Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 maggio 2021, n. 12932

Licenziamento, Dirigenti, Assoggettamento dell’indennità
sostitutiva del preavviso alla contribuzione previdenziale

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n.
1282 del 2017, ha riformato la decisione di primo grado e rigettato le domande
di accertamento negativo proposte, con separati ricorsi poi riuniti, da Banca
M.P.S. s.p.a. per sentire dichiarare non dovuti contributi e somme aggiuntive,
per oltre 6.000.000 di euro, pretesi dall’INPS sull’indennità di mancato
preavviso alla quale oltre novanta dirigenti avevano rinunciato all’esito della
transazione, raggiunta con la società, con la quale avevano concordato, ed
accettato, la cessazione dal servizio in epoca successiva, in periodo compreso
fra il 2012 e il 2013.

2. Per la Corte territoriale i rapporti di lavoro
dei quali si controverteva erano stati risolti con il licenziamento dei
dirigenti, con effetto dal ricevimento della lettera di recesso, e con
comunicazione del diritto all’indennità di mancato preavviso per cui, per avere
il licenziamento già prodotto l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro,
l’indennità di mancato preavviso, espressamente riconosciuta dalla società
nell’intimare il licenziamento, costituiva elemento retributivo già entrato a
far parte del patrimonio dei dipendenti, e come tale soggetto ad obbligazione
contributiva.

3. La Corte fiorentina dava atto che la scrittura
privata, sottoscritta, da ciascun dirigente licenziato, qualche settimana dopo
l’intimazione del licenziamento, e con la quale veniva pattuita la risoluzione
consensuale del rapporto di lavoro da epoca successiva – di alcune settimane –
rispetto alla firma della scrittura medesima, prevedeva l’erogazione di una
somma, a titolo di incentivo all’esodo, con esplicita rinuncia, da parte del
lavoratore, ad ogni ulteriore pretesa, compresi il preavviso o l’indennità
sostitutiva del preavviso, e conteneva, altresì, un’implicita rinuncia ad
impugnare il licenziamento, a fronte del pagamento del consistente incentivo
all’esodo, senza, tuttavia, alcuna menzione di un’eventuale revoca del
licenziamento.

4. Quanto alla domanda subordinata svolta dalla
Banca, volta a sottrarre, dagli importi pretesi dall’INPS, la contribuzione già
versata tra la data deiroriginario licenziamento e la successiva e definitiva
cessazione dei rapporti di lavoro, la Corte territoriale riteneva il periodo
lavorato dai dirigenti soggetto alla normale contribuzione mentre la pretesa
contributiva dell’INPS concerneva l’intera indennità di mancato preavviso alla
quale i lavoratori avevano rinunciato, in via transattiva.

5. Avverso tale sentenza ricorre Banca M.P.S.
s.p.a., con ricorso affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con
memoria, cui resiste l’NPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I.
s.p.a., con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

6. Con il primo motivo si censura la sentenza, in
relazione all’interpretazione della transazione intervenuta tra le parti, per
violazione del principio di autonomia negoziale (art.
1322 cod.civ.), dei canoni di interpretazione dei contratti (artt.1362, 1363, 1366), e la conseguente falsa applicazione degli artt. 2115, terzo comma, cod.civ., 12 legge n.153 del 1969, 1 d.l. n.338 del 1989, conv.
in legge n.389 del 1989.

7. Con il secondo motivo, rinnovando la censura
delle disposizioni richiamate nel mezzo che precede e dei canoni interpretativi
dei contratti, si deduce violazione dell’art. 18, decimo comma, legge
n.300 del 1970 e si censura la sentenza per non avere ritenuto enucleabile
dalla transazione la revoca del precedente licenziamento per giustificato
motivo oggettivo.

8. Con il terzo motivo si deduce, ancora, la
violazione delle già richiamate diposizioni, in relazione alla domanda
subordinata incentrata sulla pretesa decurtazione, dall’obbligazione
contributiva, di quanto versato, a titolo di contributi, in riferimento
all’attività lavorativa prestata dai dirigenti nel periodo seguito alla revoca
del licenziamento, con la ripresa del servizio e fino alla definitiva
cessazione.

9. Le argomentazioni esposte dalla società, a
sostegno dei primi due motivi, possono così sintetizzarsi: – la Corte di merito
ha ritenuto del tutto ininfluente il titolo in forza del quale sono cessati i
rapporti di lavoro, da cui discenderebbe l’imposizione dell’obbligo
contributivo sull’indennità di preavviso mai corrisposta ai lavoratori; – la
correlazione dell’obbligo contributivo, al dovuto e non al riscosso, e
l’autonomia dell’obbligazione previdenziale nulla avrebbero a che fare con la
fattispecie, in cui le parti avrebbero dato attuazione alle intese, di cui alla
scrittura privata, rispristinando il rapporto di lavoro e sostituendo il
licenziamento con una risoluzione consensuale, previa revoca del primo; – non è
predicabile una presunta irretrattabilità della scelta di licenziare e
l’inopponibilità all’INPS delle scelte successive, in riferimento al titolo di
scioglimento del vincolo contrattuale; – è stata preclusa la valutazione delle
intese fra le parti come frutto di una più complessa regolamentazione a
carattere novativo; – la revoca del licenziamento, per fatti concludenti,
emergeva dal ripristino del rapporto di lavoro a tutti gli effetti e dalla
conseguente scelta delle parti di procedere alla risoluzione consensuale; – il
riferimento allo schema del nuovo istituto, introdotto dal novellato art. 18, comma 10, dello Statuto,
si limita a precisare che la revoca produce il solo effetto del diritto alla
retribuzione medio tempore maturata senza che possano trovare applicazione i
nuovi regimi sanzionatori; – in definitiva, la mancata corresponsione
dell’indennità sostitutiva del preavviso non deriva affatto da un atto di
rinuncia a tale diritto ma da una diversa scelta delle parti, vale a dire dalla
volontà di modificare il titolo della risoluzione del rapporto di lavoro.

10. I motivi, esaminati congiuntamente per la loro
logica connessione, sono da rigettare.

11. Questa Corte ha già ribadito, in più occasioni,
che l’estraneità della transazione, intervenuta tra datore di lavoro e
lavoratore, al rapporto contributivo discende dal principio per cui alla base
del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione,
dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo, e non quella di
fatto corrisposta, in quanto l’espressione usata dalla legge n. 153 del 1969, art. 12,
per indicare la retribuzione imponibile («tutto ciò che il lavoratore riceve
dal datore di lavoro») va intesa nel senso di tutto ciò che ha diritto di
ricevere, ove si consideri che il rapporto assicurativo e l’obbligazione
contributiva ad esso connesso sorgono con l’instaurarsi del rapporto di lavoro,
ma sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l’obbligazione
contributiva del datore di lavoro verso l’istituto previdenziale sussiste
indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi, nei confronti del
prestatore d’opera, siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il
lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti (cfr., da ultimo, alla cui
condivisa motivazione si rinvia, Cass. n. 15411 del
2020, ed ivi ulteriori e numerosi precedenti).

12. Dal complesso dei richiamati principi discende
che le somme pagate a titolo di transazione dipendono da questo contratto e non
dal (diverso) contratto di lavoro, posto che la funzione del contratto di transazione,
ai sensi dell’art. 1965 cod.civ, è, in ogni
caso, di precludere alle parti stipulanti l’accertamento giudiziale del
rapporto o delle sue regole, cosicché la sua esecuzione non è esecuzione delle
obbligazioni derivanti dal rapporto oggetto della controversia (v., in tal
senso, Cass. n. 17495 del 2009 e Cass. n.15411 del 2020 cit.).

13. Inoltre, il decreto legislativo 2 settembre
1997, n. 314, all’art. 6 (Determinazione del reddito da lavoro dipendente
ai fini contributivi), nel novellare l’art 12 della legge n. 153 del
1969, prevede, al punto 4, l’esclusione dalla base imponibile di numerosi
emolumenti, tra i quali, ad esempio, oltre alle somme corrisposte in occasione
della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei
lavoratori, le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto,
quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, i proventi e
le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento
danni, i proventi derivanti da polizze assicurative, i compensi erogati per conto
di terzi non aventi attinenza con la prestazione lavorativa, le erogazioni
previste dai contratti collettivi aziendali, ovvero di secondo livello, i
contributi e le somme a carico del datore di lavoro, versate o accantonate,
sotto qualsiasi forma, a finanziamento delle forme pensionistiche
complementari.

14. Tanto premesso, nella vicenda all’esame non
viene in rilievo la rafforzata necessità (argomentata da Cass. n.27933 del 2017) di dover provare e
distinguere, nel novero delle pattuizioni di un accordo transattivo, le poste
di sicura natura retributiva, e di collegamento intrinseco al sottostante
rapporto di lavoro, per l’assoggettamento ad imposizione contributiva, sibbene
si tratta di verificare la natura, recte, la causa dell’indennità sostitutiva
del preavviso riconosciuta, dalla società, con l’intimazione del licenziamento.

15. Vale premettere che, come chiarito da tempo (per
tutte, si rinvia a Cass. n. 6607 del 2004), sul
fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva, che ha natura di obbligazione
pubblica nascente ex lege, non può incidere in alcun modo la volontà negoziale,
che regoli in maniera diversa l’obbligazione retributiva, ovvero risolva con un
contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di
lavoro, precludendo alle parti il relativo accertamento giudiziale.

16. L’espressione di una diversa volontà, tra datore
di lavoro e lavoratore, non può esplicare neanche effetti riflessi (effetti che
si possono avere solo per i rapporti non autonomi) sulla posizione dell’Inps,
che fa valere in giudizio il credito contributivo derivante dalla legge e non
dalla transazione.

17. Costituisce ulteriore principio acquisito della
giurisprudenza di questa Corte che l’avvenuto pagamento dell’indennità
sostitutiva del preavviso, successivamente alla cessazione del rapporto,
costituisca circostanza irrilevante e che la relativa contribuzione debba
concorrere a formare la base imponibile e pensionabile (cfr. Cass. nn. 13959 del 2009, 12095 del 2013).

18. Ebbene, l’assoggettamento dell’indennità
sostitutiva del preavviso alla contribuzione previdenziale consegue alla natura
retributiva dell’indennità (v., fra le altre, Cass. nn. 5974 del 1984, 13395
del 1999, 9895 del 2016).

19. E’ nel momento stesso in cui il licenziamento
acquista efficacia che sorge il diritto del lavoratore all’indennità
sostitutiva del preavviso e la conseguente obbligazione contributiva su tale
indennità: se poi, successivamente, il lavoratore licenziato rinunci al diritto
all’indennità, tale rinuncia non potrà avere alcun effetto sull’obbligazione
pubblicistica, preesistente alla rinuncia e ad essa indifferente perché il
negozio abdicativo proviene da soggetto (il lavoratore) diverso dal titolare
(INPS) (v., fra le altre, Cass. n. 17670 del 2007).

20. Con l’intimazione del licenziamento, l’indennità
sostitutiva del preavviso rientra nel novero di «tutto ciò che ha diritto di
ricevere» il lavoratore e viene attratta, per il suo intrinseco valore
retributivo, nel rapporto assicurativo, autonomo e distinto, completamente
insensibile, per quanto detto, all’effettiva erogazione e, dunque,
all’argomento difensivo dell’essere o meno entrata nel patrimonio del
lavoratore,

21. Del resto, tale costruzione, oltre ad essere
coerente con la natura pubblicistica dell’obbligazione contributiva, trova
ulteriore conferma nel riconoscimento, del quale si è dato atto nei paragrafi
che precedono, della ricomprensione della contribuzione corrispondente
all’indennità sostitutiva del preavviso nella base imponibile agli effetti del
trattamento pensionistico del lavoratore.

22. L’ultimo motivo è inammissibile giacché si
risolve nel devolvere alla Corte, nonostante la diversa intestazione del motivo,
censura, per contraddittorietà della motivazione, non più spendibile dopo la
novella dell’art. 360, n.5 del codice di rito.

23. In conclusione, la sentenza impugnata, che si è
adeguata agli esposti principi, è immune da censure.

24. Segue coerente la condanna alle spese, liquidate
come in dispositivo.

25. Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater,
d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a
carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 30.000,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15
per cento Ai sensi dell’art.13,co.1-quater,
d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a
carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.

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