Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 giugno 2021, n. 15238

Rapporto di lavoro, Decesso del lavoratore, Violazione di
molteplici misure antiinfortunistiche, Risarcimento del danno morale da
perdita di relazione parentale

Fatti di causa

1. C. R. e P. R., premesso che il genitore B. R.,
operaio alle dipendenze di I. s.r.I., subappaltatrice di T. soc. coop. a r.I.,
nell’esecuzione dei lavori commessi a quest’ultima dalla Provincia Autonoma di
Trento,  era deceduto in conseguenza
della caduta da una scala di circa 3 metri mentre controllava il getto di
cemento all’interno di una colonna in costruzione, dedotta la violazione di
molteplici misure antiinfortunistiche, hanno convenuto in giudizio la Provincia
Autonoma di Trento, T. soc.coop. a r.l. e I. s.r.l. chiedendo il risarcimento
del danno morale da perdita di relazione parentale e del danno successorio da
perdita della vita del loro congiunto, oltre rivalutazione monetaria ed
interessi legali.

Parte attrice ha fondato la responsabilità delle
società edili presenti in cantiere, appaltatrice e subappaltatrice, sul
disposto degli artt. 2055, 2049, 2050 e 2087 cod. civ.; quella dell’ente territoriale,
sull’art. 28 Cost., sull’art. 2049 cod. civ. e sulle disposizioni del d. Igs n. 494/1996, per avere il responsabile dei
lavori, ingegnere G., dipendente della Provincia Autonoma di Trento, omesso di
vigilare sulle opere oggetto di appalto; ciò sia nella fase di progettazione,
con particolare riguardo alle scelte tecniche adottate, sia nella fase
dell’esecuzione, con particolare riguardo alla organizzazione delle operazioni
di cantiere.

2. Il giudice di primo grado ha dichiarato che
l’infortunio si era verificato per responsabilità attribuibile per il 60% a
B.R. e per il 40% a T. s.r.l. e condannato quest’ultima al pagamento in favore
degli attori della somma di € 40.000,00 ciascuno, oltre accessori, respingendo
ogni ulteriore domanda; in particolare, ha respinto la domanda nei confronti
della Provincia Autonoma di Trento e dichiarato inammissibili le domande
proposte contro I. s.r.l. e quelle contro le persone fisiche di I. C. e D. C.
nonché contro ATI, condannando Assicurazioni Generali s.p.a., chiamata in causa
a titolo di manleva da T. soc. coop. a r.I., a rimborsare quest’ultima di
quanto obbligata a versare agli attori, al netto della franchigia contrattuale.

3. La Corte di appello di Brescia, in parziale
riforma della sentenza di primo grado nel resto confermata, ha dichiarato che
l’infortunio in oggetto si era verificato per responsabilità attribuibile nella
misura del 60% a T. soc. coop a r.l. e per il 40% a B. R. ed ha condannato la
società a pagare in favore dei di lui figli, C. R. e P. R., la somma di €
147.365,4 ciascuno, oltre interessi legali; ha condannato Assicurazioni
Generali s.p.a. a tenere indenne T. soc. coop a r.l. di quanto questa era
tenuta a versare a titolo di risarcimento del danno e di rifusione delle spese
legali, detratta la franchigia.

3.1. Per quel che ancora rileva, la Corte di merito,
pacifico che il R. fosse un caposquadra alle dipendenze di I. s.r.I.,
subappaltatrice di T. s.c. a r.l. e che operasse in cantiere secondo le
direttive impartite dall’ing. C., direttore tecnico di quest’ultima società, ha
osservato che dagli atti del procedimento penale originato dall’infortunio a
carico di I. C. quale legale rappresentante di T. s.c. a r.I., di A. C. quale
legale rappresentante di I. e di D.C. quale direttore tecnico di cantiere, per
il delitto di omicidio colposo e violazione delle misure antiinfortunistiche,
definito con pena patteggiata, emergeva che il giorno precedente all’incidente
due funzionari della Provincia di Trento, l’ing. G. e l’assistente G., recatisi
sul cantiere, alla presenza del C. e del caposquadra R., verificavano che era
rimasto disatteso il divieto impartito il giorno precedente di accedere
all’area transennata perché pericolosa (area ove il giorno dopo sarebbe caduto
il R.), con sospensione dei lavori fino a che non fossero state messe in
sicurezza le passerelle non protette; il mancato rispetto del divieto aveva
costituito una grave violazione da parte dell’infortunato, caposquadra ed
operaio esperto, al quale andava ascritta una responsabilità pari al 40% nella
produzione dell’accaduto; la maggiore responsabilità, pari al 60%, era
configurabile nei confronti dell’ing. C. e quindi di T. s.r.l. per la condotta
omissiva del proprio dipendente, dal momento che la violazione del divieto di
accedere nell’area pericolosa non poteva avvenire per la semplice iniziativa
del R. e che il getto di calcestruzzo, nel corso del  quale era avvenuto l’incidente, comportava
un’attività ben più complessa di quella che si sarebbe svolta nell’arco
temporale di una distrazione del direttore tecnico, come sostenuto; non poteva
essere invocata una responsabilità per cose in custodia essendo i fatti
accaduti più per l’azione dell’operaio che per le cose in custodia, non dotate
di un dinamismo proprio né di una potenzialità lesiva in sé considerata; era da
escludere la responsabilità della Provincia Autonoma di Trento essendo stata
raggiunta la prova che la stessa aveva esercitato la sorveglianza dovuta quale
committente delle opere a nulla rilevando che la stessa non avesse nominato un
responsabile della sicurezza poiché sarebbe bastato, per evitare l’incidente,
l’osservanza delle direttive impartite dall’ing. G. sussisteva la
responsabilità solidale di T. coop s.r.l. e di I. s.r.I., società entrambe
compresenti in cantiere e quindi con obbligo di sorveglianza di tutti i
lavoratori; la posizione di Assicurazioni Generali s.p.a. non mutava in
relazione all’accertata responsabilità solidale di I. s.p.a, in quanto . tenuta
ai sensi dell’art. 2 delle condizioni generali del contratto di assicurazione.

3.2. In ordine alla quantificazione del danno, la
Corte di merito ha fatto riferimento alle media prevista dalle tabelle milanesi
in vigore nell’anno 2012 ed essendosi gli attori surrogati a T. s.r.l. nei
confronti di Assicurazioni Generali s.p.a. invocando l’obbligo di manleva,
osservato che gli stessi avevano diritto di ricevere l’intera somma per come
liquidata dalla Corte, detratta la franchigia, e non anche quanto liquidato
dall’INAIL a titolo di rendita che spetta ai congiunti quali eredi del de
cuius; ha escluso i presupposti per la liquidazione, iure hereditatis, del
danno tanatologico; ciò sul rilievo che a tal fine era necessario che la morte
del congiunto fosse sopravvenuta dopo un periodo di tempo apprezzabile
dall’infortunio e non immediatamente, come nel caso di specie.

4. Per la cassazione della decisione hanno proposto
ricorso C. R. e P. R. sulla base di undici motivi; la Provincia Autonoma di
Trento ha depositato controricorso nonché ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ. documentazione relativa
alla notificazione della sentenza di appello; Generali Italia s.p.a. ha
resistito con controricorso; gli intimati Fallimento Soc. consortile a r.l. T.,
già in liquidazione, I. C., D. C., A.T.I. s.p.a. -Pannelli Impianti Ecologici,
non hanno svolto attività difensiva.

5. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi
dell’art. 378 cod. proc. civ. nonché
documentazione relativa all’ammissibilità del ricorso per cassazione.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod.
proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ. per non avere la sentenza impugnata pronunziato sulla domanda, pur
espressamente svolta in appello dai danneggiati (e comunque rilevabile d’ufficio,
trattandosi di verificare l’esistenza di una causa di nullità del contratto di
subappalto, versato in giudizio, dal quale sorgevano precisi doveri
protezionistici a carico dei soggetti stipulanti), in ordine alla
qualificazione del rapporto di fatto tra la I. s.r.I., la società T. e
l’operaio R., rapporto che assume riconducibile ad un’ipotesi di
intermediazione vietata ai sensi dell’art. 1, legge n. 1369/1960,
con applicabilità della presunzione di cui all’ultimo comma dell’articolo
citato; tale questione era stata dedotta con il secondo motivo dell’appello
degli originari ricorrenti, motivo che la sentenza impugnata aveva affermato
essere parzialmente fondato. Secondo parte ricorrente, nel caso dovesse
ritenersi il rigetto implicito di tale motivo, allora la sentenza di appello
sarebbe viziata da carenza di motivazione non risultando percepibili le ragioni
alla base della statuizione di rigetto della censura.

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., mancata
applicazione degli artt. 1,
commi 3 e 5, legge n. 1369/1960 e dell’art.
1421 cod. civ., per non avere la sentenza di appello dichiarato, di
ufficio, la nullità del contratto di lavoro subordinato intercorso tra il
lavoratore deceduto e la subappaltatrice I.; tanto alla luce dell’appendice

contrattuale al contratto tra la subappaltante T. e
I. con la quale la prima si era assunta l’obbligo di mettere a disposizione
della seconda tutti i mezzi ed i capitali per la realizzazione dell’opera
subappaltata; in conseguenza, trovava applicazione, alla stregua dell’art. 1, comma 5, legge n.
1369/1960, la presunzione iuris et de iure circa un diretto rapporto di
lavoro dipendente tra il R. e T. soc. coop. a.r.I., che risultava pertanto
tenuta all’adozione delle pertinenti misure antinfortunistiche.

Sostiene che nel caso dovesse ritenersi il rigetto
implicito della domanda di accertamento della nullità del contratto di lavoro
subordinato tra il de cuius e l’appellata I. e quindi dell’avvenuta
costituzione ex lege di un rapporto tra l’imprenditore committente interponente
e l’operaio vittima di infortunio, allora la decisione avrebbe dovuto
considerarsi impugnata residualmente, anche per gli evidenziati errores iuris,
essendo la relativa nullità rilevabile alla luce delle prove ridette e
grandemente incidente sul riparto dei doveri in tema di sicurezza.

3. Con il terzo motivo di ricorso deduce, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.,
omesso esame circa un fatto decisivo valorizzato dalle parti e consistente
nell’addendum n. 1 al contratto di subappalto tra la società T. e la società I.
dal quale emergeva la circostanza del rilevante apporto di mezzi e capitali
fornito dalla appaltatrice-sub committente alla formale datrice di lavoro del
R..

4. Con il quarto motivo di ricorso denunzia, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.,
apparenza di motivazione con riguardo all’esonero dalla responsabilità della
committente Provincia Autonoma di Trento; il giudice di appello non aveva,
infatti, chiarito le fonti normative di riferimento nel delineare i limiti
dell’obbligo di sicurezza a carico dell’ente territoriale a Provincia. In
questa prospettiva richiama il contenuto del settimo motivo del proprio atto di
gravame con il quale aveva formulato una serie di denunzie incentrate sugli
inadempimenti ascritti alla Provincia Autonoma, con conseguenze sulla garanzia
dell’osservanza dell’obbligo di sicurezza sul cantiere nel quale avvenivano i
lavori affidati in appalto.

5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
“malgoverno” delle norme di legge e di regolamento disciplinanti
l’istituto della Direzione dei Lavori pubblici (art. 18 I n. 90/1955, art. 42
legge provincia di Trento n. 26/19939), 
per avere la Corte di merito ritenuta adempiuta l’obbligazione di
vigilanza connessa con il ruolo di direttore dei lavori rivestito dall’ing. G.,
dipendente dell’ente pubblico committente, in forza dell’assunto che un altro
ingegnere, G., Capo dell’ufficio di progettazione dell’ente pubblico, si era,
“a titolo personale”, recato in cantiere – per “coprire”
l’assenza del Direttore dei lavori -in ferie da alcuni giorni-, dando
disposizioni teoricamente salvavita ma, di fatto, incapaci di evitare la
precipitazione dall’alto del R., stante l’omessa installazione delle misure
collettive di sicurezza e la mancanza fisica sul cantiere, la mattina
dell’incidente, del Direttore dei lavori G. o, comunque, di un suo ausiliario,
direttore operativo o ispettore di cantiere, onde verificare il rispetto del
P.O.S e comunque delle buone pratiche prevenzionistiche ispirate all’art. 3 d.lgs. n. 626/1994, e
all’art. 2087 cod. civ.; alla stregua di tali
disposizioni infatti si imponeva la installazione dei parapetti sulle
passerelle e sui ponteggi oppure di regolamentari trabattelli in fase di
edificazione dei pilastri; la ricostruzione della sentenza impugnata,
confermativa di quella di primo grado nel ritenere che l’intervento di altro
dipendente della Provincia, collega del G., avesse comportato una totale
sostituzione e immedesimazioni tra i due, entrambi ingegneri, si poneva in
violazione a quanto previsto dall’art. 23 v art. 123 d. P.R. n. 554 /1999
e dal Regolamento di attuazione della Legge quadro in materia di lavori
pubblici; in questa prospettiva evidenziava l’inosservanza dell’obbligo di sicurezza
a carico del G. sotto il profilo della mancata vigilanza sui lavori anche in
relazione al fatto che lo stesso, in ferie, non aveva lasciato nell’ufficio i
piani della sicurezza delle imprese esecutrici dei lavori a disposizione,
magari, dell’ispettore di cantiere.

6. Con il sesto motivo di ricorso deduce, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
omessa applicazione del regolamento di attuazione della Legge Quadro 109/1994 in materia di Lavori
Pubblici, emanato con d.P.R. n. 554 /1999 – e
quindi in vigore dal 13.5.2000, con efficacia ex art. 232, seppure con riguardo
all’organizzazione ed al funzionamento della stazione appaltante, anche alle
lavorazioni già in corso – ed in particolare degli artt. 123, 124, 125, 126 e 127
per i quali il direttore dei lavori in un appalto pubblico vigila non solo che
i lavori siano eseguiti a regola d’arte ma anche interloquisce in via esclusiva
con l’appaltatore dell’opera pubblica in merito agli aspetti tecnici ed
economici del contratto, assegnando ai direttori operativi del suo ufficio il
compito di controllare, quando svolga anche le funzioni di coordinatore per
l’esecuzione dei lavori, il rispetto dei piani di sicurezza da parte del
direttore del cantiere ovvero delegando agli assistenti di essere presenti a
tempo pieno sul cantiere .

6.1. Ascrive alla sentenza impugnata la totale
mancata comprensione dei compiti del Direttore dei lavori, non limitabili al
solo fatto della sorveglianza ma estensibili ad una serie ben più articolata di
prestazioni prevenzionali nella fattispecie totalmente pretermesse e poste
dagli attori alla base della richiesta di rispondenza dell’Ente pubblico.

7. Con il settimo motivo di ricorso deduce, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione o mancata applicazione dell’art. 6, comma 2, d. Igs n. 494/1996
come sostituito dall’art. 6 d.
Igs. n. 528 del 1999; ciò con riferimento al fatto che i soggetti
contemplati da tali disposizioni, anch’essi debitori di sicurezza verso gli
operai impegnati nell’esecuzione dell’opera pubblica, dopo avere fatto
impartire al solo ing. C., direttore tecnico dell’impresa appaltatrice dei
lavori civili, gli ordini di sospensione dei lavori nella  zona più pericolosa, invece di ripresentarsi
in cantiere all’indomani mattina onde verificare il rispetto o meno della
disposizione prevenzionistica impartita dal G. nel giorno precedente, avevano
atteso le ore 10,30 prima di telefonare al legale rappresentante della
subappaltatrice, A. C., per riprenderlo in merito alla condotta disobbediente e
pericolosa dei suoi operai tenuta nella giornata precedente; la condotta del G.
non salvava dal giudizio di sostanziale inottemperanza al dovere di
sorveglianza imposto dall’art. 6,
comma 2, Decreto cantieri n. 494/1996 posto che il dovere di sicurezza è
riferibile anche alla committente qualora si verifichi in concreto l’incidenza
della sua condotta nella causazione dell’evento, avuto riguardo alla
specificità dei lavori da eseguire, ai criteri eseguiti dallo stesso
committente, dovendosi escludere il carattere meramente formale delle verifiche
di cui al d. Igs n. 496/1996, art. 6.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso deduce malgoverno
del combinato disposto degli artt. 1227, comma
1, e 2087 cod. civ. nonché dell’art. 4, comma 4 lett. I, d. P.R.
n. 626/1994; censura la sentenza impugnata per avere ritenuto il R.
corresponsabile nella misura del 40% in relazione al verificarsi
dell’infortunio in quanto aveva violato l’ordine proveniente dal dipendente della
Provincia Autonoma di Trento, di non recarsi nella zona situata al terzo piano
dell’edificio fino a quando le passerelle non fossero state messe in sicurezza
con dei parapetti; la affermazione di corresponsabilità non considerava che la
violazione ascritta al dipendente era frutto dell’ordine, adottato in
violazione art. 4, comma 4
lett. I d. P.R. n. 626/1994, con il quale l’ing. C., Direttore tecnico
della società T., aveva disposto la prosecuzione dei lavori; tanto imponeva di
ascrivere alla esclusiva responsabilità datoriale l’infortunio verificatosi ed
escludeva la configurabilità a carico del lavoratore di un concorso colposo
nella produzione dell’evento.

9. Con il nono motivo dì ricorso deduce, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione del combinato disposto da un lato degli artt.
1227 comma 1 e 2043 cod. civ. e dall’altro
degli artt. 40 e 41
cod. pen. per avere la Corte di merito ritenuto fatto colposo del creditore
(dell’obbligo di sicurezza), rilevante anche ai fini della riduzione del
risarcimento del danno, la violazione commessa dall’operaio dell’ordine
impartito dal G. di divieto di accedere alla zona di edificazione dei pilastri;
sostiene che, come attestato dai documenti in atti, il Direttore dei Lavori non
aveva effettuato nel giorno dell’infortunio ed in quelli precedenti alcun
sopralluogo sul cantiere, in quanto in ferie; in questa prospettiva assume la
carenza di giuridicità dell’ordine proveniente dall’ing. G. in quanto mero
dipendente della Provincia e non Direttore dei Lavori nonché la genericità del
contenuto della misura preventiva adottata che asserisce intesa solo a
prevenire la caduta dalle passerelle e non anche dalle scale appoggiate ai
pilastri erigendi, circostanza questa dirimente nell’escludere la rilevanza
causale del mancato rispetto da parte del lavoratore dell’ordine di servizio
dato dal G..

10. Con il decimo motivo di ricorso deduce omessa
applicazione alla fattispecie di tutta la normativa prevenzionale introdotta
con la legge Merloni ter e con il relativo regolamento
n. 554/1999 nonché con il d. Igs n. 494/1996
(cd. decreto cantieri), come modificato dal d. Igs
n. 528/1999, ascrivendo alla sentenza impugnata di non avere preso
posizione sulla questione pregiudiziale relativa all’applicabilità al
subappalto di lavori pubblici provinciali di ingegneria civile, autorizzato
dalla Provincia appaltante, della l’intera disciplina prevenzionistica a carico
della committenza.

11. Con l’undicesimo motivo deduce nullità della
sentenza nella parte in cui indicava quale codifensore della Provincia autonoma
di Trento l’Avv. C. B. mero domiciliatario; deduce inoltre nullità della
notifica della sentenza effettuata a mezzo p.e.c. da parte del detto domiciliatario
nonché della comparsa conclusionale dell’8.5.2016 e della replica del 30.5.2016
dallo stesso versate in giudizio nel grado di appello a mezzo deposito
telematico con sua firma digitale, prive di quella del difensore costituito .

12. Il primo, il secondo ed il terzo motivo di
ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, sono da respingere.

Si premette che le censure articolate con i motivi
in esame devono essere lette alla luce del principio dispositivo ed in
particolare del principio della domanda che informa il processo civile e che è
destinato a riflettersi sulla verifica dell’interesse ad impugnare
configurabile solo in relazione ad una domanda ritualmente e tempestivamente
introdotta nel giudizio di merito. Nello specifico, il primo, il secondo ed il
terzo motivo di ricorso postulano la rituale e tempestiva proposizione di una
domanda intesa a far valere la esistenza, ai sensi dell’art. 1 legge n. 1369/1960, di
un’interposizione di manodopera vietata tra la appaltatrice società T. e la
società I., formale datrice di lavoro di B. R.; si assume infatti la
operatività della presunzione di cui all’art. 1 , comma 5, I. cit. per effetto
dell’appendice contrattuale al contratto di appalto tra la subappaltante T. e

I. con la quale la prima società si sarebbe assunta
l’obbligo di mettere a disposizione della seconda tutti i mezzi ed i capitali
per la realizzazione dell’opera subappaltata.

12.1. Parte ricorrente, in violazione dell’onere di
specificità dell’impugnazione, non ha dimostrato di avere tempestivamente e
ritualmente proposto la domanda in oggetto nel giudizio di merito. A tal fine
non si rivela sufficiente il richiamo alla esposizione dello sviluppo della
vicenda processuale riportato nella sentenza di appello, con il quale parte
ricorrente ha dichiaratamente inteso assolvere all’onere di autosufficienza del
ricorso per cassazione (ricorso, pag. 4); nello storico di lite della sentenza
impugnata non è dato, infatti, rinvenire la proposizione di alcuna domanda di
accertamento della illecita interposizione di manodopera; né essa è desumibile
dagli specifici titoli di responsabilità risarcitoria invocati a carico delle
due società dagli odierni ricorrenti quali ricostruiti dal giudice di appello
(sentenza, pag.10, primo capoverso); elementi utili nel senso preteso  dagli odierni ricorrenti non si rinvengono
nel richiamo alle “domande versate in giudizio dagli odierni ricorrenti
avanti il Tribunale di Bresca in 10 grado” (ricorso, pag. 25 e sg.) in
quanto nella relativa esposizione si fa riferimento a talune circostanze di
fatto senza chiarire la cornice giuridica nella quale le stesse dovevano essere
inquadrate in funzione della domanda proposta; in particolare, premesso che
tali circostanze fattuali si configurano come astrattamente idonee a fondare la
responsabilità di T. s.r.l. sia quale subcommittente dei lavori affidati a I.,
sia sotto il profilo della diretta responsabilità datoriale per violazione
dell’art. 2087 cod. civ., costituiva onere
degli odierni ricorrenti, onere in concreto non assolto, dimostrare che tale
compendio di allegazioni era destinato a sorreggere, accanto alla domanda di
riconoscimento della responsabilità solidale della sub committente T. per fatto
del proprio dipendente, anche una domanda di accertamento della diretta
responsabilità della detta società per violazione dell’art. 2087 cod. civ., quale effettiva datrice di
lavoro, domanda veicolata mediante la deduzione di un’interposizione fittizia
di manodopera ai sensi della legge n. 1369/1960.

12.2. Da tutto quanto sopra consegue, con
riferimento al primo motivo di ricorso, il difetto di interesse ad impugnare;
la mancata rituale e tempestiva proposizione di una domanda di accertamento
della illegittima interposizione di manodopera non consente, infatti, di
prefigurare un risultato giuridicamente utile dall’eventuale accoglimento del
motivo in esame; analogamente, in relazione al secondo motivo in quanto la
denunzia del mancato rilievo di ufficio della nullità del contratto di
(sub)appalto tra T. e I. richiedeva, in ossequio al principio dispositivo, la
dimostrazione della proposizione di una domanda nell’ambito della quale era
destinato a collocarsi il rilievo (anche) di ufficio della prospettata nullità;
parimenti è da affermare in relazione al terzo motivo: l’errore ricostruttivo
ascritto con tale motivo al giudice di appello, sotto il profilo dell’ omesso
esame di un fatto controverso e decisivo, implicava anch’esso la proposizione
di una domanda di accertamento della illecita intermediazione, nel contesto
della quale era destinata ad assumere rilievo decisivo la mancata
considerazione del contenuto dell’addendum destinato ad integrare, secondo la
prospettazione dei ricorrenti, la presunzione di cui all’art. 1, comma 5, legge n.1369/1960.

13. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha respinto la domanda
risarcitoria nei confronti della Provincia Autonoma di Trento ritenendo
raggiunta la prova che la stessa aveva esercitato la sorveglianza dovuta quale
committente delle opere affidate in appalto; a nulla rilevava che l’ente non
avesse nominato un proprio responsabile della sicurezza poiché ad evitare
l’incidente sarebbe bastato che il R. e il C. si attenessero all’ordine
impartito dal funzionario G. il giorno prima dell’infortunio.

In altri termini, la Corte di appello, ha ritenuto,
con accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che il possibile
nesso causale tra l’inosservanza degli obblighi di sicurezza prefigurati a
carico della Provincia Autonoma di Trento quale committente pubblico e l’evento
infortunistico in esito al quale il R. era deceduto, era stato interrotto dal
comportamento del funzionario dell’ente il quale aveva disposto la immediata
sospensione dei lavori e fatto transennare il cantiere.

13.1. Tali ragioni, nei loro profili fattuali e
giuridici, sono quindi agevolmente percepibili e escludono la denunziata
apparenza di motivazione, configurabile solo allorquando la motivazione benché
graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della
decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far
conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio
convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla
con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 03/11/2016 n. 22232),
oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da
cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita
loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni
controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass.
07/04/2017 n. 9105) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano
svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè
di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. 18/09/2009 n. 20112).

14. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in
quanto, pur formalmente denunziando’d)violazione e falsa applicazione di
plurime norme di diritto, risulta in concreto inteso a sollecitare una diversa
ricostruzione della concreta fattispecie sotto il profilo della sussistenza del
nesso causale tra le dedotte inosservanze degli obblighi in tema di sicurezza
imposte al committente pubblico e il verificarsi dell’infortunio, nesso che si
assume non essere stato interrotto dall’intervento con il quale il G.,
funzionario della Provincia Autonoma di Trento -il giorno prima dell’infortunio
aveva disposto la sospensione dei lavori nell’area interessata ed il relativo
transennamento.

14.1. Tali doglianze sono inidonee alla valida
censura della decisione ove si consideri che l’accertamento relativo al venir
meno del nesso causale tra le condotte (in tesi) omissive ascritte alla
Provincia e l’infortunio occorso al R., costituisce per costante giurisprudenza
di questa Corte accertamento di fatto riservato al giudice di merito (Cass. 03/11/2011 n. 22759, in motivazione; Cass.
04/12/ 2001, n. 15311; Cass. 01/07/1998, n. 6449, in motivazione; Cass.
19/01/1998, n. 447), censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di
motivazione (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.)
e, quindi, alla stregua dell’attuale configurazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc., mediante
deduzione di omesso esame di un fatto, nel senso di fatto storico fenomenico-
controverso e decisivo, evocato nel rispetto della prescrizione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. (v. per
tutte Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053), non
prospettato, neppure formalmente, dall’odierna parte ricorrente.

15. Il sesto motivo di ricorso deve essere respinto
per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle che hanno determinato il rigetto
del motivo precedente.

Occorre ribadire che le violazioni configurate a
carico della Provincia Autonoma di Trento con particolare riferimento al ruolo
del G., Direttore dei lavori in un appalto pubblico, ed alla conseguente
necessità, alla luce delle disposizioni richiamate, di proficua interlocuzione
con l’appaltatore dell’opera pubblica anche in funzione della sicurezza dei
lavoratori impegnati nell’esecuzione dell’appalto, da realizzarsi anche
mediante delega ad altri funzionari dell’ente di compiti di vigilanza e
controllo circa il rispetto del piano di sicurezza, in relazione alla pretesa
azionata dagli odierni ricorrenti non assumono rilevanza ex se ma solo quale
fonte di responsabilità risarcitoria ove le violazioni ascritte all’ente
pubblico possano porsi in rapporto di causalità con il verificarsi dell’evento.

16. Ciò posto la sentenza impugnata ha dimostrato di
ritenere, conformemente a quanto affermato dal giudice di primo grado che
l’intervento del G. (riferibile alla Provincia, per il ruolo da questi
rivestito) ha interrotto il possibile nesso causale tra le dette omissioni e
l’evento infortunistico. Tale accertamento di fatto, rispondente a criteri di
logicità e congruità, poteva essere incrinato solo dalla denunzia di vizio di
motivazione articolata in conformità dell’attuale configurazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.civ. ( per cui
si rinvia al paragrafo 14.1.). Le censure articolate da parte ricorrente,
viceversa, si limitano a contrapporre a quella fatta propria dalla Corte di
merito, una diversa e piu ìfavorevole ricostruzione della concatenazione della
sequenza causale alla base dell’evento infortunistico; esse si sostanziano,
quindi, in un mero dissenso valutativo rispetto alle conclusioni attinte dal
giudice di merito,  dissenso intrinsecamente
inidoneo a evidenziare l’errore in tesi ascritto alla sentenza impugnata.

17. Per considerazioni analoghe deve essere respinto
il settimo motivo di ricorso il quale non è idoneo ad incrinare l’accertamento
del nesso di causalità alla base del decisum della sentenza impugnata per le
ragioni sopra esplicitate (v. paragrafo 14.1.), dovendo ulteriormente
osservarsi che la questione posta con riferimento alla necessità per l’ente
pubblico di una verifica diretta dell’approntamento delle misure di sicurezza e
della costante presenza sui luoghi del relativo personale, questione non
trattata dal giudice di merito, si configura quale novum inammissibile in sede
di legittimità; costituiva, infatti, onere di parte ricorrente, onde impedire
una valutazione di novità della questione, di allegare l’avvenuta deduzione di
tale questione innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al
principio di specificità del ricorso per cassazione, indicare in quale
specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla
Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di
esaminarne il merito (Cass. 09/08/ 2018, n. 20694; Cass. 13/06/ 2018, n. 15430;
Cass. 18/10/ 2013, n. 23675), come viceversa non è avvenuto

18. L’ottavo motivo di ricorso è fondato. La
sentenza impugnata ha affermato essere di tutta evidenza che

la violazione da parte del caposquadra R. del
divieto di accesso all’area transennata, formulato dal G. ,configurò a carico
di questi una grave omissione. Ha ritenuto, tuttavia, che la maggiore
responsabilità per l’accaduto dovesse essere attribuita alla condotta omissiva
del direttore tecnico C., presente in cantiere il giorno dell’incidente,
“dal momento che la violazione del divieto di accedere alla zona pericolosa
non poteva avvenire per la semplice iniziativa di R. e che il getto di
calcestruzzo comportava un’attività ben più complessa di quella che si sarebbe
svolta nell’arco temporale di una distrazione del direttore tecnico (come
sostenuto nella comparsa di risposta di primo grado a pag. 4 dove si legge che
il C. si era ritirato in ufficio , e non sapesse dell’autonoma iniziativa del
R.) pur non potendosi escludere del tutto il concorso colposo dell’infortunato,
per la qualifica di caposquadra e quindi di operaio esperto come manifestatosi
anche in occasione del diverbio con il G.; se veramente il C. avesse voluto che
fosse rispettato l’ordine impartito dal G. avrebbe dovuto dare ordine di
sospendere le operazioni di gettata del cemento previste per il giorno successivo
, mentre l’arrivo della betoniera in cantiere dimostra che tutto era pronto per
tale incombente e, secondariamente, proprio perché era stato presente al
diverbio del giorno prima, quand’anche fosse stato all’oscuro dell’arrivo della
betoniera, avrebbe dovuto assicurarsi che quel giorno il R. non si avvicinasse
all’area inaccessibile per il divieto”

18.1. Da tanto si evince che la sentenza impugnata
ha mostrato di collocare la condotta dell’infortunato all’interno di un
contesto di lavoro nel quale era prefigurata, comunque, una continuazione
dell’attività, nello specifico attraverso operazioni di gittata di cemento,
nonostante il divieto posto dalla Provincia committente tramite il proprio
dipendente Grof.

Tale ricostruzione fattuale non consente di sussumere
tout court la condotta del R. nell’ambito di un fattore causale concorrente
nella causazione dell’infortunio.

18.2. Secondo il condivisibile orientamento di
questa Corte la condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo
a  ridurre la misura del risarcimento
ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore
di lavoro sia munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione
dell’evento dannoso; in particolare, tanto avviene quando l’infortunio si sia realizzato
per l’osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano
colpevolmente al lavoratore di affrontare il rischio, quando l’infortunio
scaturisca dall’integrale impostazione della lavorazione su disposizioni
illegali e gravemente contrarie ad ogni regola di prudenza o, infine, quando vi
sia inadempimento datoriale rispetto all’adozione di cautele, tipiche o
atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad
impedire, il verificarsi  dell’evento
nonostante l’imprudenza del lavoratore, che in questa ipotesi degrada a mera
occasione dell’infortunio ed è, pertanto, giuridicamente irrilevante (Cass. 15/07/2020 n. 15112; Cass. 15/05/2020 n. 8988; Cass. 25/11/2019 n.30679; Cass. 05/12/2016 n. 24798).

La sentenza im pugnata si discosta da tali
indicazioni posto che l’affermazione di una percentuale di responsabilità in
capo al R. per il verificarsi dell’infortunio che ne aveva provocato il decesso
non è coerente con l’accertamento fattuale alla base del decisum.

Si impone pertanto la cassazione in parte qua della
sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice per la complessiva rivalutazione
alla luce del principio affermato.

19. L’accoglimento dell’ottavo motivo di ricorso
assorbe la necessità di esame del nono e del decimo motivo.

20. L’undicesimo motivo di ricorso è inammissibile
per difetto di specificità.

Parte ricorrente, in violazione dell’onere sancito a
pena di inammissibilità dall’art. 366 comma 1 n. 6
cod. proc. civ., non dimostra mediante la trascrizione dei pertinenti atti
di riferimento del giudizio di merito, che l’Avv. C. B. era solo domiciliatario
e non anche procuratore, codifensore, della Provincia Autonoma di Trento.

21. Al giudice del rinvio è demandato il regolamento
delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M

 

accoglie l’ottavo motivo di ricorso, dichiara
assorbiti il nono ed il decimo motivo e rigetta gli altri. Cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini del
regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di
Brescia, in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 giugno 2021, n. 15238
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