dal suo organo apicale”
(così Sez.4, n.24697/2016).

5. La società ricorrente, pur richiamando anch’essa
tali principi di diritto, non si confronta con quanto argomentato dai giudici
di merito circa la totale assenza di dispositivi di protezione durante il
lavoro di smontaggio delle tegole del tetto, ribadendo a propria difesa la tesi
dell’autonoma ed imprevedibile decisione del lavoratore infortunato, rimasta
smentita dal compendio istruttorio.

6. Ne deriva il rigetto del ricorso della Società e
la condanna al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei
confronti di C.D., perché il reato è estinto per prescrizione.

Rigetta il ricorso della C.F.C. s.r.l. che condanna
al pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 marzo 2021, n. 11452
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