Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2021, n. 15119

Licenziamento collettivo, Indicazione completa dell’elenco
(nominativo) dei lavoratori, Oggettive esigenze aziendali, Onere probatorio

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 13 aprile 2017 il Tribunale di
Catania confermava l’ordinanza, emessa all’esito della fase sommaria, di
rigetto della impugnativa, da parte di E.M.S., del licenziamento intimatogli
dalla B. s.p.a. con lettera del 15.7.2013, nell’ambito di procedura di licenziamento
collettivo.

Secondo il primo giudice: a) la comunicazione di
avvio della procedura di mobilità, ex art. 4, co. 2, della L. n. 22391,
effettuata dalla società il 21.2.13, indicava chiaramente le ragioni
dell’esubero di personale, le unità da sopprimere (distinte in relazione alle
aree territoriali della società) ed i relativi profili professionali; b)
parimenti anche la comunicazione finale, ex art. 4, co. 9, stessa legge, del
19.7.13 indicava l’elenco dei lavoratori con mansioni di informatore
scientifico del farmaco (ISF) licenziati, coi rispettivi dati, nonché i criteri
di scelta e le relative modalità di applicazione, ivi essendo stato chiarito
che, all’interno di ciascuna area geografica di appartenenza (individuata
“in applicazione del criterio delle esigenze tecnico –
organizzative”) erano stati applicati i criteri dei carichi di famiglia
(500 punti per ciascuno) e della anzianità aziendale (10 punti per mese) ; a
detta comunicazione era stata poi allegata una “graduatoria di area”,
che riportava, per ciascuna delle aree territoriali aziendali, l’indicazione
dei punteggi attribuiti ai lavoratori comparati (distinti per anzianità e
carichi di famiglia), sebbene i relativi nominativi risultassero “oscurati”;
d’altra parte le contestazioni dell’opponente sull’omessa esplicitazione, nella
comunicazione de qua, dei nominativi dei lavoratori comparati, erano da
ritenere tardive, e dunque inammissibili, siccome formulate per la prima volta
in sede di opposizione, ex art. 1
co. 52, L.n. 9212; né, peraltro, il ricorrente aveva documentato alcuna
richiesta di esibizione dei documenti afferenti ai punteggi attribuiti ai
lavoratori non licenziati, o mosso alcuna specifica contestazione agli stessi;
c) in ordine alla censura afferente all’ambito di individuazione del personale
da licenziare (la comparazione essendo stata effettuata per singole aree
geografiche, anziché su scala nazionale), il giudice di prime cure rilevava
che, per come chiarito nella comunicazione di avvio della procedura, la rete
degli Informatori scientifici risultava interamente coinvolta nella procedura
di mobilità, laddove l’area territoriale di appartenenza era solo un criterio
utilizzato per la fase applicativa dei piani di esubero, ovvero come mero
perimetro entro il quale far operare i criteri dell’anzianità e dei carichi di
famiglia; ne conseguiva che non vi era stata limitazione di scelta dei
dipendenti da licenziare solo per alcune aree geografiche, posto che tutte le
aree erano state ridotte mediamente del 50%; d) in ogni caso era decisivo
rilevare che, dal documento prodotto dalla società già in fase sommaria
(contenente la graduatoria nazionale dei lavoratori coinvolti nella procedura
di licenziamento, con specifica indicazione in relazione a ciascun lavoratore,
dei punteggi attribuiti), emergeva che il ricorrente rivestiva la posizione 66
su 87 ISF in esubero, pertanto, anche nell’ipotesi di classifica nazionale, lo
stesso sarebbe stato comunque licenziato, onde doveva ritenersi il suo difetto
di interesse ad agire; d’altra parte, anche le contestazioni effettuate, da
parte del ricorrente, in sede di opposizione, in merito all’efficacia
probatoria di detta “griglia nazionale”, erano pure tardive ed
inammissibili, posto che, a fronte della produzione di tale documento, nessuna
specifica censura questi aveva sollevato.

Reclamava la suddetta pronunzia il lavoratore, cui
resisteva la società. Con sentenza depositata il 2.11.18, la Corte d’appello di
Catania, in riforma della pronuncia impugnata, annullava il licenziamento
impugnato e condannava la società a reintegrare il S. nel posto di lavoro ed al
pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata a dieci mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre a rivalutazione ed interessi,
nonché al versamento dei contributi maturati nello stesso periodo ed al
pagamento delle spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
la società B., affidato a cinque motivi, cui resiste il S. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la società ricorrente
denuncia la violazione eo falsa applicazione dell’art. 1, co.51, L. n. 9212 per
avere l’impugnata sentenza ritenuto ammissibile l’introduzione solo in fase di
opposizione

di una nuova doglianza e cioè il preteso vizio della
comunicazione finale ex art. 4,
co.9 L. n. 22391.

Il motivo è infondato in quanto nel rito cd.
Fornero, il giudizio di primo grado è unico a struttura bifasica, con una prima
fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al
lavoratore, ed una seconda fase, a cognizione piena, che della precedente
costituisce una prosecuzione, sicché non costituisce domanda nuova,
inammissibile per mutamento della “causa petendi”, la deduzione di
ulteriori motivi di invalidità del recesso ove fondata sui medesimi fatti
costitutivi (cfr. da ultimo Cass. n. 954819; cfr. altresì Cass. ord. n. 1497620).

2. Con secondo motivo la società denuncia la
violazione dell’art. 4, comma
9, legge n. 22391, per avere l’impugnata sentenza erroneamente ritenuto
lesiva degli obblighi informativi la comunicazione finale che, nelle allegate
graduatorie (di area), non indicava i nominativi dei dipendenti comparati.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha infatti correttamente
considerato che l’art. 4, co.
9, della L. n. 223/1991 impone che la comunicazione ivi prevista, in quanto
finalizzata a consentire ai lavoratori, ai sindacati e agli organi
amministrativi interessati di controllare la correttezza della comparazione,
contenga, oltre che l’elenco del lavoratori licenziati, “l’indicazione
puntuale delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di
scelta” e, quindi, l’indicazione completa dell’elenco (nominativo) dei lavoratori
e dei punteggi a ciascuno di essi attribuito, cfr. Cass.n. 2580719, secondo
cui in tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto
dall’art. 4, comma 9, della I.
n. 223 del 1991, come modificato dalla I. n.
92 del 2012, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del
lavoro ed alle organizzazioni sindacali, ha carattere cogente e perentorio e la
sua violazione determina l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla
circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti
gli elementi che la comunicazione deve comunque avere (così da esprimere
l’assetto definitivo sull’elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità
di applicazione dei criteri di scelta, Cass. ord.
n. 2303418), atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire
alle oo.ss. (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo
tempestivo sulla correttezza procedimentale dell’operazione posta in essere dal
datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non
comprimere lo “spatium deliberando riservato al lavoratore per
l’impugnazione del recesso nel termine di decadenza; cfr. sul punto altresì: Cass. n. 2573716.

3. Con terzo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 5 L. n. 223/91 per avere
l’impugnata sentenza ritenuto che nella scelta dei lavoratori da licenziare (su
tutto il territorio nazionale), la comparazione per aree geografiche, (anziché
a livello nazionale) non trovava riscontro nella previsione legale; che le
‘ragioni’ esplicitate dalla società nella lettera di licenziamento a
giustificazione della comparazione per aree geografiche non erano idonee a
escludere la necessità dell’applicazione in ambito nazionale dei criteri di
scelta; la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 9, della L. n.
223/91 per avere l’impugnata sentenza ritenuto che la società avrebbe
dovuto esplicitare le ‘ragioni’ a giustificazione della comparazione per aree
geografiche nella comunicazione finale.

Il motivo è infondato.

Ed invero la prima parte dell’art. 5 cit., dispone che la
“l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in
relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso
aziendale”, ciò in forza dell’esigenza di ampliare al massimo l’area in
cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di
discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si
può incorrere quanto più si restringe l’ambito della selezione; la platea dei
lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere può essere dunque
limitata solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al
progetto di ristrutturazione aziendale (nella specie poco coerente con la
riduzione ad ambiti territoriali), ed è onere del datore provare il fatto che
determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze (cfr. Cass. n. 99919,
Cass. n. 84745), onere che nella specie, secondo l’accertamento della Corte
di merito, non era avvenuta.

4. Con il quarto motivo la società denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 100,
115, 116 e 437 c.p.c. per avere l’impugnata sentenza negato
valore probatorio ai documento prodotto dalla B. (ovvero la graduatoria
nazionale dei lavoratori licenziati) come successivamente integrato dai
documenti, prodotti nel giudizio di opposizione, e conseguentemente escluso il
difetto di interesse all’impugnativa del licenziamento; violazione e falsa
applicazione dell’art. 4, co.
9, della legge n. 223/91 per aver l’impugnata sentenza ritenuto che la
graduatoria nazionale ed i relativi risultati avrebbero dovuto essere
rappresentati nell’ambito della comunicazione finale.

Il motivo è in larga parte inammissibile e per il
resto infondato. Inammissibile in quanto la società non chiarisce il contenuto
dei documenti di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, essendo il
dedotto deposito degli stessi idoneo ad escludere una pronuncia di
improcedibilità (Cass. SU 2011 n. 227262011), ma non di inammissibilità della
questione. In ogni caso è infondata la censura alla tesi della Corte siciliana
secondo cui la dedotta graduatoria nazionale doveva essere contenuta nella
comunicazione finale di cui al comma
9 dell’art. 4, e non già successivamente ai licenziamenti, ciò precisamente
disponendo la norma citata.

5. Col quinto motivo denuncia (ex art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c.) la nullità della
sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art.
112 c.p.c., o, alternativamente, violazione e/o falsa applicazione dell’art.18, co. 4, dello Statuto dei
lavoratori.

Lamenta che la Corte di merito aveva completamente
omesso di pronunciarsi sull’eccezione di aliunde perceptum eo percipiendum che
la società B. va comunque sollevato anche nel giudizio del reclamo.

Il motivo è infondato. Ed infatti al fine che qui
rileva non è sufficiente per l’azienda invocare la detraibilità dell’aliunde
perceptum, ma occorre fornire chiare indicazioni e circostanze di fatto, anche
all’eventuale fine di sollecitare l’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi,
che non possono avere ad oggetto richieste meramente esplorative, quali la
richiesta di esibizione ‘della dichiarazione dei redditi e delle buste paga o
delle fatture o della documentazione contabile del ricorrente da cui risulti
l’ammontare del reddito da lavoro autonomo o dipendente percepito per il
periodo successivo al licenziamento’; ovvero la richiesta di informazioni, ex art. 213 c.p.c., ‘all’ufficio imposte dirette,
alla Direzione Territoriale del Lavoro e all’INPS e ad ogni altra Pubblica
Amministrazione, informazioni relative all’attività svolta ed ai redditi percepiti
dal ricorrente a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro’.

Il motivo è infondato in quanto, essendo onere del
datore di lavoro provare, anche avvalendosi di prove presuntive, l’aliunde
perceptum (cfr. da ultimo Cass. ord. n. 1636 del 24.01.2020; Cass. 12.5.15 n. 9616) il medesimo deve
allegare,allo scopo, circostanze di fatto specifiche e fornire indicazioni
puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con
finalità meramente esplorative (Cass. n. 249917).

6. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate
come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore del S.,
dichiaratosi anticipante.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
€.200,00 per esborsi, €.5.250,00 per compensi professionali, oltre spese
generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore
dell’avv. P.B.. Ai sensi dell’art.
13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 1152, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2021, n. 15119
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