Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2021, n. 15118

Licenziamento, Riduzione dei costi, Diminuzione del valore
della produzione, Illegittima omissione della procedura di cui all’art. 24, co. 1 quinquies, L. n.
2231991

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato il 4.1.16, L.B. esponeva di
essere stata assunta da S.C.I. s.r.l. (poi s.p.a. ed infine, a seguito di
incorporazione, S.M. s.p.a.) il 24.3.09 come Responsabile della gestione
commerciale delle commesse relative alla B.U.F. e di essere stata licenziata in
tronco il 13.5.15 per pretese ragioni oggettive consistenti nella necessità di
ridurre i costi fissi e nella contrazione del valore della Produzione.

Deduceva la ricorrente che il Gruppo SMS, di cui
faceva parte anche S.C.I., negli anni dal 2008 al 2014 aveva consolidato la sua
posizione di mercato, nonostante la difficile congiuntura economica; che ciò
valeva anche per la società sua datrice di lavoro, in quanto la diminuzione del
valore della produzione era dipesa in modo significativo dall’onere di un
accordo transattivo stipulato a seguito della richiesta risarcitoria di un
cliente; che nel corso del 2014 S.C.I. aveva assunto 21 nuovi dipendenti, di
cui un dirigente; che pertanto le condizioni economiche della società non
rendevano affatto necessaria la soppressione del suo posto di lavoro, avvenuta
solo per una scelta di mera opportunità d’impresa; e che inoltre ella aveva
prestato la sua opera anche a favore di altre società del gruppo, nell’ambito
del quale avrebbe quindi potuto essere utilmente reimpiegata.

Deduceva ancora la sig.ra B. che subito dopo il suo
licenziamento S.C.I. aveva attivato, per gli stessi motivi, numerose procedure
di licenziamento ex art. 7
della legge 60466; che nell’arco di 120 giorni le lettere di licenziamento
o di convocazione avanti alla D.T.L. (ex art. 7 cit.) erano state in
tutto nove; e che quindi la società avrebbe dovuto attivare una procedura di
licenziamento collettivo.

Si costituiva in giudizio S.M. s.p.a. replicando che
la sig.ra B. era stata licenziata con preavviso, sostituito dalla
corrispondente indennità; che nei mesi precedenti non vi erano stati altri
licenziamenti, mentre in epoca successiva il sig.B. era stato licenziato per
motivi disciplinari, il sig. S. si era dimesso e alcuni lavoratori (S., S., G.,
R., B., T. e Z.) avevano risolto consensualmente il loro rapporto di lavoro;
che le mansioni già svolte dalla B. erano state attribuite all’Amministratore
Delegato di S.C. (S.) ed al suo gruppo di lavoro, e in parte ai servizi
amministrativi della S.M.; che il licenziamento della B. era pienamente
giustificato da motivi oggettivi, visto il continuo e significativo calo del
valore della produzione dal 2013 al 2015; che non vi erano stati comunque
cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni.

Con sentenza 7.11.16 il Tribunale di Udine
respingeva tutte le domande proposte dalla ricorrente.

Contro questa decisione – limitatamente alla parte
in cui ritenne corretta la mancata attivazione della procedura di licenziamento
collettivo – ha proposto appello la B.; resistente la S.G. s.p.a.

Con sentenza depositata T8.6.18, la Corte d’appello
di Trieste, qualificato il licenziamento della B. come licenziamento collettivo
ed accertata di conseguenza l’illegittima omissione da parte della società
datrice di lavoro della procedura di cui all’art. 24, co. 1 quinquies L. n.
22391, condannava la S.G. s.p.a. a pagare alla lavoratrice un’indennità
pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, quantificata in
complessivi Euro 150.080,76 lordi, con la rivalutazione monetaria secondo gli
indici Istat e gli interessi di legge sul capitale rivalutato di anno in anno
dal 14.3.15 al saldo; condannava inoltre la S.G. a rifondere all’appellante le
spese del doppio grado, quantificate in €. 5.200,00 per il primo ed in
complessivi € 8.000 per il secondo.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
la società, affidato a due motivi, cui resiste la B. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la S.G. denuncia la
violazione eo falsa applicazione dell’art. 24 L. n.22391 con
riferimento all’erroneo calcolo dell’arco di 120 giorni entro il quale
sarebbero avvenuti non già dei licenziamenti ma solo delle dichiarazioni
dell’intenzione di licenziare ex art.
7 L. n. 60466.

2. Con il secondo motivo denuncia ancora la
violazione dell’art. 24 L. n.
22391 sotto il profilo dell’erronea equiparazione dell’intenzione di
recedere ex art. 7 cit. ad
un vero e proprio licenziamento.

I motivi, che possono essere congiuntamene
esaminati, sono fondati. Deve infatti osservarsi che l’espressione ‘intenda
licenziare’ di cui all’art. 24
L. n. 22391 è una chiara manifestazione della volontà di recesso, pur
necessariamente ancorata al fatto che i licenziamenti non possono essere
intimati se non successivamente all’iter procedimentale di legge, mentre cosa
ben diversa è l’espressione ‘deve dichiarare l’intenzione di procedere al
licenziamento per motivo oggettivo’ ai sensi del novellato art. 7 L. n. 60466, che è
invece imposta al fine dì intraprendere la nuova procedura di compensazione (o
conciliazione) dinanzi alla DTL, e non può quindi ritenersi di persé un
licenziamento. Deve poi osservarsi che alla luce di una corretta
interpretazione dell’articolo
1, paragrafo 1, primo comma, lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio
del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di
«licenziamento» il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente ed a
svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi
essenziali del contratto dì lavoro per ragioni non inerenti alla persona del
lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche
su richiesta del lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in
causa C-422/14, p.ti da 50 a 54); una tale
interpretazione, conforme alla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia,
comporta il superamento della precedente in merito all’art. 24 L. n. 223/1991, anche alla luce del d.lgs. n. 151/97 di attuazione alla Direttiva
comunitaria 26 giugno 1992, n. 56, nel senso che nel numero minimo di cinque
licenziamenti, ivi considerato come sufficiente ad integrare l’ipotesi del
licenziamento collettivo, non possono includersi altre differenti ipotesi
risolutone del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all’iniziativa del
datore di lavoro (Cass. n. 1540120, Cass. n.
13347).

3. Il ricorso deve essere pertanto accolto, la
sentenza impugnata cassata con rinvio ad altro giudice, in dispositivo
indicato, per l’ulteriore esame della controversia, oltre che per la
regolazione delle spese di lite.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte d’appello di Venezia.

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