Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 maggio 2021, n. 14400

Rapporto di lavoro, Personale ATA, Riconoscimento
dell’anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di provenienza,
Disparità di trattamento con i lavoratori già in servizio presso il cessionario

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Bologna, giudice del rinvio
a seguito della sentenza di questa Corte n. 17088/2012, ha riformato la
sentenza n. 137/2005 con la quale il Tribunale di Treviso aveva accolto il
ricorso proposto da M.A., G.L., E.P. e L.T., appartenenti al personale
amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola (ATA), ed aveva dichiarato
il diritto degli stessi ex art.
8, comma 2, della legge n. 124/1999 al riconoscimento a fini giuridici ed
economici dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di
provenienza, condannando, di conseguenza, il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca al pagamento delle differenze retributive con decorrenza
dal gennaio 2000;

2. la Corte territoriale, riassunti i fatti di
causa, ha premesso che la sentenza rescindente, con la quale era stata cassata
la sentenza n. 610/2007 della Corte d’Appello di Venezia che aveva rigettato le
domande, aveva demandato al giudice del rinvio di accertare se al momento del
passaggio dall’ente locale allo Stato si fosse verificata una riduzione
sostanziale del trattamento retributivo ed aveva precisato che il confronto
doveva essere globale, cioè non limitato ad uno specifico istituto, e che non
potevano assumere rilievo eventuali disparità di trattamento con i lavoratori
già in servizio presso il cessionario;

3. la Corte bolognese ha evidenziato che, sulla base
del principio di diritto enunciato dalla pronuncia rescindente, l’anzianità di
servizio assumeva rilievo nei soli limiti del maturato economico in relazione
al divieto di reformatio in peius e, pertanto, gli originari ricorrenti non
potevano fare valere la lesione delle cosiddette chances di progressione di
carriera ed i riflessi sul trattamento di fine rapporto, trattandosi di
questione estranea al patrimonio giuridico del prestatore al momento del
trasferimento;

4. il giudice del rinvio ha rilevato che nel ricorso
in riassunzione non erano contenute specifiche allegazioni attinenti ad un
eventuale peggioramento sostanziale sicché, in assenza di indicazioni in ordine
all’ammontare della retribuzione percepita prima e dopo il trasferimento, era
preclusa ogni indagine in merito ad un eventuale deteriore trattamento verificatosi
nonostante l’assegno perequativo ad personam, pacificamente corrisposto
dall’amministrazione;

5. ha ritenuto, pertanto, inammissibile la richiesta
di consulenza tecnica d’ufficio in ragione del suo carattere esplorativo;

6. per la cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di due motivi, ai quali
non hanno opposto difese il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca, l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, l’Ufficio Scolastico
Provinciale di Treviso e gli Istituti Scolastici, rimasti tutti intimati.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano
«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.; omessa valutazione dei
documenti n. 3, 4, 5 e 6 del fascicolo di primo grado allegati al ricorso in
riassunzione; omessa valutazione dei conteggi eseguiti dall’amministrazione
statale prodotti nel doc. 3; omessa valutazione delle buste paga dei lavoratori
prodotti quali doc. 5 e 6; violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. ex art.
360 n. 3 c.p.c.» e sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
Corte territoriale, nei fascicoli di parte, depositati unitamente al ricorso in
riassunzione, erano contenuti documenti e conteggi dai quali si poteva evincere
il peggioramento retributivo subito, con la conseguenza che ben poteva la Corte
d’appello disporre la richiesta consulenza tecnica d’ufficio;

2. la seconda censura denuncia la «violazione e
falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360
n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 383 c.p.c.,
all’art. 2909 c.c. e all’art. 324 c.p.c. nonché alla direttiva europea 77/187/CE, alla legge 428/90 e all’art.
2112 c.c.»;

2.1. i ricorrenti sostengono, in sintesi, che
l’anzianità di servizio maturata presso l’ente locale doveva essere
riconosciuta integralmente, con i conseguenti riflessi sia sulla progressione
retributiva sia sulla posizione previdenziale e sul trattamento di fine
rapporto;

3. il primo motivo è inammissibile innanzitutto
perché svolge considerazioni prive della necessaria specifica attinenza al
decisum della sentenza gravata;

3.1. nello storico di lite si è precisato che la
Corte territoriale, per respingere l’originaria domanda formulata dagli attuali
ricorrenti, ha valorizzato il contenuto del ricorso in riassunzione, precisando
che lo stesso mancava delle «allegazioni» necessarie per evidenziare un
peggioramento retributivo, non avendo la parte ricorrente dedotto quale fosse
l’ammontare complessivo della retribuzione percepita prima e dopo il
trasferimento;

3.2. il giudice d’appello, quindi, ha ritenuto non
assolto l’onere di allegazione dei fatti posti a fondamento della pretesa,
onere che precede logicamente quello della prova dei fatti stessi, perché il
fatto, prima ancora che provato, deve essere dedotto dalla parte che lo allega
e la deduzione deve essere contenuta nell’atto processuale con il quale la
domanda è proposta;

3.3. il motivo di ricorso, tutto incentrato sul
contenuto della produzione documentale e sull’omessa valutazione dei documenti
e dei conteggi depositati con l’atto di riassunzione, non coglie l’effettiva
ratio decidendi della pronuncia, sicché lo stesso risulta privo dei caratteri
di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata;

3.5. è consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte l’orientamento secondo cui nel giudizio di cassazione, a critica
vincolata, è necessario che il ricorrente, individuato esattamente il capo
oggetto di impugnazione, illustri in modo intelligibile ed esauriente le
ragioni per le quali quel capo è affetto dal vizio denunciato;

3.6. se ne è tratta la conseguenza che la
proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza
impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 n.4 cod. proc. civ., e determina
l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio
(cfr. fra le tante Cass. n. 20910/2017, Cass. n.
17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007);

4. alle considerazioni sopra esposte, già
assorbenti, si deve aggiungere che il motivo, sotto l’apparente deduzione del
vizio di violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.,
sollecita questa Corte ad esprimere un giudizio riservato al giudice del
merito;

4.1. va ricordato, infatti, che in sede di
legittimità una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. non può essere formulata per lamentare un’erronea valutazione
del materiale istruttorio, perché la violazione della norma processuale può
essere ravvisata solo qualora il ricorrente alleghi che siano state poste a
base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio
al di fuori dei limiti legali, o che il giudice abbia disatteso delle prove
legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza
apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr.
fra le più recenti Cass. n. 1229/2019, Cass. n. 23940/2017, Cass. n.
27000/2016);

5. parimenti inammissibile è il secondo motivo, cori
il quale si insiste nel sostenere che l’anzianità maturata presso il cedente
doveva essere integralmente riconosciuta «poiché in difetto si arrecherebbe un
danno sostanziale costituito dal minore reddito percepibile» e si assume,
altresì, che occorreva tener conto dei successivi sviluppi del rapporto e
dell’incidenza sul T.F.R.;

5.1. occorre premettere che, in caso di ricorso
proposto avverso la sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione
la portata del decisum della pronuncia rescindente, la Corte di cassazione, nel
verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da
essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla
questione decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte
(Cass. n. 3955/2018);

5.2. nel caso di specie questa Corte, con la
sentenza n. 17088/2012, richiamata la pronuncia resa dalla Corte di Giustizia nella causa C – 108/10,
Scattolon, ha evidenziato che la direttiva 77/187
ha il solo scopo di evitare che il lavoratore, per effetto del trasferimento,
possa essere collocato in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui
godeva in precedenza e, pertanto, ha chiesto al giudice del merito di
«verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale
all’atto del trasferimento» sulla base dei criteri fissati al punto 11 della
pronuncia, ove si precisa che il confronto deve essere globale, riferito al
momento del passaggio, e che non rilevano eventuali disparità di trattamento
con i dipendenti già in servizio presso il cessionario;

5.3. la sentenza rescindente, da un lato, ha con
chiarezza individuato il momento temporale della comparazione, dall’altro non
ha affatto affermato che, in caso di violazione del divieto di reformatio in
peius, doveva essere accolta nella sua interezza la domanda originariamente
formulata, con il riconoscimento integrale, ai fini della ricostruzione della
carriera, dell’anzianità di servizio;

5.4. a norma dell’art.
384, primo comma, cod. proc. civ., l’enunciazione del principio di diritto
vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente
preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o
di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di
eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni
Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del
principio affermato dal giudice di legittimità ( cfr. fra le tante Cass. n.
11290/1999; Cass. n. 16518/2004; Cass. n. 23169/2006; Cass. n. 17353/2010;
Cass. n. 1995/2015);

5.5. dall’irretrattabilità del principio di diritto
discende che la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso
la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla
regula iuris in precedenza enunciata, perché l’efficacia vincolante, che si
estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto
di giudicato implicito interno ( Cass. n. 17353/2010 e Cass. n. 20981/2015), viene meno solo qualora la
norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, sia
stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta
inapplicabile per effetto di ius superveniens (cfr. fra le tante Cass. n.
20128/2013; Cass. n. 13873/2012; Cass. n. 17442/2006);

5.6. tali ultime condizioni non ricorrono nel caso
di specie, perché il quadro normativo è rimasto immutato rispetto a quello
apprezzato dalla sentenza rescindente, che ha con chiarezza indicato i limiti
del giudizio di rinvio, non violati dalla Corte territoriale che, dopo avere
esattamente individuato i termini dell’accertamento alla stessa richiesto, ha
ritenuto che l’accertamento fosse precluso dalla mancanza di idonee
allegazioni;

6. non occorre provvedere sulle spese del giudizio
di legittimità perché il Ministero e gli Uffici Scolastici non hanno svolto in
questa sede attività difensive, rimanendo intimati;

7. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n.
228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U.
n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla
legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del
2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a
norma dell’art. 13, comma
1-bis, se dovuto.

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