Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 maggio 2021, n. 11768

Lavoratori socialmente utili, Criteri per l’individuazione
della retribuzione oraria, Calcolo dell’assegno integrativo

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Catania, in accoglimento dell’appello
proposto dalla locale Università degli Studi, ha riformato la sentenza del
Tribunale della stessa sede che aveva condannato l’Università al pagamento, in
favore di N.A. e degli altri litisconsorti indicati in epigrafe delle somme
quantificate dal consulente tecnico d’ufficio, al quale era stato conferito
l’incarico di calcolare l’importo integrativo dovuto ai lavoratori socialmente
utili, ai sensi dell’art. 8 del
d.lgs. n. 468/1997 e dell’art.
44 della I. r. Sicilia n. 23/2002, includendo nella base di calcolo anche
la tredicesima mensilità e l’indennità di ateneo;

2. la Corte territoriale, riassunti i termini della
controversia, ha evidenziato che inizialmente il legislatore regionale si era
limitato a recepire la disciplina dettata dal richiamato art. 8, che pone a carico
dell’utilizzatore l’onere di retribuire il surplus orario degli LSU mediante il
versamento di una somma aggiuntiva, non determinata liberamente dal datore,
bensì quantificata dallo stesso legislatore attraverso il rinvio alla
retribuzione oraria del livello retributivo iniziale previsto per i dipendenti
svolgenti analoghe mansioni;

3. i criteri per la individuazione della
retribuzione oraria erano stati dettati dalla circolare
n. 312 del 13 maggio 1998, con la quale era stato precisato che occorreva
computare il trattamento retributivo annuo, detrarre dallo stesso le ritenute
previdenziali ed assistenziali, dividere per dodici l’importo ottenuto,
ottenendo la retribuzione netta mensile, sulla quale andava calcolato l’assegno
integrativo;

4. con l’art. 44 della legge regionale n.
23/2002 era stata dettata l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1, della legge
regionale n. 3/1998 nella parte in cui aveva recepito l’art. 8 del d.lgs. n. 468/1997 ed
era stato previsto, con efficacia retroattiva, un meccanismo di calcolo che
valorizzava, da un lato, la retribuzione iniziale mensile prevista per i
dipendenti assegnati ad analoghe mansioni, dall’altro «il numero di ore
eccedenti le 20 ore settimanali (ore ASU) ottenute dalla differenza tra
l’orario convenzionale e mensile del dipendente ed il monte ore medio mensile
di utilizzazione in attività socialmente utili (ASU), pari a 86 ore»;

5. la Corte Costituzionale aveva dichiarato
l’illegittimità della disposizione solo nella parte in cui aveva conferito
retroattività al diverso sistema di calcolo che, anche all’esito della
pronuncia, spiegava effetti a partire dall’anno 2003, determinando il
superamento della richiamata circolare perché, a differenza di quest’ultima,
attribuiva rilievo solo alla retribuzione mensile e non a quella annua;

6. sulla base delle argomentazioni sopra riassunte
la Corte territoriale ha escluso che potessero rilevare ai fini della
quantificazione della tariffa oraria dell’importo integrativo la tredicesima
mensilità, l’indennità di ateneo ed in genere tutte le voci retributive
corrisposte con cadenza annuale;

7. per la cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di tre motivi, ai quali
ha opposto difese con controricorso l’Università degli Studi di Catania.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., i
ricorrenti denunciano, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per la
controversia, la violazione e l’errata interpretazione della I. r. Sicilia n. 23/2002 e sostengono, in
sintesi, che l’intento del legislatore regionale era quello di prevedere un
meccanismo di calcolo dell’importo integrativo più favorevole per i lavoratori
socialmente e questa finalità era stata assicurata attraverso l’imposizione di
un meccanismo che lasciava immutato il dividendo e modificava il solo divisore;

1.1. non a caso la Corte Costituzionale aveva
ritenuto illegittima la retroattività della disposizione, evidenziando che la
stessa comportava un maggior esborso per i soggetti utilizzatori e, di
conseguenza, avrebbe richiesto che il legislatore regionale si facesse carico
della copertura della spesa;

1.2. l’Università di Catania, invece, aveva preteso
di ridurre la base di calcolo, escludendo dalla stessa emolumenti che in
precedenza erano stati valutati, ed in tal modo aveva finito per attribuire ai
lavoratori socialmente utili l’importo orario di € 7,07 in luogo di quello,
pari ad € 7,25, corrisposto in passato;

2. la seconda censura addebita alla sentenza gravata
la violazione, sotto altro profilo, della l.r.
Sicilia n. 23/2002 nonché l’errata interpretazione del d.lgs. n. 468/1997, perché la Corte territoriale
non ha colto la differenza tra le diverse fattispecie disciplinate dall’art. 8 del richiamato decreto
legislativo ed inoltre ha riportato principi di diritto non pertinenti, in
quanto affermati dal giudice di legittimità in relazione a fattispecie non
sovrapponibili a quella oggetto di causa;

2.1. i ricorrenti sostengono che l’importo
integrativo svolge, limitatamente alle ore di surplus, una funzione perequativa
rispetto al trattamento retributivo spettante al personale dipendente del
soggetto utilizzatore e, pertanto, non può essere inferiore alla retribuzione
oraria riconosciuta ai dipendenti assegnati ad analoghe mansioni, i quali
ricevono l’indennità di ateneo e la tredicesima mensilità che, seppure
corrisposte annualmente, restano pur sempre mensili, perché maturano prò rata
in ragione dei mesi lavorati;

3. il terzo motivo denuncia «violazione e falsa
applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo per la
controversia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.,
per avere la sentenza ritenuto che la disciplina regionale abbia innovato circa
l’individuazione del dividendo retributivo e che il riferimento alla
retribuzione mensile, contenuto nella predetta legge
regionale n. 23/2002, non includesse i ratei mensili di tredicesima
mensilità e di indennità di ateneo;

3.1. I ricorrenti premettono che l’Università non ha
mai specificamente contestato i conteggi dai quali emerge che, contrariamente a
quanto sostenuto dall’amministrazione, in precedenza erano stati inclusi nella
base di calcolo i due emolumenti in contestazione, in relazione ai quali
ribadiscono che gli stessi non possono essere esclusi solo valorizzando il
richiamo contenuto nella legge regionale alla retribuzione mensile, trattandosi
di voci retributive che maturano mese per mese;

4. I motivi, da trattare unitariamente in ragione
della loro connessione logica e giuridica, sono infondati;

4.1. questa Corte da tempo ha affermato che
l’occupazione temporanea in lavori socialmente utili non integra un rapporto di
lavoro subordinato in quanto, ai sensi del d.lgs. n. 468/1997, art. 8,
l’utilizzazione avviene nell’ambito di un rapporto speciale, che ha matrice
assistenziale e coinvolge più soggetti, ossia il lavoratore, l’amministrazione
pubblica beneficiaria della prestazione e l’ente previdenziale erogatore
dell’assegno (Cass. S.U. n. 3/2007; Cass.
2887/2008; Cass. n. 2605/2013; Cass. n.
6180/2016);

4.2. se ne è tratta la conseguenza che anche
l’importo integrativo corrisposto dall’utilizzatore, nei casi in cui l’impegno
ecceda l’orario settimanale previsto dal d.lgs. n.
468/1997, non ha carattere retributivo, con la conseguenza che del suo
ammontare, fissato dal legislatore e sottratto alla determinazione ad opera
delle parti del rapporto (Cass. n. 6670/2012),
non si può tenere conto ai fini del riconoscimento di emolumenti tipici della
prestazione subordinata quali sono la tredicesima mensilità, l’indennità di
ferie non godute, il trattamento di fine rapporto (Cass.
n. 14334/2010);

5. i richiamati principi, seppure affermati in controversie
non sovrapponibili a quella oggetto di causa, orientano anche nella soluzione
della questione che il Collegio è chiamato a decidere e portano innanzitutto a
disattendere la tesi, sostenuta nel ricorso, secondo cui la legislazione
regionale che viene in rilievo dovrebbe essere interpretata in modo da
realizzare la piena equiparazione al personale dipendente dell’Università, che
mensilmente matura una quota dell’importo annuo dell’indennità di ateneo e
della tredicesima mensilità;

4.4. in realtà la diversità di trattamento, non
irragionevole, trova la sua giustificazione nelle caratteristiche peculiari del
lavoro socialmente utile sicché l’esegesi delle disposizioni dettate per
disciplinare il rapporto speciale non può essere influenzata da principi che
presuppongono l’instaurazione del rapporto di impiego con il soggetto
utilizzatore;

5. ciò premesso occorre evidenziare che la Regione
Sicilia, con l’art. 1, comma 1,
della L.R. n. 3/1998, come modificato dall’art. 9 della L.R. n. 4/1999, si
era limitata a richiamare la legislazione statale dettata in tema di lavori
socialmente utili, ivi compreso l’art.
8 del d.lgs. n. 468/1997 nella parte in cui prevede che «nel caso di
impegno per un orario superiore, entro il limite del normale orario
contrattuale, ai lavoratori compete un importo integrativo corrispondente alla
retribuzione oraria relativa al livello retributivo iniziale, calcolato
detraendo le ritenute previdenziali ed assistenziali previste per i dipendenti
che svolgono attività analoghe presso il soggetto utilizzatore»;

5.1. successivamente il legislatore regionale,
nell’innovare il quadro normativo preesistente, ha fissato un complesso
meccanismo di calcolo dell’importo integrativo prevedendo che la tariffa oraria
dovesse essere calcolata «detraendo dalla retribuzione iniziale mensile
prevista per i dipendenti che svolgono attività analoghe presso il soggetto
utilizzatore le ritenute previdenziali ed assistenziali, nonché l’ammontare
dell’assegno per le attività socialmente utili (ASU), e dividendo l’importo
risultante per il numero di ore eccedenti le 20 ore settimanali (ore ASU)
ottenute dalla differenza tra l’orario convenzionale e mensile del dipendente
ed il monte ore medio mensile di utilizzazione in attività socialmente utili
(ASU), pari a 86 ore»;

5.2. la Corte Costituzionale, sul presupposto che il
legislatore regionale avesse in tal modo dettato un criterio di calcolo
comportante un maggiore esborso per gli enti utilizzatori, ne ha dichiarato
l’illegittimità solo limitatamente all’efficacia retroattiva, per violazione
dell’art. 81 Cost., e su questa pronuncia i
ricorrenti fanno leva per sostenere che l’applicazione del diverso criterio non
poteva risolversi in danno per gli LSU utilizzati dall’Università di Catania la
quale, in precedenza, aveva incluso nella base di calcolo gli emolumenti qui in
discussione;

6. anche detto argomento non è condivisibile perché
l’interpretazione della legge, sia essa statale o regionale, deve essere
condotta nel rispetto dei canoni ermeneutici fissati dall’art. 12 delle preleggi e, pertanto, il ricorso al
criterio sussidiario della mens legis non è consentito nei casi in cui la
portata precettiva possa essere desunta dal tenore letterale, chiaro ed
univoco, della disposizione, né, tantomeno, è permesso all’interprete di
pervenire ad un risultato finale che, facendo leva sulla ratio dell’intervento
normativo e sulle finalità perseguite dal legislatore storico, sia divergente
dal testo della norma oggetto di interpretazione;

6.1. l’art.
44 della L.R. Sicilia è chiaro nell’assumere a base di calcolo dell’assegno
integrativo la «retribuzione iniziale mensile», ossia la retribuzione base del
livello di inquadramento del dipendente comparabile (in questi termini, in
relazione alla legislazione nazionale ed al comparto degli enti locali, Cass. n. 5896/2020) e, pertanto, il riferimento
congiunto alla mensilità ed all’importo “iniziale” porta ad escludere
che si possa tener conto di emolumenti che vengono corrisposti annualmente, sia
pure in proporzione ai mesi lavorati;

6.2. né può assumere alcun rilievo la circolare n. 312 del 13 maggio 1998 con la quale
la Regione aveva indicato ai soggetti utilizzatori il percorso da seguire ai
fini della quantificazione della retribuzione oraria, percorso che partiva
dalla retribuzione annuale, per giungere poi, attraverso l’applicazione in
successione dei relativi divisori, alla quantificazione di quella mensile ed
infine del trattamento orario;

6.3. è noto che la prassi amministrativa, di cui
sono espressione le circolari, le risoluzioni o i singoli provvedimenti della
Pubblica Amministrazione, non costituisce una fonte di diritti e di obblighi e
non pone alcun vincolo quanto all’interpretazione delle disposizioni di legge,
potendo solo contribuire, come elemento fattuale concorrente con i dati
linguistici del testo, ad orientarne l’esegesi nei limiti consentiti dal
dettato normativo (cfr. fra le tante Cass. n. 23960/2015; Cass. n. 1018/2006);

6.4. nel caso di specie, pertanto, la circolare non
può spiegare alcuna incidenza, sia perché la stessa si riferisce al testo della
L.R. Sicilia n. 3/1998 e non tiene conto dell’art. 44 della L.R. Sicilia n.
23/2002, sia in quanto il criterio adottato, che valorizza, appunto, la
retribuzione annuale e tutti gli emolumenti che concorrono a formarla, non può
trovare spazio alcuno a fronte dell’espresso riferimento contenuto nell’ultimo
intervento normativo alla sola «retribuzione iniziale mensile»;

6.5. tanto basta per escludere che, ai fini della
soluzione della questione qui controversa, possa assumere rilievo la circolare
citata, sicché non è necessario interrogarsi sulla compatibilità dell’interpretazione
all’epoca adottata con il dettato dell’art. 8 del d.lgs. n. 468/1997,
richiamato dalla legislazione regionale, che valorizzava, invece, la sola
«retribuzione oraria relativa al livello retributivo iniziale», come
quantificata dalla contrattazione collettiva di comparto;

7. in via conclusiva il ricorso deve essere
rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo;

8. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla legge n.
228/2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass.
S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste per
il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 200,00 per
esborsi ed € 8.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese
generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrennti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 maggio 2021, n. 11768
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