Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 aprile 2021, n. 9665
Lavoro, Sospensione cautelare dal servizio, Illegittimità,
Accertamento, Pagamento della differenza fra retribuzione tabellare e assegno
alimentare
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato
improcedibile l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale
della stessa sede che aveva accolto il ricorso di M. C. e, dichiarata
illegittima la sospensione cautelare dal servizio disposta dall’Istituto con
determinazione n. 26/2015, aveva condannato l’ente al pagamento della
differenza fra retribuzione tabellare e assegno alimentare.
2. La Corte territoriale, premesso che l’appellante
aveva ricevuto il 18 ottobre 2017 formale comunicazione del provvedimento
presidenziale di fissazione dell’udienza ex art.
435 cod. proc. civ., ha rilevato che solo il 13 novembre 2018 l’Inps aveva
avviato il procedimento notificatorio sicché, sulla base dei principi affermati
dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza
n. 20604/2008, andava dichiarata l’improcedibilità del gravame perché
all’udienza del 12 novembre 2018, fissata per la discussione della causa,
l’appello non risultava notificato e nessuna efficacia sanante
dell’improcedibilità poteva assumere la circostanza che l’udienza stessa fosse
stata rinviata per esigenze organizzative dell’ufficio.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso l’Inps sulla base di due motivi, illustrati da memoria, ai quali ha
replicato con tempestivo controricorso M. C..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo l’istituto ricorrente
denuncia «violazione e/falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e
accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero, in particolare, dell’art. 435 c.p.c. in relazione alla violazione
dei principi di cui all’art. 111 Cost., ed
in particolare del comma 7, in una
lettura integrata con l’art. 6 CEDU»
e sostiene che l’udienza,
inizialmente fissata per il 12 novembre 2018 era
stata rinviata d’ufficio, per esigenze organizzative, dapprima al 15 novembre e
successivamente al 22 novembre, sicché la notifica effettuata non poteva essere
ritenuta inesistente, trattandosi invece di atto affetto da nullità in
conseguenza del mancato rispetto del cosiddetto termine a difesa.
2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., eccepisce la
nullità della sentenza e del procedimento per violazione dei principi di cui
all’art. 111 Cost. in una lettura integrata con
l’art. 6 CEDU, e ribadisce che
l’esistenza della notifica andava verificata rispetto all’udienza di
discussione del 15 novembre 2018.
3. Preliminarmente il Collegio rileva che non
sussiste pregiudizialità in senso tecnicogiuridico fra il giudizio avente ad
oggetto la legittimità del licenziamento intimato al C. in data 7 febbraio 2014
e la presente controversia, nella quale si discute della sospensione cautelare
dal servizio disposta il 26 gennaio 2015, in pendenza della causa di
impugnazione della sanzione espulsiva. Il nesso che lega fra loro i due giudizi
rileva solo sul piano della pregiudizialità logica, che non giustifica la
sospensione del processo, asseritamente pregiudicato, giacché il rischio di
conflitto di giudicati in tal caso è scongiurato dalla previsione dell’art. 336, comma 2, cod. proc. civ. secondo cui la
riforma o la cassazione della sentenza produce effetti sugli atti e sui
provvedimenti, ivi compresi quelli giudiziali, che dipendono dalla sentenza
riformata o cassata ( cfr. fra le più recenti Cass. n. 12999/2019).
Non può neppure essere accolta la richiesta di
rinvio formulata dall’INPS nella memoria ex art.
378 cod. proc. civ. perché il rispetto del diritto fondamentale a una
ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 cod.
proc. civ., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad
una sollecita definizione dello stesso, e pertanto nel giudizio di cassazione,
dominato dall’impulso di ufficio, l’istanza di differimento, così come quella
di trattazione congiunta, può trovare accoglimento solo qualora, e non è questo
il caso, emergano ragioni di opportunità idonee a bilanciare gli inevitabili
ritardi che conseguirebbero all’accoglimento della richiesta ( cfr. Cass. n.
14365/2019).
4. Il ricorso è inammissibile, perché formulato
senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione
imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ..
Il requisito imposto dal richiamato art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. deve
essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo, rispetto
ai quali la Corte è giudice del «fatto processuale», perché l’esercizio del
potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle
regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in
nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del
giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012 e Cass. S.U. n. 20181/2019).
La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di
indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore
denunciato, di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti e di indicare la sede
processuale nella quale l’atto è rintracciabile, non essendo consentito il
rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perché la Corte di
Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in
condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere
solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (cfr. fra le
più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019;
4.1. Nel caso di specie le censure si incentrano
sull’avvenuto differimento dell’udienza di discussione ex art. 437 cod. proc. civ. dal 12 al 15 novembre
2018, differimento sul quale l’Istituto fa leva per sostenere che la notifica
dell’appello, effettuata il 13 novembre sebbene il decreto ex art. 435 cod. proc. civ. fosse stato comunicato il
18 ottobre 2017, sarebbe nulla, per mancato rispetto del termine di
comparizione, ma non inesistente, come affermato dalla Corte territoriale.
Il ricorrente, pur avendo allegato al ricorso
numerosi atti processuali, fra questi non ha
inserito il decreto di differimento dell’udienza di discussione, pur
trattandosi dell’unico atto sul quale
sostanzialmente si fonda la censura, atto che non può essere surrogato dal
richiamo alla motivazione della sentenza, perché in quest’ultima se, da un
lato, si fa riferimento alla irrilevanza del rinvio “per esigenze
organizzative dell’ufficio” ( pag. 3 della sentenza), dall’altro si
afferma che all’udienza del 12 novembre l’appellante, regolarmente comparso,
chiedeva termine per il deposito
dell’appello notificato ( pag. 2 dello svolgimento del processo).
Lo stesso ricorrente, nell’argomentare sulla
fondatezza della censura, afferma che «all’udienza di discussione del 12/11/18
— ove non vi è stata alcuna attività di rilievo processuale- il Collegio col
provvedimento di rinvio, che esso stesso qualifica disposto “per esigenze
organizzative” ha sostanzialmente revocato il precedente provvedimento di
fissazione di udienza» ( pag. 12-13 del ricorso), il che smentirebbe la tesi di
un rinvio d’ufficio adottato prima dell’udienza, inducendo a ritenere, invece,
che quest’ultima sia stata celebrata e che solo all’esito la decisione della
causa sia stata differita ad altra data, appunto, dal Collegio con ordinanza,
non già dal Presidente, con decreto, come sarebbe avvenuto nell’ipotesi di un
rinvio d’ufficio.
In via conclusiva, poiché ai fini della valutazione
sulla decisività e sulla fondatezza dell’error in procedendo, non si può
prescindere dal contenuto dell’atto con il quale è stato disposto il rinvio
dell’udienza dal 12 al 15 novembre, il ricorso si rivela privo dei requisiti
prescritti dai richiamati artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., ed il mancato rispetto
degli oneri di specificazione e di allegazione impedisce la valutazione sulla
fondatezza della censura, che la Corte deve innanzitutto compiere ex actis,
perché l’esame del fascicolo processuale, finalizzato a verificare se la
rappresentazione emergente dal ricorso trovi in questo riscontro, è consentito
solo a condizione che si sia in presenza di censura ammissibile.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la
condanna dell’istituto ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n.
228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n.
4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge
per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in €
200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al
rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis, se dovuto