Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 aprile 2021, n. 9650

Contratto a termpo determinato, Nullità, Inefficacia
dell’impugnativa stragiudiziale sottoscritta solo dai legali della lavoratrice
– Tempestiva informativa al datore di lavoro, Prova

Fatti di causa

 

1. Con sentenza pubblicata il 2 marzo 2018, la Corte
di Appello di Catanzaro ha confermato la decisione del giudice di primo grado
che aveva respinto il ricorso proposto da E.D.R. nei confronti di P.I. Spa,
volto alla declaratoria della nullità del termine apposto al contratto
intercorso tra le parti dal 10 novembre 2010 al 31 gennaio 2011, per
inefficacia della impugnativa stragiudiziale sottoscritta soltanto dai legali
della lavoratrice.

2. La Corte ha rilevato che nell’impugnativa i
legali avevano dichiarato “di scrivere l’atto in questione, in nome, per
conto e nell’interesse della Sig.ra D.R. e di intervenire nella vicenda in
forza di mandato all’uopo conferito loro”; tuttavia ha ritenuto che
“tale formulazione non è sufficiente a conferire efficacia all’atto, in
mancanza di una comunicazione contestuale – o entro i termini decadenziali
previsti per l’impugnativa – dell’atto dal quale emerga una ratifica
dell’operato del rappresentante”; a sostegno ha richiamato l’ordinanza n.
25118 del 2017 di questa Corte in base alla quale la ratifica di una
impugnativa ex art. 6, co. 1,
I. n. 604 del 1966, deve essere portata a conoscenza del datore di lavoro
prima della scadenza del termine di sessanta giorni; la sentenza ha concluso
che “nessuna prova di tale tempestiva informativa al datore di lavoro è
stata allegata o documentata dal lavoratore”, rigettando il gravame.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso E.D.R. con unico articolato motivo; ha resistito con controricorso P.I.
Spa.

4. Con ordinanza interlocutoria n. 32733 del 2019 la
Sesta sezione civile di questa Corte, ravvisando diversi orientamenti in ordine
alla questione giuridica posta dal motivo di impugnazione, ha rimesso la causa
alla Quarta sezione per la trattazione in udienza pubblica.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia
violazione e falsa applicazione di norme di diritto – “art. 6 legge n. 604/1966, art. 1399 e 1324 c.c.,
art. 421 e 182
c.p.c.” – affermando che chi agisce nel nome e nell’interesse del lavoratore
non ha l’onere di comunicare o di documentare la procura, salvo che il datore
di lavoro gliene faccia richiesta ai sensi dell’art.
1399 c.c., applicabile anche agli atti unilaterali ex art. 1324 c.c., richiesta nella specie mai
avanzata.

Si invoca in ogni caso l’operatività degli artt. 421 e 182 c.p.c.,
quest’ultimo esteso anche alle ipotesi di inesistenza o di mancata produzione
in giudizio del negozio rappresentativo; si argomenta che i legali avevano
agito nell’impugnazione stragiudiziale “in nome, per conto e
nell’interesse della Sig.ra D.R.E. … che all’uopo conferisce espresso
mandato”, il che presuppone “l’esistenza di un conferimento di
incarico, autenticato ed avente data certa anteriore all’impugnazione
stragiudiziale di che trattasi, prodotto nel fascicolo di parte e di cui il
giudice di secondo grado, inopinatamente ed incomprensibilmente, non tiene conto”.

2. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione
di inammissibilità del ricorso sollevata dalla società per difetto di
“autosufficienza”, atteso che la questione posta dal motivo in esame,
concernente l’efficacia dell’impugnativa stragiudiziale proposta ai sensi dell’art. 6 della I. n. 604 del 1966
da soggetto terzo diverso dal lavoratore, è di mero diritto.

3. Nel merito la censura è fondata per le ragioni
espresse dalla motivazione che segue, ritenendo il Collegio convocato in
pubblica udienza – all’uopo sollecitato dall’ordinanza interlocutoria della
Sesta sezione – di dare continuità a quanto già affermato da questa Corte con
la sentenza n. 16416 del 2019.

3.1. Secondo l’art. 6, comma 1, I. n. 604 del
1966, come sostituito dall’art.
32, comma 1, I. n. 183 del 2010, “Il licenziamento deve essere
impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua
comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma
scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche
extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso
l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il
licenziamento stesso”.

La disposizione di cui all’articolo 6 citato, come
modificata, è applicabile anche alle ipotesi previste dai commi 3 e 4 dell’art. 32 della I. n. 183 del 2010,
tra cui l’impugnativa del contratto di lavoro a termine oggetto del presente
contenzioso.

3.2. Ne deriva che occorre confrontarsi con gli
orientamenti giurisprudenziali che si sono formati in tema di impugnativa
stragiudiziale del licenziamento, a partire dagli enunciati espressi dalle
Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 2179 del 1987 e ricavabili
dalla massima:

a) l’impugnativa di cui all’art. 6 della I. n. 604 del 1966
costituisce un atto negoziale dispositivo e formale, essendo richiesta la forma
scritta ad substa ntiam;

b) l’impugnativa può essere posta in essere dal
lavoratore o dall’associazione sindacale, cui quest’ultimo aderisca, in forza
del potere di rappresentanza previsto ex lege dall’art. 6 citato, ovvero da un
terzo rappresentante del lavoratore munito di specifica procura scritta;

c) il terzo, ancorché avvocato o procuratore legale,
può anche essere sprovvisto di procura ma, in tale caso, il suo operato deve
essere successivamente ratificato dal lavoratore e sempre che tale ratifica
rivesta la forma scritta e – come l’impugnativa – sia comunicata o notificata
al datore di lavoro prima della scadenza del termine di decadenza;

d) ove l’impugnativa sia proposta dal legale del
lavoratore senza il rilascio da parte di quest’ultimo di specifica procura
scritta, il successivo ricorso giudiziario contenendo, con la relativa procura
al difensore stesso che abbia già posto in essere il detto atto, la ratifica
scritta del suo operato, deve essere notificato o comunicato al datore di
lavoro nel termine di sessanta giorni.

Dalla descritta articolazione di regole emerge come
occorra tenere concettualmente e giuridicamente distinte le ipotesi in cui –
per quanto qui interessa – il difensore impugna stragiudizialmente l’atto
datoriale per conto del lavoratore quando è già in possesso di una specifica
procura scritta dalle ipotesi in cui il difensore impugni senza essere
provvisto di idonea procura ed il suo operato necessiti di ratifica.

Necessario distinguere perché dalla diversità dei
fatti discende la differenza di disciplina applicabile.

3.3. Dalla qualificazione giuridica
dell’impugnazione ex art. 6 I.
n. 604/66 come atto negoziale se ne è tratta la conseguenza che alla stessa
si applica, in forza del rinvio contenuto nell’art.
1324 c.c., la disciplina dettata dagli artt.
1387 e ss. c.c. in tema di rappresentanza.

Innanzitutto vige l’art.
1392 c.c. per il quale “la procura non ha effetto se non è conferita
con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve
concludere”, sicché è pacifico che la procura per impugnare ex art. 6, I. n. 604/66, debba
rivestire la forma scritta (tra molte: Cass. n. 8412 del 2000; Cass. n. 15888 del 2012; Cass. n. 9182 del 2014).

Pertanto il difensore, come ogni altro terzo, nel
momento in cui impugna con qualsiasi atto idoneo a rendere nota la volontà del
lavoratore che rappresenta, deve essere munito di specifica procura scritta di
data antecedente al compimento dell’atto stesso (cfr., fra le recenti, Cass. n. 25118 del 2017; Cass. n. 23603 del 2018;
Cass. n. 1444 del 2019); altrimenti il suo operato, per rendere efficace
l’impugnativa effettuata senza idonea procura, dovrà essere assoggettato al
diverso regime della ratifica.

3.4. In questo secondo caso opera l’art. 1399 c.c., in base al quale colui che abbia
negoziato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle
facoltà conferitegli (cfr. art. 1398 c.c.)
potrà vedere ratificato il negozio dall’interessato “con l’osservanza
delle forme prescritte per la conclusione di esso”.

Tuttavia già nel 1987 le Sezioni unite prima
ricordate hanno sancito che tale ratifica deve essere comunicata o notificata
al datore di lavoro prima della scadenza del termine di decadenza e che, ove
l’impugnativa sia proposta dal legale del lavoratore senza il rilascio da parte
di quest’ultimo di specifica procura scritta, il successivo ricorso
giudiziario, con la relativa procura al difensore stesso che abbia già posto in
essere il detto atto, contenente la ratifica scritta del suo operato, deve
essere notificato o comunicato al datore di lavoro nel termine di sessanta
giorni.

Infatti l’art. 1399 c.c.
deve essere applicato nelle sole parti compatibili con la funzione che
l’ordinamento assegna agli atti unilaterali da compiersi entro un termine
perentorio, sicché si è esclusa la retroattività della ratifica prevista dal
comma 2 della norma richiamata e si è affermato che la ratifica stessa può
spiegare effetti solo qualora intervenga entro sessanta giorni dalla
comunicazione del recesso, posto che “le esigenze di certezza sottese alla
fissazione dei termini di prescrizione e decadenza non sono conciliabili con
l’instaurazione di una situazione di pendenza suscettibile di protrarsi in
maniera indeterminata, ben oltre la loro scadenza, e la cui durata rimarrebbe
nell’esclusiva disponibilità del dominus” (Cass.
n. 8262 del 1997 e negli stessi termini, fra altre, Cass. n. 2374 del 1998, Cass. n. 15888 del 2012, Cass. n. 9182 del 2014).

3.5. Tale ipotesi della ratifica, che deve essere
comunicata o notificata al datore di lavoro entro il termine di decadenza di
sessanta giorni, va tenuta distinta dall’ipotesi in cui il difensore che
impugna è già munito di idonea procura del lavoratore.

In tale evenienza, concettualmente e giuridicamente
differente dalla prima perché in questo caso il rappresentante spende un potere
di cui è dotato, si pone questione del se il difensore debba comunque portare a
conoscenza del datore di lavoro la procura scritta nel termine di sessanta
giorni, affinché l’impugnativa possa produrre l’effetto di impedire la decadenza.

Va qui ribadito il principio secondo cui
l’impugnativa stragiudiziale ex art.
6, comma 1, I. n. 604/66, può efficacemente essere eseguita in nome e per
conto del lavoratore dal suo difensore previamente munito di apposita procura,
senza che il suddetto rappresentante debba comunicarla o documentarla al datore
di lavoro nel termine di sessanta giorni, perché, ferma la necessaria
anteriorità della procura, è sufficiente che il difensore manifesti di agire in
nome e per conto del proprio assistito e dichiari di avere ricevuto apposito
mandato (in termini: Cass. n. 16416 del 2019; in tale aspetto conformi anche Cass. n. 3634 del 2017 e Cass. n. 1444 del 2019).

Infatti si è rilevato, in generale, che il
rappresentante non è tenuto ad indicare, nel negozio che pone in essere, la
fonte del potere rappresentativo di cui è investito, essendo sufficiente che
egli manifesti di agire in nome e per conto altrui e non in proprio (cfr. Cass.
n. 3449 del 1968; Cass. n. 1130 del 1981). Se il rappresentante “non è
tenuto, nel momento in cui compie l’atto, ad indicare la fonte del potere di
rappresentanza già preventivamente conferitogli, a maggior ragione non è
obbligato a farlo in un secondo momento”, perché, “ove non si versi
in tema di ratifica, viene meno qualsiasi aggancio normativo, teleologico o
sistematico, per gravare il procuratore del lavoratore (e si noti soltanto
costui rispetto alla generalità delle possibili ipotesi di rappresentanza nel
diritto privato) dell’onere di dare esplicita contezza, senza che alcuno gliene
abbia fatto richiesta, della fonte del potere conferitogli” (così Cass. n. 3634 del 2017 e Cass. n. 7866 del 2012).

Non è possibile, cioè, “configurare in capo al
rappresentante un obbligo, non previsto dalla legge, di comunicazione della
fonte costitutiva del potere, perché l’esigenza di certezza sottesa alla
fissazione di un termine di decadenza è già assicurata dalla dichiarazione del
difensore di agire in nome e per conto del proprio assistito ed in forza di
procura dallo stesso conferita” (Cass. n. 16416/2019 cit.).

Non contrastano efficacemente la conclusione qui
condivisa alcuni precedenti di legittimità, anche richiamati dall’ordinariza
interlocutoria della Sesta sezione, in quanto dall’esame delle fattispecie
concrete emerge che al vaglio di questa Corte, in quei casi, vi erano ipotesi
di ratifica, per le quali non è dubbio che l’atto che la contiene debba essere
comunicato o notificato al datore di lavoro entro la scadenza del termine
decadenziale (Cass. n. 15888 del 2012; Cass. n. 25118 del 2017).

Mentre non appare persuasiva Cass. n. 9182 del 2014, la quale esplicitamente
ribadisce come anche la procura debba essere comunicata al datore di lavoro
entro i sessanta giorni previsti dal comma 1 dell’art. 6, I. n. 604/66,
argomentando dalla inapplicabilità dell’art. 1393
c.c. che riguarderebbe l’ipotesi del “terzo che contratta col
rappresentante”, mentre “tale non può certo ritenersi il datore di
lavoro che è privo di un potere negoziale a fronte dell’impugnativa del
licenziamento”.

Infatti la tesi è sostenuta sull’assunto che detta
impugnativa “costituisce un atto giuridico (non negoziale) unilaterale tra
vivi a carattere patrimoniale” (sulla scorta di Cass.
n. 2374 del 1998), in contrasto con quanto già sancito dalle Sezioni unite
con la sentenza n. 2179 del 1987, secondo cui l’impugnativa ex art. 6 I. n. 604/66 costituisce
una manifestazione di volontà negoziale, riconducibile allo schema proprio del
negozio giuridico, in quanto “manifestazione di volontà diretta ad uno
scopo pratico tutelato dal diritto, od anche manifestazione di volontà le cui
conseguenze giuridiche sono dirette ad attuare il fine pratico voluto e
tutelato dalla legge”.

Inoltre non vi è ragione plausibile per negare al
datore di lavoro, terzo destinatario di una impugnativa di licenziamento
sottoscritta da soggetto che non è proprio dipendente ma che si dichiara
rappresentante di questi, la facoltà di avvalersi dell’art. 1393 c.c. per chiedere a chi spende il nome
altrui di giustificare i suoi poteri, atteso che il termine
“contratta” ben può riferirsi alla relazione bilaterale che lega le
due parti del rapporto di lavoro.

Infine detta disposizione opera sul livello della
giustificazione dei poteri dei rappresentante ma non può spiegare rilievo
dirimente sul diverso piano della validità della impugnativa stragiudiziale sottoscritta
dal terzo, che verrebbe meno sol perché la procura preesistente non sarebbe
portata a conoscenza della controparte entro uno stretto termine di decadenza,
così omologando indebitamente il caso in cui chi impugna è dotato del potere
col caso in cui chi impugna ne è sprovvisto ed il suo atto deve essere
ratificato.

Da un punto di vista sistematico non appare
superfluo evidenziare che, di recente, la Corte costituzionale (sent. n. 212 del 2020) ha considerato che “le
norme contenute nell’art. 6,
primo e secondo comma, della legge n. 604 del 1966 sono disposizioni di
natura eccezionale ex art. 14 delle disp. prel.
cod. civ. – e quindi di stretta interpretazione – in quanto derogatorie
della disciplina generale delle impugnative negoziali, nella misura in cui
l’azione di nullità e quella di annullamento risultano entrambe condizionate
dalla previa proposizione di una tempestiva impugnativa stragiudiziale, poi
coltivata nella sede giudiziaria (o analoga) entro un termine di
decadenza”; di modo che vanno disattese interpretazioni che amplino, senza
ragionevole giustificazione, l’area di operatività della decadenza in esame.

3.6. Posto che l’impugnativa del difensore munito di
procura è atto idoneo ad impedire la decadenza ex art. 6 I. n. 604/66, anche se
detta procura non viene comunicata o notificata alla controparte nel termine di
sessanta giorni, resta da verificare la posizione del datore di lavoro.

In via stragiudiziale, il datore destinatario di una
impugnativa scritta di un difensore, che dichiari di agire in nome e per conto
del lavoratore, può avvalersi – come detto – del potere conferito dall’art. 1393 c.c., secondo cui il terzo “può
sempre esigere che (il rappresentante) giustifichi i suoi poteri e, se la
rappresentanza risulta da atto scritto, che gliene dia una copia da lui
firmata”.

In tale contesto deve essere precisata
l’affermazione contenuta in taluni precedenti di questa Corte che sembrano
imporre l’obbligo al datore di lavoro di richiedere la giustificazione del
potere di rappresentanza del difensore ex art. 1393
c.c. “prima della scadenza del termine di sessanta giorni e comunque
prima che il lavoratore si rivolga al giudice” (Cass. n. 7866/12 cit.; Cass. n. 3634/17 cit.; Cass. n. 1444/19 cit.),
come se la mancata richiesta precludesse al datore di lavoro di sollevare la
questione in giudizio.

In realtà non vi è disposizione che impedisca al
datore di lavoro di contestare l’efficacia dell’impugnativa sottoscritta dal
terzo una volta convenuto in iure, anche se non abbia richiesto in precedenza
al rappresentante di giustificare i suoi poteri.

Si è infatti condivisibilmente chiarito che,
“poiché l’art. 1393 cod. civ. non pone a
carico del terzo un obbligo ma gli conferisce solo una facoltà, il mancato
immediato esercizio del potere non impedisce che successivamente il datore
possa contestare l’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale” (così Cass.
n. 16416/19 cit.; sul fatto che l’art. 1393 c.c.
costituisca una facoltà e non un obbligo v., in precedenza, Cass. n. 9289 del
2001; Cass. n. 15743 del 2004).

Invero, in sede giudiziale, il datore di lavoro
convenuto potrà ancora eccepire la.decadenza ex art. 6, I. n. 604 del 1966,
con la memoria di costituzione, trattandosi di una eccezione in senso stretto
che non può essere rilevata d’ufficio, attenendo a diritti disponibili (Cass. n. 19406 del 2011; Cass. n. 1035 del 1991; Cass. n. 10644 del 1990;
più di recente, anche con riferimento all’art. 32 I. n. 183 del 2010, v.
Cass. n. 8843 del 2020, con la giurisprudenza ivi richiamata).

In tal caso, anche se il datore di lavoro, prima del
giudizio, non si sia avvalso della facoltà a lui concessa dall’art. 1393 c.c., potrà contestare l’idoneità
dell’impugnativa stragiudiziale sottoscritta dal solo difensore e sarà onere
del lavoratore dimostrare la validità dell’atto compiuto dal rappresentante,
offrendo la prova dell’anteriorità della procura scritta (cfr. Cass. n.
16416/19 cit.), che può essere fornita con ogni mezzo (Cass. n. 7866/12 cit.; Cass. n. 3634/17 cit.).

4. Alla stregua delle considerazioni esposte, la
Corte territoriale ha errato nel ritenere la decadenza dell’impugnante
sull’assunto che avrebbe dovuto portare a conoscenza del datore di lavoro una
“ratifica” nel termine di sessanta giorni, atteso che, una volta
rilevato che l’impugnazione era stata proposta dai legali della D.R. spendendo
l’esistenza di un preventivo mandato, si versava nella differente ipotesi in cui
occorreva accertare se una procura scritta anteriore vi fosse, perché in tal
caso gli effetti nella sfera giuridica del rappresentato si producono anche
laddove non sia stato comunicato al datore di lavoro, prima del giudizio,
l’atto attributivo del potere di rappresentanza.

Pertanto, in accoglimento del motivo di ricorso, la
sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al giudice indicato in
dispositivo che si uniformerà al seguente principio di diritto:

“L’impugnativa stragiudiziale ex art. 6, comma 1, I. n. 604 del
1966, può efficacemente essere eseguita in nome e per conto del lavoratore
dal suo difensore previamente munito di apposita procura scritta, senza che il
suddetto rappresentante debba comunicarla o documentarla al datore di lavoro
nel termine di sessanta giorni, perché, ferma la necessaria anteriorità della
procura, è sufficiente che il difensore manifesti di agire in nome e per conto
del proprio assistito e dichiari di avere ricevuto apposito mandato; il
certificazione unica x lavoratore parasubordinato datore di lavoro convenuto in
giudizio può contestare l’idoneità dell’impugnativa stragiudiziale sottoscritta
dal solo difensore, anche se in precedenza non si sia avvalso della facoltà a
lui concessa dall’art. 1393 c.c.”.

La Corte territoriale, in applicazione del principio
enunciato, procederà a nuovo esame, accertando conseguentemente se sia stata
ritualmente acquisita al giudizio la prova di una procura scritta rilasciata da
E.D.R. ai difensori che hanno impugnato ex art. 6 I. n. 604 del 1966 in
data anteriore all’impugnazione medesima.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per
le spese.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 aprile 2021, n. 9650
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