Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 maggio 2021, n. 14814

lmpugnativa di licenziamento, Attività di pubblico servizio
di trasporto, Recesso per la maturazione dei requisiti pensionistici da parte
del lavoratore, Facoltà al personale viaggiante addetto ai pubblici servizi di
trasporto di accedere alla pensione anticipata di vecchiaia, Lavoratori
addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, Conducenti di
veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, che abbiano svolto detta
attività per il periodo minimo, Presenza di una volontà espressa del
lavoratore medesimo volta a non accedere al pensionamento anticipato ed a
permanere in servizio

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del
26 febbraio 2019, in riforma della pronuncia di primo grado, nell’ambito di un
procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha
accolto l’impugnativa di licenziamento promossa da S.C. nei confronti di C.L.P.
Sviluppo Industriale Spa, società esercente attività di pubblico servizio di
trasporto che aveva intimato il recesso a decorrere dal 10 marzo 2017 per la
maturazione dei requisiti pensionistici da parte del lavoratore, addetto alla
conduzione di autobus.

2. La Corte – in estrema sintesi – ha ritenuto che
il combinato, disposto dell’art. 1
del d. Igs. n. 67 del 2011 e dell’art. 3, co. 1, lett. b) del d Igs.
n. 414 del 1996 “attribuisca la facoltà al personale viaggiante
addetto ai pubblici servizi di trasporto di accedere alla pensione anticipata
di vecchiaia, ma solo su domanda del lavoratore stesso”, sicché, in
mancanza di una tale domanda, la società non poteva recedere dal rapporto di lavoro
al compimento dell’età per pensione anticipata di vecchiaia, nella specie pari
a 61 anni e 7 mesi, con conseguente operatività dell’art. 18 I. n. 300 del 1970.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso la soccombente, con unico articolato motivo, cui ha resistito il
lavoratore con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo si denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 3, co.
1, lett. b), d. Igs. n. 414 del 1996, nonché del d. Igs. n. 67 del 2011 lamentando che la Corte
territoriale avrebbe errato a ritenere che l’accesso alla pensione anticipata
di vecchiaia, prevista dalla prima disposizione per la, categoria del
“personale viaggiante” iscritto al soppresso Fondo degli
autoferrotranviari, possa avvenire solo a domanda del lavoratore, come previsto
dal secondo decreto legislativo.

Si sostiene che, a partire dal 1° gennaio 2014, per
,detto personale viaggiante addetto ai pubblici servizi di trasporto, per il
quale vige la disciplina di settore interamente riconducibile al d. Igs. n. 414 del 1996, l’accesso alla pensione
di vecchiaia è condizionato al solo possesso del requisito anagrafico, ridotto
di 5 anni rispetto a quello ratione temporis richiesto per il restante
personale iscritto all’A.G.O., con la conseguenza che il raggiungimento di
detto requisito farebbe sorgere il diritto alla pensione di vecchiaia con
attrazione dei rapporto di lavoro nell’area di libera recedibilità.

Si eccepisce che il d.
Igs. n. 67 del 2011 disciplina il diverso beneficio previsto per la
categoria dei lavoratori addetti ai lavori usuranti ‘”di accesso alla,
pensione ‘anticipata’ – già pensione di anzianità – condizionato espressamente
alla sussistenza dei requisito contributivo di almeno 35 anni alla domanda del
lavoratore”.

2. Il motivo di ricorso non può trovare
accoglimento.

2.1. Posto che il licenziamento è stato intimato per
il ‘raggiungimento dei requisiti pensionistici da parte del lavoratore
ultrasessantenne, la fattispecie è innanzitutto regolata dall’art. 4, co. 2, I. n. 108 del 1990,
tuttora vigente nella sua formulazione originaria, secondo cui: “Le
disposizioni di cui all’articolo
18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente legge,
e dell’articolo 2 non si
applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso
dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione
del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge 22
dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le
disposizioni dell’articolo 3
della presente legge e dell’articolo
9 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

2.2. Secondo una costante giurisprudenza di questa
Corte, pur in mancanza dell’esplicito riferimento alla pensione di vecchiaia,
contenuto invece nel precedente art.
11 della I. n. 604 del 1966, argomenti testuali e sistematici inducono a
ritenere che nessun mutamento ha subito, il Principio per cui è soltanto la
maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia che incide sul regime del
rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro il recesso ad nutum (v. Cass. n. 6537 del 2014; Cass. n. 13181 del 2018; Cass. n. 432 del 2019; Cass. n. 18662 del 2020). In particolare, dal
punto di vista sistematico, è stato rilevato che “soltanto il diritto alla
pensione di vecchiaia si consegue automaticamente al verificarsi dell’evento
protetto, cosicché la pensione decorre (eccettuati i casi di esercizio
dell’opzione ai sensi delle disposizioni sopra considerate) dal primo giorno
del mese successivo a quello nel quale l’assicurato ha compiuto l’età
pensionabile, ovvero, nel caso in cui a tale data non risultino soddisfatti i
requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, dal primo giorno del mese
successivo a quello in cui i  requisiti
suddetti vengono raggiunti salva una diversa decorrenza richiesta espressamente
dall’interessato (L. 23 aprile
1981, n. 155, art. 6). Il diritto alla pensione di anzianità, invece, si
consegue con il necessario concorso della volontà dell’interessato, per cui non
si può dubitare che la domanda di pensione assurga ad elemento costitutivo
della fattispecie attributiva del diritto. Ne discende che, mancando la
domanda, non può dirsi in senso tecnico che sussistano i requisiti per il
pensionamento” (cfr. Cass. n. 3907 del 1999; Cass.n. 7853 del 2002; Cass. n. 3237 del 2003).

E’ stato pure precisato che l’esclusione della
tutela limitativa dei licenziamenti non è suscettibile di applicazione in via
analogica ai titolari di pensioni che, per diversità dei relativi presupposti
(durata del rapporto assicurativo, versamenti di un minimo di contributi,
raggiungimento di un limite di età) non possono ritenersi equivalenti a quella
di vecchiaia (cfr. Cass. n. 11104 del 1997; conf. Cass.
n. 6537 del 2014).

2.3. Occorre dunque verificare se, nel caso
all’attenzione del Collegio, il lavoratore ultrasessantenne licenziato fosse in
possesso, al momento, del recesso datoriale, dei requisiti per il conseguimento
della pensione di vecchiaia e se la volontà espressa dal lavoratore medesimo di
non accedere al pensionamento anticipato ma, piuttosto, di permanere in
servizio precludesse comunque il suo licenziamento. A tal fine è opportuna una
ricognizione della disciplina di settore rilevante nella specie.

2.4. Non è in contestazione che il lavoratore
licenziato, conducente di autobus, fosse dipendente di un’azienda addetta ai
pubblici servizi di trasporto, pér il quale operava il regime previdenziale
speciale introdotto dal d. Igs.29 giugno 1996, n.
414.

Con tale decreto, a decorrere dal 1 gennaio 1996, è
stato soppresso il Fondo, per la previdenza del personale addetto ai servizi
pubblici di trasporto” (art.
1, co. 1, d. Igs. n. 414/96) e da tale data i lavoratori sono iscritti
all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e, i
superstiti dei lavoratori, dipendenti (art. 1, co. 2, d. Igs. n. 414/96).

Secondo l’art. 3 del d. Igs. n. 414 del 1996,
nella sua originaria formulazione, per i soggetti di cui all’art. 1, comma 2, “è
prevista la possibilità di liquidare i seguenti trattamenti pensionistici: a)
pensione di vecchiaia, di invalidità e ai superstiti secondo la normativa
vigente nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti; b) per il solo personale
viaggiante, pensione di vecchiaia ai sensi dell’articolo 5, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 503; c) pensione di invalidità specifica
ai sensi degli articoli 12, primo comma, lettera a), e 13, primo comma, lettere
a) e b), della legge 28 luglio 1961, n. 830; d) pensione di anzianità”.
Successivamente, con il D.P.R. 28 ottobre 2013, n.
157 – recante il “Regolamento di armonizzazione dei requisiti di
accesso al sistema pensionistico di categorie di personale iscritto presso
l’INPS, l’ex ENPALS e l’ex INPDAP” – all’art.
13, co. 1, lettera b), del d. Igs. n. 414 del 1996, le parole: “ai
sensi dell’articolo 5, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503” -che, giova rammentarlo,
stabiliva l’età per il pensionamento di vecchiaia- sono state sostituite dalle seguenti:
“al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni
rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale
obbligatorio”.

Infatti, nel frattempo era intervenuto il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.
214, di cui il Regolamento citato è attuazione, che all’art. 24 contiene una serie di
disposizioni che riformano profondamente i trattamenti pensionistici.

Secondo il comma 18 dell’art. 24: “Allo scopo di
assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al
pensionamento anche ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche per
cui siano previsti, alla data di entrata in vigore del presente decreto,
requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria
[…] con regolamento da emanare entro il 31 ottobre 2012, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988, n. 400 e successive modificazioni, su proposta del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia
e delle finanze, sono adottate le relative misure di armonizzazione dei
requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive
peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi
ordinamenti”. In virtù, di tale disposizione è stato appunto adottato il
Regolamento contenuto nel D.P.R. n. 157 del 2013,
il quale consente di erogare al personale viaggiante dipendente delle aziende
di trasporto pubblico una pensione di vecchiaia “al raggiungimento del
requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo
in vigore nel regime generale obbligatorio”.

E’ noto che il d.l. n.
201 del 2011 (c.d. “Decreto Monti”), a partire dal 1° gennaio
2012, ha sostituito le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di
anzianità, con le seguenti prestazioni: a) la “pensione di
vecchiaia”; b) la “pensione anticipata” (art. 24, co. 3). La pensione di
vecchiaia è conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti anagrafici
ridefiniti dal comma 6 dell’art.
24 e contributivi minimi di cui al comma 7 dello stesso articolo (20 anni),
fatto salvò quanto stabilito dai commi 14, 15 bis e 18. La pensione anticipata
è conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di anzianità contributiva
stabiliti dal comma 1, per età, anagrafiche inferiori a quelle previste dal
comma 6 ovvero sulla i base dei requisiti di cui al comma 11, fatto salvo
quanto stabilito ai commi 14, 15-gis, 17e 18, sempre dell’art. 24 d.l. n. 201/2011.

2.5. Dalla combinazione di tali norme deriva che il
lavoratore in controversia al momento del licenziamento, era in possesso del
requisito anagrafico (del pari non è contestata l’anzianità contributiva
minima) per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata prevista
per il personale viaggiante, al raggiungimento di un’età ridotta di cinque anni
rispetto a quella tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio e,
quindi, all’epoca pari a 61 anni e 7 mesi, in quanto nel biennio 2016 – 2018 il
requisito anagrafico generale di accesso alla pensione di vecchiaia era pari a 66
anni e 7 mesi.

2.6. Secondo la Corte di Appello, per consentire
l’applicabilità dei recesso ad nutum dell’azienda, era altresì necessaria la
domanda dell’interessato in particolare la Corte si riferisce a quella prevista
dall’art. 1 del d. I,gs. n. 67 del
2011, che legge in integrazione con la disciplina stabilita dal d. Igs. n. 414 del 1996.

In realtà il d. Igs. 21
aprile 2011, n. 67 – recante norme sull’Accesso anticipato al pensionamento
per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma
dell’articolo 1 della legge 4
novembre 2010, n. 183″ all’art.
1, co. 1, rubricato “Lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente,
faticose e pesanti”, stabilisce che “In deroga a quanto previsto all’articolo 1 della legge 23 agosto 2004,
n. 243, come modificato dall’articolo
1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247, possono esercitare, a domanda, il
diritto per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato, fermi restando
il requisito di anzianità contributiva non inferiore a trentacinque anni e il
regime di decorrenza del pensionamento vigente al momento della maturazione dei
requisiti agevolati” talune tipologie di lavoratori dipendenti, tra i
quali: […] “d) conducenti di veicoli, di capienza complessiva non
inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto Collettivo”.
La disciplina prevede anche che il “diritto al trattamento pensionistico
anticipato” è esercitabile qualora i lavoratori appartenenti alle
tipologie indicate. abbiano svolto l’e attività lavorative secondo le modalità
ivi previste per un periodo di tempo minimo specificato nel comma 2 dell’art. 1 del d. lgs. n. 67 del 2011.

Si tratta dunque di una normativa che ha un oggetto
e dei destinatari che sono propri rispetto a quelli previsti dal d. Igs. n. 414 del 1996, disciplina che non si
integra con essa. Innanzitutto il d. Igs. n. 67
del 2011 è stato adottato per i “lavoratori addetti a lavorazioni
particolarmente faticose e pesanti” e non riguarda specificamente il
personale addetto ai pubblici servizi di trasporto e neanche tutto il personale
viaggiante, ma esclusivamente i “conducenti di veicoli, di capienza
complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto
collettivo” e sempre che abbiano svolto detta attività per il periodo
minimo specificato nel comma 2 dell’art. 1 di detto decreto.
Inoltre, il d.Igs. n.67 del 2011 non ha ad
oggetto la pensione di vecchiaia di cui al d. Igs.
n. 414 del 1996, bensì un “trattamento pensionistico anticipato”
che richiede un “requisito di anzianità contributiva non inferiore a 35
anni” (ben diverso dai 20 anni previsti per la pensione di vecchiaia) ed i
“requisiti agevolati” stabiliti, a decorrere dal 1 gennaio 2012,
dalla Tabella B di cui all’allegato
1 della I. n. 247 del 2007 che prevede, in generale, per i lavoratori
dipendenti pubblici e privati una combinazione di età anagrafica e anzianità
contributiva ai fini dell’accesso alla pensione anticipata (che è ben diverso
dal requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia anticipata del
personale viaggiante dalla lett. b), 3, co. 1, d. Igs. n. 414 del 1996).

Significativamente, a conferma dell’eterogeneità
delle due discipline, vale rilevare che il d. Igs.
n. 67 del 2011 è stato modificato proprio dall’art. 24 del successivo
“Decreto Monti”, il cui comma 17 recita: “Ai fini del
riconoscimento della pensione anticipata, ferma restando la possibilità di
conseguire la stessa ai sensi del commi 10 e 11 del presente articolo, per gli
addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell’articolo 1 della legge 4 novembre
2010, n. 183,  all’articolo 1 del decreto legislativo 21
aprile 2011 n. 67, sono apportate le seguenti modificazioni: […]”;
ed il comma 3 del   medesimo articolo, in
riferimento alla “pensione anticipata” legata all’anzianità
contributiva, i lascia salvo proprio il regime speciale stabilito dal comma 17
per gli addetti a lavorazioni faticose e pesanti. Il che conferma che il
pensionamento anticipato per costoro previsto a domanda non riguarda la
pensione di vecchiaia anticipata, disciplinata dalla lettera b) dell’art. 3, co. 1, d. Igs. n. 414 del
1996, come modificato dal D.P.R. N. 157 del
2013, quest’ultimo adottato in attuazione del comma 18 dell’art. 24 del d.l n. 201 del 2011,
conv. in I. n. 214 del 2011.

2.7. Tuttavia in causa è pacifico che il lavoratore
non avesse inoltrata, alcuna richiesta di pensionamento di vecchiaia anticipata
ma, al contrario, sin dall’atta introduttivo del giudizio – come riportato alla
pag. 1 della sentenza impugnata – è stato dedotto che aveva esplicitamente
“manifestato all’azienda la volontà di restare in servizio sino all’età
massima prevista dal regime generale obbligatorio”.

La Corte territoriale ha espressamente preso
posizione sul punto affermando come la “possibilità (di optare per la
prosecuzione del rapporto di lavoro, oltre l’età pensionabile) sia tuttora
riconosciuta anche agli iscritti al soppresso fondo di previdenza del personale
addetto al trasporto pubblico transitati nell’assicurazione generale
obbligatoria e, nel caso di specie, il reclamante ha manifestata la sua volontà
di trattenersi in servizio fino al raggiungimento dell’età massima per la
pensione di vecchiaia prevista dal regime generale obbligatorio”. Tanto è
accaduto in coerenza con la facoltà, che deve essere riconosciuta anche al
personale viaggiante in possesso del requisito anagrafico per l’erogabilità,
della pensione di vecchiaia anticipata di cui al d.
Igs. n. 414 del 1996, di esercitare l’opzione per la prosecuzione del
rapporto di lavoro ai sensi dell’art.
6 del d.I. n. 791 del 1981, conv., con modif., dalla I. n. 54 del 1982, avendo cosi il transito
nell’area della libera recedibilità ed anche al fine di incrementare
l’anzianità contributiva per coloro che, come nella controversia che ci occupa,
possono conseguire la pensione di vecchiaia prima del 65° anno di età, infatti
l’art. 6 richiamato è stato
ritenuto applicabile anche agli autoferrotranvieri da Corte cost. n. 226 del 1990, proprio per evitare
disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri lavoratori dipendenti. E
questa Corte ha già avuto modo di affermare come non sarebbe ragionevole che il
lavoratore, per il solo fatto di trovarsi nelle situazione di poter richiedere
l’attribuzione di un pensionamento anticipato, si trovi a perdere la stabilità
del posto di lavoro al compimento del sessantesimo anno di età e possa, quindi,
essere privato della facoltà di continuare a lavorare per raggiungere
l’anzianità contributiva massima utile o per incrementarla ulteriormente, come
invece consentito a colui che ha lavorato per un tempi:, minore (cfr. Cass. n
3907 del 1999).

2.8. Tale ricostruzione non confliggeva con la
sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 17589
del 2015. La pronuncia si è occupata dell’interpretazione del comma 4 dell’art. 24 del d. I. n. 201 del 2011
più volte citato, secondo cui: “Per i lavoratori e le lavoratrici la cui
pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria e delle
forme esclusive e sostitutive della mede sima, nonché della gestione separata
di cui all’articolo 2, comma 26,
della legge 8 agosto 1995, n. 335, la pensione di vecchiaia si può
conseguire all’età in cui operano i requisiti i minimi previsti dai successivi
commi. Il proseguimento dell’attività Iavorativa è incentivato, fermi restando
i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare dei
coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, fatti
salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti dall’articolo 12 del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive
modificazioni e integrazioni. Nei confronti dei lavoratori dipendenti,
l’efficacia delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio
1970, n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del
predetto limite massimo di flessibilità”.

Le Sezioni Unite hanno in primo luogo ritenuto che,
con il richiamo ai “limiti ordinamentali”, il legislatore ha inteso
precisare che la “incentivazione” al prolungamento del rapporto di
lavoro non deve collidere coni le disposizioni che, sul piano legislativo
regolano gli specifici comparti (individuati sulla base della disciplina del
rapporto tanto sul piano della regolazione sostanziale che di quella
previdenziale) di appartenenza del lavoratore e che potrebbero essere ostativi
al nuovo regime previsto dalla disposizione in esame, Inoltre ,-secondo la
pronunciata disposizione, nel prevedere che “il proseguimento
dell’attività lavorativa è incentivato … dall’operare dei coefficienti di
trasformazione, calcolati fino all’età di settantanni …”, prevede solo
la possibilità che, grazie all’operare di detti coefficienti, si creino le
condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del
rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa  di settore.

Sarebbe questo il senso della locuzione “è
incentivato dall’operare, dei coefficienti di trasformazione …”, la
quale presuppone che non solo si siano create dette più favorevoli condizioni
previdenziali, ma anche che, grazie all’incentivo in questione, le parti consensualmente
stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca
valutazione di interessi. Quindi la norma prefigura la formulazione di
condizioni previdenziali che costituiscano incentivo alla prosecuzione del
rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta
anni. In tal senso – continua la S.C. 
depone anche la formulazione dell’ultimo periodo dell’art. 24, c. 4, da interpretarsi
nel senso che esso, contente l’estensione della tutela dell’art. 18 solo nel caso che le
parti abbiano consensualmente ritenuto di procrastinare la durata del rapporto,
in presenza delle condizioni di adeguamento pensionistico fissate dallo stesso
comma 4.

I due sistemi, quindi, non sono tra loro
incompatibili: il primo, sempre nei residui casi in cui sia applicabile,
costituisce esercizio di una facoltà del lavoratore, indipendente dalla volontà
del datore di lavoro (per le conseguenze del rifiuto del datore a proseguire il
rapporto v. per tutte Cass. n. 11668 del 2008),
al fine di incrementare l’anzianità contributiva fino a quella massima e,
comunque, fino al 65° anno di età; il secondo riguarda invece l’incentivo alla
prosecuzione dell’attività lavorativa sino a 70 anni, operando i coefficienti
di trasformazione, e postula il consenso del datore di lavoro.

3. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 384,
co. 1, c.p.c., viene enunciato il seguente principio di diritto:

“Nelle aziende addette ai pubblici servizi di
trasporto, per le quali opera il regime previdenziale speciale introdotto dal d. Igs. 29 giugno 1996, n. 414, un addetto al
personale viaggiante ultrasessantenne in possesso del requisito anagrafico per
il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata, previsto al
raggiungimento di un’età ridotta di 5 anni rispetto a quella tempo per tempo in
vigore nel regime generale obbligatorio, non può essere licenziato ai sensi
dell’art. 4, co. 2, I. n. 108 del
1990 in presenza di una volontà espressa del lavoratore medesimo volta a
non accedere al pensionamento anticipato ed a permanere in servizio.”

Le spese sono regolate secondo il regime della
soccombenza, liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori
dichiaratisi antistatari. Occorre altresì dare atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove
dovuto, per il ricorso (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.250,00, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge, con attribuzione ai procuratori antistatari.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, da atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 maggio 2021, n. 14814
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