Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 aprile 2021, n. 10375
Infortunio, Caduta da una scala, Perdita di coscienza simile
ad altre subite in passato, Origine lavorativa della caduta, Ordinario
assetto dell’onere probatorio
Rilevato che
Con sentenza n. 40 del 12 febbraio 2015, la Corte
d’appello di Brescia ha rigettato l’impugnazione proposta da A.G. avverso la
sentenza del Tribunale di Bergamo di rigetto della sua domanda, volta ad
ottenere la condanna dell’INAIL alla corresponsione della rendita o
dell’indennizzo del danno biologico conseguente ad infortunio occorsogli a
seguito della caduta da una scala, mentre prestava opera di imbianchino;
ad avviso della Corte territoriale, posto che il
ricorrente si era limitato ad affermare di essere caduto dalla scala mentre
stava dipingendo delle pareti, senza ulteriore specificazione, e che l’INAIL
aveva contestato la causa lavorativa allegando che lo stesso lavoratore aveva
riconosciuto in sede di ricovero ospedaliero di essere caduto per una perdita di
coscienza simile ad altre che già in passato aveva subito, ha rilevato che
anche la cartella clinica prodotta testimoniava che la causa della caduta era
stata ritenuta derivante da lipotimia; per tale ragione, in difetto di
allegazioni utili ad approfondire l’esame di una origine lavorativa della
caduta, non poteva darsi corso alla richiesta di espletamento di c.t.u. medica
anche in ragione delle circostanze, relative ad altro episodio di perdita di
coscienza, contenute nella relazione del Pronto Soccorso allegata agli atti,
con la conseguenza che il lavoratore non aveva provato l’origine lavorativa
della caduta;
avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione
A.G. sulla base di tre motivi: 1) violazione dell’art.
2697, comma secondo, c.c. in ragione del fatto che la Corte territoriale
aveva errato nel ritenere che il Grigis avesse allegato in modo difettoso le
circostanze costitutive del proprio diritto non insinuando l’esistenza di
ragioni diverse della perdita di coscienza autonoma, dovendo lo stesso allegare
il solo fatto della caduta avvenuta mentre lavorava, come aveva fatto mentre
sarebbe spettato all’INAIL l’onere di provare in via di eccezione che quelle
circostanze non realizzavano una occasione di lavoro; 2) violazione dell’art. 24, comma due, Costituzione laddove la
sentenza impugnata aveva affermato che l’appello era volto ad ottenere quanto
meno la nomina di un c.t.u. senza considerare che solo una c.t.u. medico legale
avrebbe potuto spiegare l’origine del malessere accusato dal ricorrente; 3)
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e
decisivo per il giudizio che si ravvisa nel motivo che avrebbe potuto aver
procurato la caduta dalla scala e che avrebbe dovuto formare oggetto di
disamina;
l’INAIL resiste con controricorso;
Considerato che
Il primo ed il secondo motivo sono infondati;
la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2258 del
1996) ha affermato che quando l’INAIL, opponendosi, si limiti a contestare
l’assunto dell’attore – e, cioè, neghi, come nel caso in esame, la causa o
l’occasione di lavoro – senza deduzione di fatti o titoli diversi da quelli
posti a fondamento della domanda, il convenuto, in realtà, finisce col
prospettare semplicemente una difesa e non già col proporre un’eccezione
sostanziale, valevole ad invertire l’onere della prova;
una difesa (od eccezione impropria) invero,
esercitabile, perciò stesso, in qualsiasi momento del giudizio, ossia non
assoggettata nè alla preclusione di cui all’art.
416 CPC, per il giudizio di primo grado, nè a quella ex art. 437, 2 co., C.P.C. relativa al giudizio di
appello (V. Cass. n. 4345-86) e – poiché invocativa quanto meno della non
ammissione, da parte del convenuto, dei fatti costitutivi della domanda –
implicante il persistere del potere-dovere del giudice di procedere a verifica
di quei fatti (v. Cass. n. 2294-87) e cioè di accertare, comunque, la
fondatezza in fatto ed in diritto della pretesa dell’attore;
nel caso di specie, l’INAIL si è limitato a
contestare la sussistenza del nesso di causalità tra caduta ed attività di
lavoro e dunque nessuna modifica dell’ordinario assetto dell’onere probatorio
si è determinata; la sentenza impugnata, con tipico accertamento di merito, ha
ritenuto che il lavoratore aveva spontaneamente ammesso che la caduta era
causalmente correlata a genesi extra lavorativa e per di più non aveva fornito
neanche minime allegazioni di fatti idonei a suggerire l’esistenza del nesso
causale tra l’attività di lavoro e la caduta dalla scala, ciò aveva inibito
l’espletamento dell’attività di consulenza tecnica finalizzata ad accertare la
sussistenza di tale nesso causale;
peraltro, questa Corte ha avuto modo di affermare
che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, ne’ è nella disponibilità
delle parti, ma appartiene al giudice, il quale, peraltro, non può utilizzarla
per esonerare le parti dagli oneri probatori loro incombenti, e, perciò, non può
essere disposta al fine di raccogliere elementi di giudizio che le parti devono
dimostrare altrimenti (nella specie, la prova delle modalità storiche di
ricorrenza della causa violenta produttiva di infortunio sul lavoro) (Cass. n.
888 del 1982), né l’ammissione della consulenza tecnica (artt. 424 e 441 cod.
proc. civ.) può essere disposta per la ricerca delle prove che le parti
hanno l’onere di fornire o per ovviare alle carenze probatorie imputabili alle
parti stesse (Cass. 5645 del 1988);
il terzo motivo è inammissibile: vale sottolineare
che, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5,
come modificato dal D.L. n. 83 del 2012,
convertito in L. n. 134 del 2012, costituisce
motivo di ricorso per cassazione l’omesso esame d’un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (v. l’interpretazione
data dalle Sezioni unite della Corte con la sentenza
7 aprile 2014, n. 8053 e numerose successive conformi) e l’omesso esame di
elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte
le risultanze probatorie;
in sede di legittimità non è data ora (come del
resto non era altrimenti data neanche vigente il testo precedente dell’art. 360 c.p.c., n. 5) la possibilità di censurare
che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o
dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale
critica ha ad oggetto non già un fatto storico, ma l’attività di valutazione
del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete;
in definitiva, il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza nella misura
liquidata in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3000,00
oltre ad euro 200 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% ed
accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, ove previsto.